
Tanti piatti sono legati a personaggi che hanno ispirato una ricetta. Il visconte francese inventò il filetto rosa all'interno e cotto fuori. Il tramezzino si deve a un conte che, per non lasciare il gioco, mangiava pane farcito.Chateaubriand, chi era costui? Una pittima. Almeno a tavola. Quando ordinava una bistecca non s'accontentava di una bella fiorentina al sangue alta tre dita. La pretendeva, sì, alta almeno mezza spanna, ma senz'osso. E solo filetto. Il signor visconte François-René de Chateaubriand, scrittore e politico francese vissuto a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, esigeva che la sua bistecca fosse ricavata dal «cuore» di un filetto di manzo da cuocere intero, che fosse rosolata a fiamma viva per formare un'uniforme e croccante crosticina esterna, di concludere la cottura a fiamma bassa, spennellando il filetto con burro fuso, in modo che la carne trattenesse all'interno i succulenti umori, rimanendo morbida e al sangue.Pare che a battezzare Chateaubriand il filetto così cotto, sia stato il cuoco del suddetto visconte, tale Montmirail, che, inventato il piatto, lo dedicò al padrone. Lo scrittore Renzo Pellati, specialista di scienza dell'alimentazione, ne La storia di ciò che mangiamo, riporta un'altra versione ambientata al ristorante Larue di Parigi, abitualmente frequentato dall'aristocratico scrittore: «Il maitre, conoscendone i gusti, ordinava in cucina: «Un filetto di bue, molto alto, alla griglia per monsieur le vicomte de Chateaubriand»». Una commande talmente lunga che nel corso del tempo divenne, semplicemente, «Una Chateaubriand».La storia della tavola è infarcita di piatti legati a personaggi celebri o ad altri meno famosi, ma diventati tali per aver abbinato il loro nome ad una salsa, una zuppa, un metodo di cottura, una ricetta, un dolce, o anche, semplicemente, per aver inventato un pasto da mangiare in ogni momento della giornata, senza tavola apparecchiata. Un finger-food, insomma. È il caso dell'ammiraglio inglese John Montague, quarto conte di Sandwich, che per non abbandonare il tavolo del gioco d'azzardo- era capace di fare sedute di 24 ore-, obbedendo più al vizio che alla fame e alla gola, si faceva portare dal domestico il pasto (corned beef o roast beef con lattuga) chiuso tra due fette di pane morbido. Gli altri giocatori, per non essere da meno, impararono la lezione ordinando: «Lo stesso di Sandwich». Nacque così, tra una mano di whist e una di faraone, tra un bridge e un baccarà, il sandwich. Pur di non darla vinta agli anglosassoni- erano i tempi di «Dio stramaledica gli inglesi!»- Gabriele d'Annunzio lo ribattezzò «tramezzino»: lo spezzafame giusto tra un pasto e l'altro.Chateaubriand non fu il solo uomo di potere a legare il suo nome a una braciola. Bismarck, il cancelliere di ferro della Germania guglielmina, goloso di carne e di uova, univa i due piaceri divorando la cotoletta fritta con l'uovo sopra. Probabilmente è nato da un maligno pettegolezzo l'episodio che lo vede papparsi una dozzina di bistecche alla Bismarck in un solo pasto. Al cancelliere piacevano anche le salsicce che paragonò alle leggi: «Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte». Alla Bismarck (fritto con l'uovo sopra) si possono fare tanti altri cibi: asparagi, patate, hamburger e, perfino, la pizza.È passato alla storia, legato ad Amedeo di Savoia (secolo XIV), il Gateau de Savoie, un gigantesco dolce preparato dal cuoco di corte su suggerimento dello stesso Conte Verde, servito al banchetto in onore di Carlo di Lussemburgo, futuro imperatore del Sacro Romano Impero, a Chambery nel 1348. Racconta lo studioso di gastronomia Felice Consulo ne La cucina del Piemonte che la torta rappresentava il castello dei Savoia con lo stemma di Carlo. Insomma, un bel modo per ruffianarselo. Il dolce favorì lo scopo: quando il lussemburghese divenne imperatore, Amedeo fu promosso vicario imperiale. Il gateau de Savoie, attraverso i secoli, pur con diversi cambiamenti, è arrivato fino a noi. Legati nel nome alla casa reale piemontese sono i savoiardi, anch'essi, secondo diversi studiosi, di orgine medioevale. Se Amedeo di Savoia prese per la gola un imperatore, il suo bis, bis, bis (eccetera, eccetera) bisnipote Vittorio Emanuele II si fece prendere per la gola da una florida popolana: Rosa Vercellana. La Bela Rosin, oltre a concedere al re le sue grazie, gli preparava piatti prelibati a uno dei quali legò il suo nome: le uova alla Bela Rosin. Sono semplicissimi da fare: rassodate le uova, una volta cotte togliete i gusci, tagliatele a metà, togliete i tuorli, sminuzzateli, riempite gli albumi cavi di maionese sulla quale fate fioccare i gialli tuorli per dare l'effetto mimosa. Rosa preparava la maionese con le sue manine. Imitandola fareste un figurone (ricette a go-go in internet). E adesso Honi soit qui mal y pense, sia biasimato chi pensa male della signorina che sedeva accanto a Edoardo, principe di Galles, futuro re d'Inghilterra, una sera d'estate di fine Ottocento, in un tavolo del Cafè de Paris di Montecarlo. Non era l'amante del principe, come qualche malizioso ha scritto, era solo un'ospite, figlia di un amico del futuro re d'Inghilterra, per di più insieme al padre. Di lei si sa poco, appena il nome: Suzette. Eppure il suo nome è diventato famosissimo, grazie alla galanteria del principe che lo ha legato alla fantastica frittatina servita come dessert: la crêpe suzette. La storia andò così. Edoardo, con l'amico e la giovinetta Suzette, era in attesa del dolce. In cucina c'erano il grande chef Auguste Escoffier e l'apprendista Henry Charpentier. Questi lasciò cadere per sbaglio un liquore agrumato, forse un Grand Marnier, nella padella delle crêpes che presero fuoco. Assaggiatele, risultarono buonissime. Il principe ne fu talmente entusiasta che chiese quale nome avessero le frittatine. Gli fu risposto che non ne avevano ancora uno, ma che le avrebbero chiamate crêpes del principe. Al che Edoardo, che prima di essere principe era un vero signore, replicò guardando la sua giovane ospite: «No, chiamatele crêpes Suzette». Rivoltata la frittata troviamo un'altra versione. Gli anni rimangono quelli, ma cambia la città, Parigi, e il ristorante, Marivaux. Fu qui che, secondo altri storici gastronomici, nacque la celebre crespella grazie al maître che, non per sbaglio, creò la crêpe che dedicò a Suzette, un'attrice dell'Opèra della quale era ammiratore. Anche di questa Suzette, come dell'altra, si sa poco o nulla. Solo il nome ripetuto in tutti i ristoranti di classe del mondo da almeno 130 anni. Poco si sa anche di Maria, quella del bagno. Non c'è chef o casalinga che non conosca il metodo di cuocere o di riscaldare a bagnomaria. È un procedimento che si usa per evitare a determinati cibi di subire choc termici e molto usato in pasticceria per preparare zabaioni, gelatine, budini... Si mette l'alimento in un recipiente messo a bagno in un altro, più capiente, contenente acqua mantenuta calda dal fuoco. La cottura del composto del pentolino più piccolo avviene, così, in modo lento e omogeneo. Già, ma che c'entra Maria? Anche qui le versioni più accreditate sono due. La prima attribuisce l'invenzione di questo metodo di cottura alla Maria (o Miriam) sorella di Mosè e di Aronne, profetessa, e figura notevole del libro dell'Esodo. Altri parlano di un'altra donna israelita, Maria l'Ebrea (o Maria la Giudea), alchimista del tardo impero romano, che usava la cottura a bagnomaria per miscelare sostanze con la speranza di realizzare il sogno di tutti gli alchimisti: ottenere l'oro filosofale.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.