
Due mesi fa era il barbaro che diceva che i cinesi mangiano topi, ora vogliono arruolarlo tra i «responsabili» di un governissimo.Riepilogo per chi non è dotato di memoria ferrea. Attorno al 20 febbraio, quando sono scoppiati i primi casi di contagio da coronavirus in Italia, il governatore veneto Luca Zaia era tra i bersagli preferiti dell'establishment istituzionale, del governo di Giuseppe Conte, del mondo intellettuale, della grande stampa. Zaia era il buzzurro che in una televisione locale aveva accusato i cinesi di «mangiare topi vivi», al punto da far sollevare il sopracciglio del portavoce dell'ambasciata cinese in Italia, indignato per «gli offensivi luoghi comuni» che trasudavano da quelle parole. Il governatore voleva semplicemente dire che la Cina è un grande Paese dove convivono metropoli modernissime e realtà rurali ferme al medioevo, ma le vestali del politicamente corretto gli cucirono addosso l'abito del razzista.bersaglio dei soloni Zaia era quello che il 21 febbraio ha deciso di fare lo screening di massa a Vo' Euganeo prima ancora di insediare il comitato di consulenti che l'ha affiancato da marzo in poi, ed è così diventato il bersaglio dei soloni medici à la page, da Roberto Burioni in giù, per i quali i tamponi vanno fatti soltanto ai malati. Zaia era quello che ha denunciato tra i primi il rischio che il numero effettivo di contagiati fosse sottostimato, il che gli ha attirato gli strali di Walter Ricciardi, il rappresentante italiano all'Oms poi diventato consulente principe del ministro Roberto Speranza. Zaia era quello accusato di esagerare quando decise di fare montare i tendoni davanti agli ospedali veneti, cosa che poi purtroppo si è stati costretti a replicare in mezza Italia. Zaia era quello che già il 22 febbraio ha chiuso scuole, musei, chiese, cinema e teatri, mentre il sindaco di Milano Beppe Sala proclamava che «Milano non si ferma» e quello di Bergamo Giorgio Gori si rimpinzava nei ristoranti cinesi. E Zaia era pure il fascioleghista che voleva imporre la quarantena a tutti i bambini che rientravano dalla Cina: pochi giorni dopo, il governo italiano era costretto a chiudere gli aeroporti a tutti i voli in arrivo dal gigante asiatico.cambio di strategiaDopo due mesi, lo stesso blocco di potere politico e mediatico dipinge Zaia in tutt'altro modo. Egli è il doge che ha salvato il Veneto, il governatore regionale che meglio ha affrontato l'emergenza, il condottiero illuminato che ha intuito prima di tutti quale fosse la strategia per limitare la forza dello stramaledetto coronavirus. Prima sbeffeggiato ora idolatrato, dalle stalle alle stelle. Intendiamoci, sono meriti che Zaia si è guadagnato sul campo con una condotta esemplare.Ma la questione è un'altra. Il fatto è che gli osanna a lui tributati suonano spesso come strumentali. Perché si è cominciato a utilizzare il governatore leghista del Veneto come cuneo per spaccare il suo partito. il volto buonoLuca Zaia meglio di Attilio Fontana. La sanità veneta più efficiente del modello lombardo. Ma soprattutto Zaia è contrapposto a Matteo Salvini. Se uno è populista, l'altro è attento alle ragioni della gente. Se uno usa espressioni rudi, l'altro è raffigurato come moderato e dialogante. Vengono dimenticate le fughe in avanti verso l'autonomia differenziata, cancellato il referendum del 2017 che portò alle urne quasi il 60% dei veneti, tutti o quasi (98,1%) favorevoli a conquistare maggiori poteri togliendoli allo Stato centrale. Via tutto, un colpo di spugna ha ora tolto ogni macchia dal curriculum del presidente della Regione. Il quale ormai è il volto buono della Lega, quello rassicurante, quello su cui si può contare al contrario del suo leader nazionale. Il più responsabile.Ecco la parola, la stessa espressione che salta fuori ogni volta che un governo traballa in Parlamento e ha bisogno di raccattare voti qua e là. Forza Italia si è già iscritta al nuovo partito dei responsabili, ma i voti azzurri non bastano per garantire una stampella effettiva al governo Conte. Conviene allargare l'abbraccio alle truppe di Zaia. Uno con la testa sul collo, uno che si presenta bene e che al massimo si fa uno spritz, altro che i cocktail del Papeete. È moderato, pragmatico, dialogante e soprattutto - regola aurea per i signori del potere - sa che è opportuno ridurre il profilo da barricadieri. Sarebbe uno dei rari quanto corteggiatissimi leghisti «di governo» e non «di lotta», assieme per esempio a Giancarlo Giorgetti. narrazione finalizzata La conversione a «U» dell'establishment serve dunque a staccare Zaia da Salvini e anche da Fontana. È funzionale al racconto di una Lega come partito in preda alle fronde interne, dove crescerebbe lo scontento verso una leadership che perde consenso nei sondaggi; una realtà nella quale iniettare il virus del dubbio e del malcontento, enfatizzando i risultati conseguiti dal «Carroccio buono» contro i disastri che avrebbe combinato il «Carroccio cattivo». Che naturalmente è quello più legato al segretario nazionale.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.