2021-12-25
Charles Poletti: il piemontese d'America che governò l'Italia in guerra
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Al centro il governatore Amgot Charles Poletti (Getty Images)
Figlio di un semplice scalpellino di Pogno (Novara), fu avvocato e poi governatore dello Stato di New York. Mandato da Franklin D.Roosevelt ad amministrare l'Italia per conto degli alleati, risalì la Penisola tra separatisti, mafia e partigiani.I corpi di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi pendevano dalla tettoia del distributore di benzina che affacciava su piazzale Loreto. La folla inferocita stava dando spettacolo di quella che verrà definita la «macelleria messicana», come la chiamò uno dei massimi esponenti della resistenza, Ferruccio Parri. Tra la massa di gente venuta ad assistere all’ostensione finale dei corpi del Duce e dei suoi fedelissimi c’era un uomo come tanti altri, il viso tondeggiante e l’espressione vivace. Sembrava uno dei tanti accorsi in quel giorno fatale ed incancellabile, ma in tasca aveva un passaporto americano e la tessera di riconoscimento dell’Us Army con il grado di tenente colonnello. Era il 29 aprile 1945 e nessuno dei presenti si accorse che quel signore era nientemeno che il Governatore dei territori italiani occupati dagli alleati, Charles E. Poletti. Arrivò a Milano il giorno prima dei suoi connazionali della 1st Armoured Division che la mattina seguente sfondarono da corso Lodi dilagando per le vie di Milano. A piazzale Loreto era giunto per propria iniziativa e senza dirlo ai comandi militari, non sapendo neppure inizialmente cosa fosse realmente successo dopo le fucilazioni di Dongo, tanto che si mosse soltanto dopo che il suo autista lo avvisò dei fatti mentre si trovava in albergo. Rimase a guardare lo spettacolo macabro senza scomporsi, il governatore. Non godette certo dello spettacolo ma, come dichiarò in seguito ai giornali, ritenne piazzale Loreto un epilogo tristemente naturale, anche per il dato di fatto che Mussolini e i suoi erano caduti nelle mani dei partigiani e non degli alleati. Fu meno composto Walter Audisio, nome di battaglia «colonnello Valerio» quando dichiarò alla stampa di aver incontrato quell’americano solitario (fatto smentito in seguito da Poletti) il quale in un italiano da macchietta avrebbe esclamato ridacchiando di fronte ai corpi martoriati: «Okay! Buoni italiani..pum!..pum! Fatto!». Improbabile. Piuttosto Poletti aveva toccato con mano l’odore di morte che seguì il 25 aprile. Se non vide che per alcuni minuti lo spettacolo di piazzale Loreto, quando già il destino era compiuto, presenziò invece di persona all’esecuzione di uno dei personaggi più in vista del ventennio. Achille Starace fu catturato a Vimercate lo stesso 29 aprile e subito passato per le armi. Nell’occasione Poletti si rese pienamente conto del dramma che il Paese stava attraversando e, rivolgendosi al suo attendente disse preoccupato: «Look, we’d better get out of here and get out fast. We are supposed to preserve law and order as part of my job as military government, and here we are watching this aberration of human behavior. Let’s get out»! (Ascolta, è meglio che ce ne andiamo e anche in fretta! Noi abbiamo il dovere di salvaguardare la legge e l’ordine, che è parte del mio compito di governatore militare. Qui invece stiamo assistendo all' aberrazione dell'essere umano. Andiamocene!).Charlie, il figlio dello scalpellino del Lago d'Orta, da Harvard a LehmanCharles Poletti, per buona pace del colonnello Valerio, era tutt’altro che lo stereotipo dello yankee sbruffone e incolto. Tantomeno rientrava nell’etichetta appiccicata alla figura degli italo-americani passati da Ellis Island dalla fine dell’Ottocento. Il Governatore militare era un enfant prodige, con una storia unica alle spalle. I suoi documenti dicevano che era nato a Barre, una cittadina nel cuore del Vermont, il 2 luglio 1903. Il luogo di nascita era un’enclave di immigrazione italiana per la presenza di un importante distretto del granito. Qui giungevano famiglie soprattutto di origine lombarda e piemontese, per la specializzazione diffusa del mestiere di scalpellino che era anche la professione del padre di Charles, Dino Poletti, il quale alla fine del secolo XIX lasciò la nativa Pogno sulle rive del lago d’Orta per cercare fortuna dall’altra parte dell’Atlantico. Quando Charles fu al liceo, grazie ad un professore che ne colse le particolari attitudini, fu proiettato nell’«american dream» e per lui si spalancarono le porte della facoltà di legge dell’università di Harvard grazie ad una borsa di studio. Uscito dall’università negli anni della Grande Depressione, Poletti si trasferì a New York dove iniziò a lavorare per il grande studio legale del governatore Herbert Lehman, socio fondatore di Lehman Brothers e deputato del partito democratico. Il passo verso la corte di Franklin D. Roosevelt fu breve e Poletti, il figlio dello scalpellino, fu nominato membro della Corte Suprema di New York e in seguito ricoprì la carica di vice-governatore dello Stato. Nel 1942, alla morte di Lehman, Roosevelt lo volle alla guida dello stato più importante degli Usa: era il primo governatore di origini italiane. Un professionista molto conosciuto e rispettato, che negli anni Trenta si era perfezionato studiando a Madrid e Roma. Nel 1936 Poletti conobbe di persona il capo del fascismo quando guidò (in ben altri tempi) la delegazione dell’Ordine dei Figli d’Italia che partì da New York alla volta di Roma per portare a Mussolini un messaggio di Roosevelt, che elogiava le virtù degli italoamericani. Era lo stesso uomo che nove anni più tardi vedrà appeso ad un canapone dei Vigili del fuoco.Dallo studio Lehman allo sbarco in SiciliaQuando Poletti fu nominato governatore di New York, gli Stati Uniti erano già in guerra da un anno. Per il ragazzo del Vermont si sarebbe di lì a poco presentata una nuova vita nella sua Patria d’origine. Durante la preparazione dell’operazione Husky, lo sbarco alleato in Sicilia, Roosevelt e i comandi militari erano alla ricerca dell’uomo a cui affidare il governo dei territori che sarebbero stati occupati durante l’offensiva. Inizialmente si pensò a Fiorello La Guardia, altro illustre italoamericano e sindaco della Grande mela. Alla fine il Presidente scelse di lasciare il primo cittadino, paladino della legge e dell’ordine negli anni passati, nelle sue funzioni, designando Poletti come emissario americano in Italia, con il grado di tenente colonnello. Anche in quella occasione, Charles Poletti arrivò per primo a mettere piede sul territorio italiano. E lo fece sbarcando da un sommergibile fantasma già alla fine del 1942 sulla spiaggia di Castellammare del Golfo, da dove si sposterà nella villa di un avvocato di Catania per preparare le operazioni che avrebbero seguito lo sbarco pochi mesi dopo. In qualità di governatore alleato della Sicilia dopo lo sbarco del 10 luglio 1943, Poletti ebbe il compito di amministrare la cosa pubblica e assicurare gli approvvigionamenti per la popolazione civile in concorso con l’AFHQ (Allied Forces Head Quarter - Quartier generale delle forze alleate), con il quale non ebbe sempre rapporti idilliaci. Il governatore tendeva infatti ad anteporre la propria natura di avvocato e politico alle disposizioni militari, creando spesso imbarazzo nelle alte sfere sino a Washington. La sua foga di purgatore della precedente amministrazione fascista ebbe come effetto peggiore la creazione di un vuoto di potere improvviso, nel quale la mafia ebbe spazio per alimentare il proprio potere e quei sentimenti separatisti che emergeranno sull’isola nell’immediato dopoguerra, rappresentati sulle cronache dall’epopea di Salvatore Giuliano. Del resto in quel periodo vestì la divisa americana in Sicilia anche Vito Genovese, riabilitato dalle autorità militari americane e interprete nell’incontro tra le istituzioni italiane e il generale George Patton. A parte il mito del messaggio del capomafia d’America Lucky Luciano, che secondo la leggenda fece paracadutare da un aereo con una grande lettera “L” sulla fusoliera un messaggio pro alleati per don Calogero Vizzini, vero fu che il boss dei boss fu liberato e inviato in Italia da uomo libero nel 1946. A parte i rapporti tra l’Amgot e Genovese, negati sempre dal governatore nelle interviste rilasciate dopo la guerra, parrebbe tuttavia accertato che l’amministrazione Poletti sulla Sicilia fece da volano al separatismo. A concorrere alla crescita del sentimento in Sicilia fu anche il passaggio del potere al maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, che riaccese antichi fuochi antimonarchici mai sopiti dal Risorgimento. Le nomine di Poletti fatte all’atto di lasciare la Sicilia per seguire l’avanzata alleata parlano da sole: sindaco di Palermo fu designato Lucio Tasca Bordonaro, un nobile latifondista che sarà a capo del movimento indipendentista agrario del dopoguerra. Alto Commissario per la Sicilia fu scelto Francesco Musotto, dalle evidenti simpatie filoseparatiste. Le scelte di Poletti furono biasimate in particolare dal comando britannico per l’inclinazione dell’americano ad accordare troppo spazio all’autodeterminazione siciliana, secondo il dominante sentimento inglese atto a ritenere il popolo italiano come prigioniero di guerra e quindi da sottoporre ad una rigida amministrazione militare.«Charley Poletti, Charley Poletti, meno ciarle e più spaghetti!». Roma, 1944Il 4 giugno 1944 gli alleati entrarono a Roma. Esattamente come era avvenuto dopo la liberazione di Napoli, Poletti dovette affrontare la questione della fame, perché i tedeschi avevano svuotato le riserve di cibo durante la ritirata. E non soltanto. La situazione sanitaria era disperata, con una mortalità infantile raddoppiata in pochi mesi. Il compito che aspettava il governatore di origini piemontesi era più che arduo e portava con sé il rischio di un crollo di immagine sull’efficienza dei liberatori d’America. A differenza della Sicilia, dove la quasi inesistente reazione allo sbarco aveva aiutato Poletti nella riorganizzazione logistica, nella Città Eterna la situazione peggiorò con il passare del tempo. Ancora una volta pensò alla defascistizzazione come priorità per restaurare legge ed ordine. Incontrò i vertici del Cln tra cui uno dei pupilli di Roosevelt, il conte Carlo Sforza, che la Casa Bianca avrebbe voluto vedere come primo ministro dell’Italia liberata in contrasto con Churchill che promosse sempre il ritorno della monarchia. Poletti nuovamente andò oltre procedendo ad una epurazione allargata che arrivò a comprendere ranghi del fascismo che non corrispondevano ad effettive azioni di collaborazionismo con i tedeschi. Un esempio su tutti fu l’errore di epurare una trentina di professori universitari (che chiaramente erano stati iscritti al partito fascista) generando la reazione avversa dei loro studenti, per la maggior parte antifascisti. La popolarità dell’Amgot scese vertiginosamente nella capitale e quando Poletti lascerà Roma all’amministrazione italiana ebbe a lamentarsi della blanda azione epurativa contenuta nei nuovi decreti. Il vento della politica stava cambiando anche negli Stati Uniti e l’era Roosevelt si avviava al tramonto con la morte del Presidente nel febbraio 1945. Charles Poletti fu tra i primi a ricevere le critiche di un avversario politico, la repubblicana Claire Boothe Luce, la prima donna ambasciatore a Roma che nel dopoguerra ebbe fortissima influenza sul Governo italiano e che fu in prima linea nella lotta al comunismo. Poletti nel cuore della Rsi in agonia: Milano, aprile 1945Nel declino dell’influenza politica e amministrativa del capo dell’Amgot, gli alleati sfondavano nella Pianura padana e Poletti decideva come sempre di agire autonomamente, giungendo a Milano poco dopo l’insurrezione quando i fucili dei cecchini sparavano ancora. La situazione del Nord Italia, della quale il governatore era ben cosciente, era molto diversa da quella conosciuta in Sicilia nel 1943. Milano e la Lombardia erano il motore industriale del Paese, i cui ingranaggi erano stati distrutti dalle incursioni dell’aviazione americana. Era in atto una guerra civile, che aveva generato efferatezze spietate con il consistente rischio che le violenze si potessero protrarre per anni, come capitò poi in Grecia. La questione della legge, dell’ordine e della defascistizzazione di fronte alle macerie di Milano divenne un nodo molto difficile da sciogliere per l’avvocato di New York, giunto quasi alla fine del proprio mandato. Se da una parte Poletti scelse come interlocutori i rappresentanti del Cln e considerasse legittime in una realtà di guerra civile le ritorsioni degli antifascisti, dall’altra parte la pressione dei comandi militari americani indicavano che l’epurazione dei vertici delle grandi industrie del Nord sarebbe stata impraticabile. I Comitati di fabbrica, espressione del Cln nelle industrie occupate dai partigiani, preoccupavano la nuova amministrazione Truman per la struttura simile a quella dei soviet. Da questo stato di fatto generò la svolta finale del governatore alleato, esperto di legge. Per porre un freno alle epurazioni (leggi in tanti casi esecuzioni) dei vertici industriali, Poletti mise in mezzo l’amministrazione alleata, la quale avrebbe dovuto fare da garante tra il Cln e i dirigenti del ventennio per togliere ai partigiani ogni autorità esercitata attraverso tribunali del popolo non riconosciuti dalle leggi dello Stato. Ma Poletti, di lì a poco, avrebbe concluso il suo viaggio attraverso l’Italia della guerra. Nell’autunno del 1945 lasciò Milano come governatore della Lombardia con un busto in bronzo regalato dalle autorità locali. Poco prima era stato a Novara, dove aveva incontrato l’arcivescovo e il famigerato capo partigiano Cino Moscatelli. Pochi chilometri lo separavano da Pogno, il suo paese d’origine. Forse avranno scambiato qualche parola anche in dialetto.«Back Home». Poletti rientra a New YorkRientrato in Patria, Charles Poletti riprese la carriera giuridica diventando socio di uno dei più importanti studi di Manhattan. Padre di tre figli, manterrà continui rapporti con l’Italia dopo l’ingresso nel board della Fiera Internazionale di New York grazie alla cui attività presenziò più volte alle missioni commerciali in Italia. Nel 1960 fu presente in occasione delle Olimpiadi di Roma. Ricoprì anche la carica di membro del cda della New York Power authority che intitolò una centrale alla memoria dell’ex governatore. Charles Poletti muore in Florida l’8 agosto 2002, all età di 99 anni. Riposa ad Elizabethville, New York, nel Calkins Cemetery.