2025-04-22
Ancora in alto mare la crisi di Stm innescata dal duo Padoan-Pagani
Jean-Marc Chery (Imagoeconomica)
Dubbi sulla scelta dell’ad francese presa all’epoca. Il ministro del Mimit, Adolfo Urso, a Catania per fare il punto.Mentre il ministro Adolfo Urso, come scrive lui stesso su X, è a Catania «per un confronto sullo sviluppo del polo industriale etneo e sullo stato di avanzamento del contratto di sviluppo per il nuovo e significativo investimento di Stmicroelectronics», viene da domandarsi se si sia rivelata una scelta azzeccata quella di mettere Jean-Marc Chery nel 2018 alla guida del costruttore di chip francoitaliano. La domanda appare corretta, anche perché la divisione guidata da Chery, prima che assumesse la guida dell’azienda, aveva registrato numeri piuttosto sconfortanti. Ai tempi fu la coppia formata dall’allora ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan e dal capo della segreteria tecnica del Mef, Fabrizio Pagani (che ora insegna a Sciences Po a Parigi), ad avallare la nomina di Chery alla guida di Stm. Il manager, anche su pressioni francesi, prese il posto dell’italiano Carlo Bozotti.A prima vista, il profilo di Chery - vicepresidente del consiglio di sorveglianza - poteva far pensare a una transizione ordinata, avvallata anche dal presidente Nicolas Dufour. Ma già nel corso dei mesi successivi emersero dubbi sull’adeguatezza del francese per il ruolo di ceo, sollevati già ai tempi perfino dal ministero dell’Economia e delle finanze, che parlò di «inadeguatezza».Ci si chiede oggi se quei rilievi - forse eccessivamente severi - non avessero però fondamento. Perché il curriculum di Chery, fino a quel momento, non parlava di performance clamorose. Anzi: nel triennio 201315, in qualità di coo (chief operating officer, ovvero direttore delle operazioni) e general manager della divisione embedded processing solutions (che rappresentava circa un terzo del fatturato Stm), il manager francese aveva guidato un segmento che aveva cumulato perdite per 633 milioni di dollari e registrato una contrazione di fatturato del 35 %. Numeri difficili da mettere da parte nel valutare la capacità di rilanciare un gruppo globale di semiconduttori.Al di là delle competenze tecniche, iniziò a insinuarsi l’ombra di spinte politiche: una «volontà di Parigi» di avere una leadership francofona in un’industria strategica, a prescindere dai risultati gestionali del candidato. Una scelta dettata più da logiche geopolitiche: l’Italia e l’Europa guardano con interesse crescente al settore dei chip, ma un simile approccio rischia di sacrificare la redditività e la fiducia degli investitori in nome di equilibri di «nazionalità».Se si fosse guardato ai numeri, forse si sarebbe puntato su altri profili - figure con comprovata esperienza di crescita in mercati maturi e volatile come quello dei microcontrollori e dei sistemi embedded. E invece, mentre Stm cercava di consolidare le proprie posizioni in un mercato dominato da colossi come Intel e Tsmc, la guida aziendale veniva affidata a chi, sulla carta, non aveva ancora dimostrato di saper fronteggiare crisi di scala e margini.Oggi, guardando all’andamento post 2018, si possono trarre i primi bilanci della gestione Chery. Le strategie di diversificazione e il rafforzamento dei fondamentali finanziari hanno ricevuto riconoscimenti, ma resta aperta la domanda: senza un esame critico delle esperienze antecedenti, una nomina è davvero la migliore leva per garantire sostenibilità e competitività a lungo termine? La storia di Stmicroelectronics insegna che, nei consigli di sorveglianza come nei vertici operativi, la selezione dei manager non può prescindere dall’analisi dei risultati passati. Solo così si potrà costruire un percorso di crescita solido, evitando che scelte dettate da ragioni extraaziendali compromettano la reputazione e la performance di un gruppo che, più di ogni altro, vive di innovazione e di fiducia dei mercati.