2023-11-18
Cgil, Uil e Pd contestano una manovra che taglia il cuneo e piace all’Europa
La finanziaria è stata promossa dall’Ue, riduce le imposte sul lavoro, aiuta i redditi bassi e aumenta i dipendenti pubblici. Tutte istanze da sempre sostenute dai dem e dall’ex Fiom. Che, però, ora protestano.Al di là dell’adesione allo pseudo sciopero generale e al flop complessivo dell’operazione targata Cgil, ancora non si comprende l’effettivo motivo dell’astensione. Non solo perché annunciata e organizzata prima della stesura della manovra, ma soprattutto per la fumosità delle critiche alla legge finanziaria. Maurizio Landini nelle ultime settimane, in preparazione alla manifestazione, ha puntato il dito sui contratti di lavoro scaduti, sulla necessità di alzare le buste paga, sui fondi alla sanità (scarsi a suo dire) e sui tagli alle pensioni. La manovra è atterrata alla Camera, cuba circa 24 miliardi. Tolti due che andranno a coprire gli interessi sul debito, il resto più o meno per metà serve a ridurre il cuneo fiscale. Parliamo di sette punti. Per vedere una agevolazione del genere bisogna tornare agli anni di Romano Prodi. Nessun governo successivo aveva fatto tanto. Non a caso, lo stesso Landini nel recente passato ha più volte chiesto un taglio di cinque punti, indicando così la soglia della soddisfazione sindacale. Adesso che l’ha ampiamente superata, si è premurato di spostare l’attenzione sui contratti collettivi, salvo omettere che se sono così trascurati lo si deve anche alla Cgil. Omette pure un dato non secondario. Nei prossimi due anni è in arrivo la più grande infornata di assunzioni nel pubblico impiego. Oltre 170.000 persone. Tantissime, se si pensa che il nostro Paese investe nella digitalizzazione, ma al tempo stesso aumenta il numero di dipendenti pubblici. Certamente si prepara alle uscite e al turn around, ma pur sempre si tratta di un ingente impegno di spesa pubblica. Che però, evidentemente, piace poco a Landini. Il quale sa che nella Pa è forte la Cisl, l’unica sua vera sigla concorrente.Senza contare che la manovra che sarà approvata nel suo complesso ha una impronta quasi di sinistra o di destra sociale. Sostiene i redditi bassi e pone tasse per chi guadagna un po’ di più. Sopra i 50.000 euro di reddito lordo saranno tagliate le detrazioni. Aumentano le pensioni minime, ma chi incassa più di 2.500 euro lordi sarà penalizzato con una rivalutazione monca. Inoltre, la decisione di aumentare l’aliquota della cedolare secca a chi affitta le case su Airbnb è in scia all’idea, che a noi non piace per nulla, di ridistribuire la ricchezza. Non piace perché ridistribuzione significa solo impoverimento di qualcuno e arricchimento di nessuno. Se poi allarghiamo lo spettro di valutazioni ai compari di Landini, Elly Schlein e gli altri partiti di sinistra, si cade addirittura in una contraddizione di fondo. Le critiche alla manovra sono duplici. Da un lato si evidenzia il rischio dii dare troppo pochi soldi alla sanità e ai servizi in generale, dall’altro si grida al rischio di mettere in pericolo i conti pubblici. Delle due l’una. O si fa troppo deficit, oppure se ne fa di più. Sulle tasse ovviamente tutti muti. In realtà né Landini né il Pd possono sbandiera il demone dello spread. Stavolta si ritorcerebbe contro. basta andare a vedere il grafico degli ultimi tre mesi. Il 20 agosto il differenziale tra Btp e Bund tedeschi segnava 172 punti base. Ieri ha chiuso a 176 di poco sopra. Il 9 ottobre ha segnato il picco di 210 punti, per scendere il 16 ottobre a 182 con picchi variabili, ma comunque a segnare un progressivo raffreddamento. Il motivo è semplice. Il 9 ottobre, a seguito di alcune dichiarazioni di Christine Lagarde, i giornali italiani titolarono che lo spread si allargava per via della manovra, avviando così il solito circolo vizioso. Note della Bce generiche sul debito, rumor di varia natura, articoli, analisti che leggono i giornali, vendite sui Btp. In realtà, la settimana successiva, il 16 ottobre, il Cdm approva la manovra e i timori si dissolvono. Poi, nei giorni successivi si prosegue con lo stillicidio di voci, fino a che tutti capiscono il reale contenuto della legge finanziaria e i mercati si allineano. Quella in via di approvazione è, infatti, una legge di Bilancio che piace all’Europa, una manovra allineata con Bruxelles. Non lo diciamo in tono di elogio. Comprendiamo che si sia voluto concentrare le risorse sul ceto più basso che è quello più colpito dall’inflazione, ma si è finito come al solito ad alzare le tasse agli altri. Però un conto è la critica di chi, come noi, sostiene di dover agevolare le Pmi e le Partite Iva, ma che le critiche arrivino dal Pd e dalla Cgil è semplicemente assurdo. Non a caso, ieri Landini ha trovato solo le seguenti parole: «Scioperiamo perché non vogliamo che il Paese sia portato allo sbando dal governo. Noi difendiamo la nazione, l’interesse generale», ha gridato dalla piazza il capo della Cgil. «C’è un attacco a 360 gradi. Chi vuole cambiare la Costituzione è chi non ha contributo a costruirla. Anziché cambiarla, devono applicarla. Non permetteremo a nessuno di ridurre gli spazi della democrazia», ha concluso citando uno sciopero generale datato 1943 «contro la guerra e il fascismo». Alla fine torniamo lì, gli italiani e i lavoratori capiscono se sono presi in giro. Se si lotta per il loro portafogli oppure no. Lo dimostra la partecipazione all’altro sciopero, quello degli infermieri che chiedono di mettere mano alla riforma delle pensioni.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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