
Barbiero, colonna del sindacato a Treviso, accusato di aver accumulato gettoni (fino a 10.000 euro al mese) e silurato per le normative interne. Lui: «Doccia fredda».La purga del sindacato rosso che segna una tappa in quello che appare come un regolamento di conti all’interno della Camera del lavoro della Cgil di Treviso è stata inflitta con l’arma della burocrazia statutaria. Una decisione scritta con il tono freddo di una commissione disciplinare. Un elenco di articoli interni e regole che, appena oltre il foglio firmato e timbrato, puzza di bonifica. Il colpo grosso è Paolino Barbiero, uno che la stampa locale descrive come «la colonna» della Cgil provinciale. D’altra parte l’ha guidata dal 2005 al 2012, per poi passare alla segreteria della sigla dei pensionati fino al 2020. Contemporaneamente, per 10 anni, ha ricoperto anche l’incarico di presidente della cassaforte immobiliare del sindacato, la Società servizi e lavoro srl (una macchina da soldi con un patrimonio superiore a 4 milioni di euro, decine di sedi Caf e immobili in tutta la provincia), controllata dalla Cgil, percependo un compenso (circa 10.000 euro lordi al mese) che ora la Commissione di garanzia gli contesta. Per il cumulo di incarichi è scattato un anno di sospensione. La sensazione, tra i corridoi della Camera del Lavoro di Treviso, è che i compagni si trovino in una stagione che si chiude senza cerimonia. Barbiero per molti era un riferimento. Per altri, invece, un potere da riequilibrare. Ma per la legge interna del sindacato è diventato il compagno che accumula gettoni. A cadere con lui ci sono altri due big locali: il segretario organizzativo regionale Giacomo Vendrame e Mauro Visentin, che ha avvicendato Barbiero al timone della segreteria provinciale. Due mesi di stop a testa. Stessa accusa: aver firmato, uno dopo l’altro, l’incarico che ha fatto saltare tutto. La bomba è scoppiata lo scorso autunno. Una busta anonima con dei documenti. Bilanci, verbali, estratti Inps, dati fiscali. Tutto documentato. Forse troppo per non far pensare che sia roba fatta in casa. Qualcuno, da dentro, insomma, avrebbe deciso che il loro momento era arrivato. E avrebbe fatto partire l’attacco con una firma fantasma. L’obiettivo: smantellare l’asse Barbiero. E il risultato è stato centrato. La corrente che da 15 anni animava i compagni trevigiani è stata azzerata. E Barbiero dovrà restituire tra i 130 e i 140.000 euro. Ufficialmente per una questione di regole e di compatibilità. Ma probabilmente lo è anche di successioni. Di eredità che si erano fatte pesanti. Barbiero si è difeso: «Ho sempre riversato ogni gettone al sindacato. E la società immobiliare, fino al 2023, non rientrava nel perimetro delle incompatibilità previste dallo statuto». Prima che la sanzione diventi definitiva ha 50 giorni per impugnarla. E ha annunciato un ricorso. Nel frattempo, però, ha presentato una querela contro ignoti per accesso abusivo al proprio cassetto fiscale: alcuni dei documenti usati nella segnalazione potrebbero essere stati acquisiti illegalmente. Visentin l’ha definita «una doccia fredda» e ha fatto sapere che valuterà l’opportunità di ricorrere al secondo grado. Sul fronte opposto si agita Augustin Breda della Fiom: «Questa non è una faccenda privata, la trasparenza è un dovere per un’organizzazione che rappresenta decine di migliaia di lavoratrici, lavoratori e pensionati in provincia e che si fonda sulla fiducia e sulla storia di una organizzazione che nulla ha da temere per la sua solidità». Dalla minoranza interna, quando arrivò l’esposto, parlarono di «stillicidio di non detti», segno che le divisioni erano forti ma che hanno viaggiato sotto traccia. Fino alla deflagrazione.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.