- I Paesi produttori fanno soldi a palate con la speculazione. Ma ne approfittano anche le aziende estere aiutate dai governi, chi compra imprese decotte e il settore delle fonti alternative «green».
- Il presidente di Coldiretti: «Impennata per l’import di prodotti di scarsa qualità».
- L’esperto: «Quantità e prezzi verranno decisi dagli Stati, non più dai mercati. L’Ue ha le responsabilità maggiori della situazione».
I Paesi produttori fanno soldi a palate con la speculazione. Ma ne approfittano anche le aziende estere aiutate dai governi, chi compra imprese decotte e il settore delle fonti alternative «green».Il presidente di Coldiretti: «Impennata per l’import di prodotti di scarsa qualità».L’esperto: «Quantità e prezzi verranno decisi dagli Stati, non più dai mercati. L’Ue ha le responsabilità maggiori della situazione».Lo speciale contiene tre articoli.La guerra del gas, come ogni conflitto, non ha lo stesso impatto per tutti: c’è chi s’indebita e chi invece guadagna dalle difficoltà altrui e dal repentino cambio degli equilibri del mercato. A fare affari in questo momento sono i Paesi che hanno un surplus di gas, che in passato hanno investito nell’estrazione senza preoccuparsi tanto dell’impatto ambientale. Poi ci sono le aziende che beneficiano di politiche governative volte a calmierare i rincari energetici, e quindi hanno un vantaggio competitivo sui mercati, e i settori industriali che producono fonti alternative. C’è infine chi approfitta della debolezza di aziende stritolate dagli aumenti per acquisirle più facilmente.«Ci aspettiamo una progressione di scippi di marchi italiani da parte di imprese estere», è l’allarme di Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, associazione che raggruppa i grandi nomi dell’agroalimentare. «Già da tempo le imprese sono in una condizione di svantaggio competitivo, ma ora l’aumento dei costi energetici le rende ancora più deboli e contendibili rispetto a realtà imprenditoriali europee e no, che godono di aiuti governativi. L’industria alimentare turca paga l’energia un decimo della nostra e invade i nostri scaffali con i suoi prodotti; in Spagna il governo ha introdotto per le imprese manifatturiere un sistema di prezzi amministrati». Scordamaglia sottolinea che «una impresa agricola su 10 sta per chiudere e una industria agroalimentare su quattro ha ridotto drasticamente la produzione. Si sta creando la situazione ideale per acquisizioni straniere se non verrà rafforzato e applicato con maggiore rigidità lo scudo della golden power in questo settore o non ci saranno compensazioni superiori a quelle dell’ultimo decreto Aiuti, assolutamente insufficiente». I rincari del gas hanno avvantaggiato operatori in altri settori. L’impennata delle bollette ha messo in moto la domanda di sistemi di riscaldamento alternativi, a cominciare dai pannelli fotovoltaici. A dare una spinta al mercato è anche Bruxelles. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, li vuole obbligatori per gli edifici commerciali e pubblici entro il 2025 e per quelli nuovi residenziali entro il 2029. Con questa prospettiva si moltiplicano le aziende che, anche senza nessuna esperienza, sono saltate sul business. Secondo una stima delle imprese di installazione, nel primo trimestre 2022 la domanda di fotovoltaico è cresciuta del 240% a fronte del +270% registrata in tutto l’anno scorso. Sorgenia stima che per un impianto solare servono dai 2.500 ai 3.500 euro per chilowatt di picco di potenza. Siccome una famiglia media ha bisogno di circa 3 chilowatt, la spesa varia dai 5.000 ai 7.000 euro considerando lo sconto applicato in fattura. A questo va aggiunta la manutenzione annuale, un onere aggiuntivo di circa 600 euro. Un bel giro d’affari.La crisi energetica e la paura dei razionamenti sta spingendo anche la domanda di stufe a legna e a pellet nonostante l’aumento dei prezzi. Il Servizio foreste della provincia di Trento ha rilevato che le aste dei lotti boschivi hanno registrato rincari che oscillano dal 20% al 50%. Il legname tondo, non lavorato, del Trentino, è ai massimi da dieci anni. Secondo i dati 2022 raccolti dall’Associazione italiana energia agroforestali, a maggio c’è stato un balzo delle vendite di stufe del 28% rispetto ai primi cinque mesi del 2021, con una crescita del mercato dell’8,7%. Significative le percentuali dell’export che tra gennaio e maggio di quest’anno è stato +40% con una netta prevalenza della legna (+60,8%) sul pellet (+37,3%). L’industria italiana del settore ha una assoluta leadership. Il 70% degli apparecchi a pellet in Europa è made in Italy. Il settore conta 14.000 aziende per un giro d’affari di 4 miliardi di euro e 72.000 addetti.Ci sono anche guadagni in settori di nicchia come la cereria. In Francia si è registrato un boom nella domanda di candele. Steve Ferchal, direttore di Bricorama a Orgeval, ha spiegato che da inizio agosto le vendite sono raddoppiate: «È sorprendente, siamo tornati alle origini», ha commentato.Tuttavia, i maggiori guadagni li stanno facendo le aziende energetiche. La crisi è diventata un affare per i fornitori americani di gas naturale liquefatto come Cheniere Energy Inc. e Cameron Lng. Prima della guerra ucraina, nessuno in Europa comprava gas americano perché era il carburante più costoso del mercato. Ora la situazione è cambiata e gli Usa hanno superato il Qatar, diventando il più grande esportatore di gas liquido al mondo. Nei primi quattro mesi del 2022, hanno venduto il 74% del proprio Gnl in Europa, a fronte di volumi esportati pari al 34% nel 2021, come riporta l’ente governativo sull’energia statunitense Eia. In Europa stanno facendo enormi guadagni anche Norvegia e Olanda, che sono ricche di gas e si sono dedicati all’estrazione superando i vincoli ambientalistici. Profitti inaspettati anche per i trader internazionali di energia e per i fondi d’investimento in materie prime, attivi nel comparto gas ed elettricità. Secondo Marketwatch, il settore dell’energia quest’anno è cresciuto sui mercati di oltre il 30%.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-ci-guadagna-dalla-crisi-del-gas-2658372038.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="agroalimentare-bersaglio-degli-investitori-stranieri" data-post-id="2658372038" data-published-at="1664743217" data-use-pagination="False"> «Agroalimentare bersaglio degli investitori stranieri» Lo shopping straniero di nostre imprese agroalimentari è già cominciato. La multinazionale francese Lactalis, che già controlla Parmalat, ha acquisito il gruppo bresciano Ambrosi, specializzato in formaggi Dop italiani con export in tutto il mondo. Approfittano della debolezza di aziende schiacciate dal caro energia e del vantaggio competitivo assicurato dalle misure di protezione adottate dai loro Paesi. «Nei primi sei mesi dell’anno, le importazioni di agroalimentare sono salite del 30%. Per non perdere quote di mercato stiamo contenendo i prezzi, ma in molte situazioni non c’è un’adeguata marginalità e questo costringe a lavorare in perdita e a rivedere i piani di investimento». Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, spara a raffica: «In Italia il credito d’imposta limitato dal governo a novembre crea una situazione di incertezza e le imprese concorrenti straniere ne approfittano». Quali Paesi si avvantaggiano dalla debolezza delle imprese italiane? «I nostri storici concorrenti. La Francia ha varato misure a favore delle filiere produttive e quindi avrà una maggiore forza per contenderci quote di mercato nel vitivinicolo e nel cerealicolo. La Spagna ha stabilito un tetto agli aumenti energetici. E Madrid, bisogna ricordarlo, è il nostro principale concorrente per il settore ortofrutticolo e per l’olio nonostante la qualità inferiore. In Italia arrivano prodotti trattati con sostanze vietate che mettono a rischio salute, ambiente ma inevitabilmente anche la tenuta del nostro sistema produttivo, compreso quello del confezionamento». Anche in questo lasciamo spazio alla concorrenza? «Nella filiera della quarta gamma, cioè le verdure in busta, rischiamo di perdere quote di mercato. Pesa l’aumento del costo della plastica e dell’energia. Sono prodotti che vanno conservati nei frigo. Il vetro è aumentato del 50%. Il grande problema del confezionamento è anche nei costi esorbitanti della carta, aumentata del 500%. Stiamo assistendo all’indebolimento delle cooperative e delle industrie di trasformazione, che possono diventare preda di gruppi stranieri». Viste le condizioni economiche sfavorevoli, che interesse avrebbero le aziende straniere a fare acquisizioni? «Manterrebbero la sede nel Paese d’origine che garantisce aiuti e una situazione fiscale più vantaggiosa e così avrebbero tutto da guadagnare vendendo anche loro prodotti, magari di bassa qualità, con i marchi di prestigio acquisiti. Per poi nel tempo delocalizzare anche le attività produttive. Un modo per acquisire reputazione a basso costo». Cosa si può fare? «Equiparare al più presto l’entità del credito di imposta concesso alle imprese della filiera agroalimentare a quelle delle imprese energivore. Una necessità sostenuta anche dalla Commissione europea che considera il settore agroalimentare strategico, da tutelare prioritariamente anche per garantire il cibo alla popolazione. Chiediamo anche tariffe dell’energia amministrate con un plafond massimo alle imprese dell’agroalimentare, come la Spagna». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-ci-guadagna-dalla-crisi-del-gas-2658372038.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="imprese-pubbliche-e-governi-saranno-sempre-piu-potenti" data-post-id="2658372038" data-published-at="1664743217" data-use-pagination="False"> «Imprese pubbliche e governi saranno sempre più potenti» «In questa crisi energetica guadagnano i venditori di gas, inclusi i Paesi che non si sono lasciati imbrigliare dai veti ambientalistici e hanno continuato a trivellare e scavare. Che poi sono gli stessi che ora fanno i prezzi. Nel matto scenario mondiale disegnato dalla crisi del gas, l’Europa è sempre più un vaso di coccio». Alberto Clò, uno dei massimi esperti di energia, fa un’analisi dettagliata di una situazione in cui i vincitori, quanti traggono vantaggio dal mutato mercato energetico, saranno coloro che decideranno anche i nuovi equilibri economici. Tutta colpa della guerra Russia-Ucraina? «La crisi energetica è esplosa prima, i prezzi erano balzati già a fine 2021 trainate dalla maggiore domanda di energia delle economie uscite dal lockdown. L’offerta disponibile non soddisfaceva il fabbisogno. Negli anni precedenti, vittime anche dell’isteria ecologista, le imprese petrolifere avevano tagliato drasticamente gli investimenti nella ricerca e nell’estrazione. Non era una crisi di breve termine, come erroneamente aveva detto la Commissione europea, ma di lunga durata». L’errore di Bruxelles ha favorito altri Paesi? «Lo squilibrio tra domanda e offerta si sarebbe potuto superare con la ripresa degli investimenti minerari e la creazione di nuova capacità. Così non è stato. Su questa crisi post pandemia si è inserita la guerra che ha acuito tutti i fattori di criticità e ha impattato sui prezzi che avevano già conosciuto picchi a dicembre 2021». Si è moltiplicato il business dei venditori? «Tutta la filiera, da chi vende gas all’origine come la Russia a chi vende gas ai grossisti, ha moltiplicato i profitti. Ma è stata l’Europa, con la sua politica miope, a consegnare il mercato ai venditori, scaricando i rincari sul consumatore finale. In Italia per attenuare il rovinoso impatto e ridurre i prezzi del gas e del carburante, i governi hanno impegnato sinora oltre 50 miliardi di euro». I prezzi del gas definiscono quelli dell’elettricità. «Noi abbiamo un sistema in cui il prezzo dell’elettricità è il punto di equilibrio tra domanda e offerta definito dall’unità marginale che nel nostro caso è il gas. I produttori di elettricità fanno le loro offerte a crescere, però il prezzo si fissa sul valore più elevato. Chi era disponibile a incassare anche meno guadagnerà la differenza tra il prezzo che gli sarebbe andato bene e quello finale. A un’impresa che produce rinnovabili l’elettricità potrà costare 50-60 euro al megawattora, ma potrà incassare anche fino a 500-600 euro. C’è una rendita spaventosa. Nasce da qui l’idea di fissare un tetto ai prezzi delle fonti meno costose». Quindi stanno guadagnando anche le aziende delle fonti alternative? «Certo. Anche perché loro sostengono di avere i costi più bassi». Chi si sta avvantaggiando dei nuovi equilibri energetici mondiali? «Sono convinto che l’invasione dell’Ucraina segna un punto di totale discontinuità. Sono in atto cambiamenti sostanziali a configurare un nuovo ordine energetico mondiale. Gli stati, cioè i politici, torneranno a decidere quanto produrre con un restringimento del ruolo dei mercati. Le imprese pubbliche avranno un peso sempre maggiore: non a caso la Francia sta nazionalizzando Edf, la Germania ha salvato la più grande impresa di gas, Uniper, investendo decine di miliardi di euro. Sono operazioni che qualche anno fa sarebbero state inimmaginabili». Si torna al passato? «Gli Stati Uniti hanno acquisito una centralità con la possibilità di esportare gas liquefatto guadagnando molto, ma l’Europea ha ridotto la dipendenza dai russi proprio grazie al gas americano. Una volta si comprava dove era conveniente, ora conta di più la provenienza delle fonti. L’Europa aveva scelto la Russia come il maggiore alleato energetico: prendeva il 40% delle importazioni, il 25% delle forniture di petrolio e il 55% di carbone. L’obiettivo ora è di cambiare questi equilibri, privilegiando il carbone dell’Australia o del Sudafrica, il gas dell’Arzebaijan o dell’Algeria». L’Europa diventa un vaso di coccio? «Lo è sempre stato. Non ha mai avuto voce in capitolo se non per suicidarsi legandosi alla Russia, specie per la volontà della Germania. Ma per l’Europa la sicurezza energetica era qualcosa di cui ci si poteva dimenticare affidandosi ai mercati. Gran parte della situazione attuale è responsabilità dell’Unione».
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