2020-10-26
Il vaccino come l’oro. Un mercato che vale 100 miliardi di dollari
I colossi farmaceutici si sfidano per ottenere per primi l'antidoto. Usa e Ue investono, ma Big Pharma non rinuncerà ai guadagni. La pandemia ha messo in ginocchio l'economia mondiale ma le grandi multinazionali tecnologiche hanno fatto utili da capogiro. I profitti aggiuntivi di Apple, Google, Facebook, Amazon e Microsoft hanno raggiunto i 39 miliardi di euro. Lo speciale contiene due articoli. Piatto ricco mi ci ficco. Un detto valido anche per le case farmaceutiche, che non appena hanno fiutato la montagna di potenziali guadagni si sono buttate a capofitto nel business del vaccino contro il Covid-19. Stando all'elenco aggiornato pubblicato dal New York Times, sono undici i vaccini nella «fase 3» della sperimentazione. Lo step nel quale, cioè, per usare le parole dell'Istituto superiore di sanità, prevede che il prodotto allo studio venga «somministrato a un numero assai più elevato di pazienti» rispetto alla prima e seconda fase al fine di «dimostrare il vantaggio preventivo o terapeutico ascrivibile al prodotto in esame». Sulla carta un passaggio destinato a durare tra i due e i quattro anni, ma che nel caso del coronavirus potrebbe subire una fortissima accelerazione. Ma occhio a illudersi perché la carità c'entra poco o nulla. La posta in gioco in termini di profitti per chi dovesse arrivare al traguardo è altissima. Secondo un'analisi elaborata dalla società di consulenza Evercore, il mercato del vaccino contro il Covid-19 potrebbe valere 100 miliardi di dollari di vendite (quasi 85 miliardi di euro) e 40 miliardi di dollari (circa 34 miliardi di euro) di profitti al netto delle tasse. Comprensibile, dunque, che gli operatori farmaceutici stiano facendo a gara per arrivare primi al traguardo. Tra le aziende in pole position troviamo le americane Moderna, Pfizer, Novavax e Johnson&Johnson, la tedesca Biontech e la britannica-svedese Astrazeneca. Tutte sono arrivate all'ultimo gradino prima della diffusione al grande pubblico, con Pfizer-Biontech e Astrazeneca in lizza per ricevere l'autorizzazione entro fine anno e distribuire le primissime dosi già nei primi mesi del 2021. Le proiezioni di vendita regalano numeri da capogiro. Tanto per dare un'idea dei possibili guadagni, di recente gli analisti di Svb Leerink, banca di investimenti specializzata nel settore sanitario, ha stimato che l'anno venturo la sola Pfizer potrebbe ricavare dalle vendite del vaccino anti-Covid ben 3,5 miliardi di dollari (3 miliardi di euro), per poi stabilizzarsi a 1,4 miliardi di dollari (1,2 miliardi di euro) negli anni successivi. Secondo Svb Leerink, Pfizer potrebbe occupare il 50 per cento dell'intero mercato. Dal canto loro, i tecnici di Evercore invece punto sul vaccino a mRna allo studio di Moderna, potenzialmente in grado di assorbire fino al 40 per cento della domanda, seguito dal candidato di Novavax che invece sarebbe in grado di raggiungere una quota di mercato pari al 20 per cento. Sono solo ipotesi, ma nell'attesa che arrivino i veri guadagni questi titani si possono consolare con l'ottimo andamento in borsa. Grazie ai promettenti risultati della sperimentazione, il valore di mercato rispetto al 31 dicembre dell'anno scorso di Astrazeneca è salito del 4 per cento. Molto meglio hanno fatto Novavax (+4.300 per cento), Moderna (+323 per cento) e Biontech (+175 per cento). Tutti i vaccini sono ancora nella fase sperimentale, ragion per cui ancora a metà ottobre la Commissione europea si è premurata di specificare in un documento ufficiale che «attualmente non si sa quale potenziale vaccino, se mai dovesse esserci, completerà con successo il processo di sviluppo e autorizzazione, in modo tale da soddisfare i criteri di efficacia e sicurezza per essere introdotto nel mercato dell'Unione europea». Come dimostrano i recenti sviluppi, è sufficiente un minimo intoppo per bloccare i trial clinici, ritardando di conseguenza l'immissione sul mercato. Basti pensare alla sospensione tutt'ora in corso da Johnson&Johnson oppure quella operata per qualche giorno da Astrazeneca (negli Stati Uniti però la sperimentazione è ancora sospesa), a causa di reazioni avverse sospette emerse in alcuni volontari. Per adesso, nella fase di ricerca e sviluppo, gli introiti di Big Pharma sono stati garantiti dalle sovvenzioni statali. Una scommessa molto pericolosa per i Paesi che investono dal momento che se la ricerca dovesse fallire, come ha spiegato qualche mese fa il professor Walter Ricciardi, «si perderà un investimento in cui pubblico e privato hanno condiviso un rischio». Solo l'Unione europea ha messo sul piatto 2,7 miliardi di euro, mentre l'operazione Warp Speed ideata dalla Casa Bianca vale almeno quattro volte tanto. Nel mondo politico ci sono forti pressioni affinché, in virtù di questi stanziamenti, le aziende rinuncino ai profitti. Un impegno preso da alcune aziende a cui però in pochissimi credono. Le condizioni contrattuali sono top secret, ma pare che Astrazeneca stia facendo siglare ai singoli Stati una clausola nella quale si ipotizza la fine della pandemia a luglio del 2021, data oltre la quale sarebbe autorizzata a guadagnare dalle vendite. E Stephen Hoge, presidente di Moderna, ha già messo nero su bianco che la sua azienda «non venderà il vaccino a prezzo di costo». Avevate per caso qualche dubbio? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-guadagna-con-il-virus-2648491955.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="chi-guadagna-con-il-virus" data-post-id="2648491955" data-published-at="1603648026" data-use-pagination="False"> Chi guadagna con il virus Prendete la ricchezza prodotta da Friuli Venezia-Giulia, Sardegna e Trentino messi insieme. Oppure, se preferite, metà del prodotto interno lordo generato dalla città di Milano. E ancora, per usare un'altra immagine, quasi sette volte la circonferenza del nostro pianeta percorsa mettendo in fila quasi 2 miliardi di banconote da 50 euro. Sono solo alcuni esempi per quantificare i guadagni aggiuntivi rispetto alla media dei quattro anni precedenti, conseguiti ai tempi della pandemia dalle 32 aziende più redditizie al mondo. Una cifra che Oxfam, confederazione internazionale che si batte contro la povertà e le diseguaglianze, ha stimato pari a ben 109 miliardi di dollari, circa 92 miliardi di euro. Quasi mezzo miliardo di posti di lavoro persi e milioni di attività chiuse per sempre a causa dell'avanzata del coronavirus. Secondo stime della Fao, per colpa del patogeno 130 milioni di persone in più rischiano di soffrire di fame cronica. Ma in questo scenario da incubo c'è chi ha lucrato, e anche tanto. Si tratta dei grandi colossi della tecnologia, delle telecomunicazioni, dell'e-commerce e della grande distribuzione organizzata. E naturalmente non poteva mancare il club di Big Pharma, quella manciata di case farmaceutiche che si è immediatamente buttata a capofitto nel business offerto dalla pandemia. «Il Covid-19 ha avuto conseguenze tragiche per molte persone in tutto il mondo ma ha anche beneficiato chi si trova all'apice della piramide distributiva», ha spiegato Misha Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia, «a livello globale alcune grandi multinazionali, in particolare i colossi tecnologici, farmaceutici e del commercio online stanno registrando, senza particolari meriti produttivi, livelli di utili da capogiro, beneficiando della domanda eccezionale dei loro beni e servizi causata dalla pandemia, e applicando incrementi talvolta ingiustificati dei prezzi». Scorrendo la classifica contenuta nel recente rapporto La pandemia dei profitti e dei poteri si trovano nomi più o meno noti al pubblico italiano. Presenti nell'elenco, ad esempio, Walmart e Home Depot. Entrambi americani, la prima rappresenta la più importante catena al mondo della grande distribuzione organizzata, la seconda invece un grande venditore al dettaglio di prodotti per la manutenzione della casa con più di 2.000 punti vendita in tutto il territorio degli Stati Uniti. Se per Walmart il successo (+6,7 miliardi di dollari di profitti) è giustificabile dall'esigenza di riempire il carrello di beni di prima necessità, Home Depot (+2,1 miliardi di dollari) ha basato il rilancio sulla rimodulazione del proprio business. «Gli investimenti fatti hanno aumentato significativamente la nostra agilità, permettendoci di rispondere prontamente ai cambiamenti in atto», ha dichiarato il presidente Craig Menear. La parte del leone, però, la fanno i giganti del tech. Sui primi tre gradini del podio troviamo infatti Apple, Microsoft e Google. Mettendo insieme i profitti aggiuntivi delle «big four» (Apple, Google, Facebook e Amazon), si arriva già a 23 miliardi di euro, che salgono a 39 miliardi se si include anche Microsoft. «È la fine del mondo per come lo conosciamo, ma la tecnologia va alla grande», ha scritto parafrasando il noto brano dei Rem The Verge, uno dei siti web più importanti del settore. Nel primo semestre di quest'anno, Apple ha conseguito ricavi per 59,7 miliardi di dollari, pari a 50,4 miliardi di euro, battendo perfino le attese degli analisti. Rispetto all'anno precedente, un aumento a doppia cifra pari all'11%. A trainare il risultato le vendite di iPad (+31%) e computer Mac (+21,6%), anche se da solo con i suoi 26,4 miliardi di dollari (+1,7%) il comparto iPhone traina la baracca rappresentando quasi metà delle vendite totali. Periodo d'oro anche per Microsoft, che al 30 giugno ha chiuso con 38 miliardi di dollari di ricavi (32 miliardi di euro), +13% rispetto al 2019, e un utile netto di 11,2 miliardi di dollari di dollari (9,5 miliardi di euro). Per la prima volta nella storia, le vendite dei servizi cloud hanno superato la soglia psicologica di 50 miliardi di dollari. Nella nota diffusa a margine della presentazione dei risultati, l'azienda di Redmond ha parlato, paradossalmente, dell'impatto positivo arrecato dal Covid-19. «L'utilizzo e la domanda dei servizi cloud è aumentata dal momento che i clienti continuano a lavorare da casa», spiegano gli analisti, «mentre il comparto personal computing beneficia dell'aumento della domanda a supporta di scenari nei quali lavoro, gioco e formazione si svolgono nelle abitazioni». L'ascesa di Apple e Microsoft trova la sua ragione, dunque, nel forte incremento della richiesta di hardware e software per fronteggiare la permanenza a casa durante i lunghi lockdown. Discorso diverso per ciò che riguarda Facebook e Google, che da par loro possono vantare secondo i calcoli di Oxfam un eccesso di profitto da attribuire alla pandemia, rispettivamente, nella misura di 6,1 e 5,9 miliardi di dollari. Può sorridere Mark Zuckerberg, la cui piattaforma fino all'anno scorso sembrava condannata a un lento ma inesorabile declino, per essere soppiantata da social network più giovani come TikTok. E invece Facebok, forte anche della lunga esperienza maturata in questo campo, ha visto sorprendentemente aumentare il numero degli utenti attivi sia su base giornaliera (1,78 miliardi contro 1,66 di fine 2019, +7%) che mensile (2,7 miliardi contro 2,5 di fine anno passato, +8%). Ottimo risultato anche per i ricavi, che nel secondo trimestre 2020 fanno segnare il secondo miglior risultato di sempre attestandosi a 18,7 miliardi di dollari, il 97% dei quali rappresentati da introiti pubblicitari. Messo di fronte alla prova della pandemia, dunque, il modello Facebook funziona. Chiusa in casa, la gente sente il bisogno di tenersi in contatto con chi non può incontrare, e qua il social di Zuckerberg viene in aiuto. Non solo post sulla timeline, ma anche pagine, gruppi e chat di Messenger rappresentano una grande piazza digitale nella quale scambiarsi foto, emozioni, opinioni oppure, molto più banalmente, anche solo un saluto. Molto più cauto l'andamento di Google, che sconta l'assenza di un social vero e proprio e lega una parte dei suoi guadagni alla pubblicità delle piccole e medie aziende. Quelle cioè che sono rimaste più colpite dalla crisi causata dal coronavirus. Nel secondo trimestre di quest'anno, la capogruppo Alphabet ha registrato una diminuzione del 2% nei ricavi rispetto all'anno precedente, affossata dal -6% di vendite pubblicitarie di Youtube, ma fa ben sperare il +43% nei servizi cloud. Nonostante tutto, l'amministratore delegato Sundar Pichai rimane positivo: «Si vedono i primi segni di una stabilizzazione, data dal fatto che i nostri utenti riprendono le vendite online». Capitolo a parte per Amazon, vero mattatore della pandemia, con 6,4 miliardi di profitto netto in più rispetto al 2019 (+95%). Senza dubbio Jeff Bezos è uno a cui piace vincere facile. Così, mentre tutto il mondo era sigillato tra le quattro mura domestiche, i corrieri recapitavano pacchi di ogni genere, evitando alle persone spostamenti inutili. Nel secondo trimestre 2020, Amazon ha fatto registrare un incremento delle vendite pari al 40%, mentre i profitti sono di fatto raddoppiati, passando dai 2,6 miliardi di dollari del 2019 ai 5,2 miliardi attuali. L'azienda di Bezos, da sola, rappresenta oggi il 38% del fatturato e-commerce a livello mondiale. Grazie ai risultati conseguiti, dall'inizio dell'anno Amazon ha sfondato i 1.000 miliardi di dollari di valore di mercato, arrivando a sfiorare quota 1.600 miliardi proprio in questi giorni. Una formula geniale che ha permesso al suo creatore di salire in cima alla lista di paperoni della pandemia stilata da Forbes: +90 miliardi di dollari di ricchezza personale da metà marzo a metà ottobre, pari a una crescita che sfiora l'80%. Ricordate Gordon Gekko, personaggio interpretato da un magistrale Michael Douglas nel film Wall Street? «L'avidità è una cosa buona, è giusta, funziona».