2022-05-16
«Sulle armi voti l’Aula. E la sinistra pretenda una pace a tutti i costi»
Il senatore dem Tommaso Cerno: «Incomprensibile la posizione del Pd: Letta parlava da segretario Nato, la base l’ha costretto a cambiare toni».Tommaso Cerno, ex direttore dell’Espresso, oggi senatore del Pd, non è uno di quelli che va a nascondersi, se non condivide la linea del Nazareno.Contrordine, compagni: dopo il viaggio di Mario Draghi negli Usa, tutti pacifisti.«A marzo, quando c’è stato il voto parlamentare sul decreto armi, l’accordo era che il sostegno alla resistenza popolare ucraina servisse a renderla più forte a un tavolo di pace. La cosa sconvolgente è che, con il passare delle settimane, i morti aumentavano, la violenza aumentava, il tavolo della pace scompariva - anzi, nelle dichiarazioni del governo, sembrava non essere mai esistito - e si continuava con il ritornello “armi, armi, armi”».Che lei contesta?«Il punto è che è qualcosa di completamente diverso da ciò per cui ha votato il Parlamento».Quel voto non era arrivato sulla scorta della promessa che l’Italia avrebbe spedito a Kiev solo mezzi «non letali»?«Sì. Ma usciamo pure dall’ipocrisia per cui esistono armi che non uccidono. Di sicuro, la componente culturale e politica che ha portato a quel voto, almeno nel campo dem, intendeva l’invio di armi come un modo per rafforzare l’Ucraina a un tavolo di pace».Le pare che questa sia stata sempre la posizione del Pd?«Il Pd ha mantenuto una posizione per me incomprensibile: armi, armi, armi. E la pace dov’è finita?».Cos’è cambiato?«Fortunatamente, Emmanuel Macron, per primo, ha colto il sentire dell’Europa; e poi il popolo italiano ha fatto presente al Parlamento e al presidente del Consiglio la necessità che queste armi servano a chiuderla, la guerra, non ad allungarla. Così, a Washington, Draghi ha improvvisamente cominciato a parlare di pace».Giovedì prossimo, oltre a un’informativa del premier, deve esserci un voto d’Aula? «Già un Parlamento che non parla è anomalo; uno che nemmeno vota è allucinante. Il Parlamento non è un organo consultivo, dove uno viene a raccontare quello che vuole; è un organo che conferisce un mandato. Quindi, sì, bisognerebbe votare. Non per indebolire il governo, bensì per rafforzarlo».Letta si è ammorbidito?«I vertici del Pd hanno cambiato toni. La base del partito non è mai stata su quelle posizioni».Che idee ha la base?«I progressisti e liberali non hanno mai concepito l’invio di armi come un modo per far entrare l’Italia in guerra, sia pure indirettamente. La finalità doveva essere quella di porre fine a questo orrore quotidiano e al pericolo di un conflitto più grande, oltre che di una recessione gigantesca, che atterrerebbe le classi meno abbienti del Paese».Letta non l’aveva capito?«Finora ha parlato come fosse il segretario della Nato. Ma credo abbia agito in buona fede». In che senso?«Nell’ipotesi di una guerra breve, armare l’Ucraina per consolidarne la posizione nella trattativa era un proposito sacrosanto. Lui l’ha sposato con convinzione, probabilmente, per evitare che la sinistra fosse accusata di ambiguità, visti i trascorsi con la Russia. Meno male che, dopo 80 giorni, Letta si è ricordato di Albert Einstein».Che c’entra Einstein?«Tempo e massa sono collegati. In questo caso, lo sono tempo e guerra: più tempo passa, più guerra c’è. Sono morte migliaia di persone, siamo di fronte a uno scenario di paura gigantesca e la sinistra ha il dovere di imporre al governo una linea da pionieri della pace a tutti i costi».Draghi, negli Usa, ha parlato di pace. Ma quando è rientrato, è stato varato un nuovo decreto per l’invio di armi. «Nella grammatica del suo viaggio ci sono delle stranezze».Quali?«A Joe Biden, lui ha garantito che manderemo armi e soldi. A quello che interessava agli americani, Draghi ha detto subito di sì».E poi?«La conferenza stampa di Draghi non si è svolta alla presenza di Biden, alla Casa Bianca, bensì all’ambasciata italiana».Cosa significherebbe?«È come se Biden non avesse voluto essere presente, mentre Draghi parlava di pace. Se il messaggio europeo che Draghi ha lanciato acquisterà spessore e farà succedere qualcosa, potremo dire che la missione americana ha consentito di superare l’impasse di un’Europa che, agli Usa, diceva solo di sì. Altrimenti, l’unica cosa certa è che abbiamo garantito a Washington altri soldi e armi».Come si fa la pace? A Vladimir Putin si dovrà offrire qualcosa.«La lunghezza della guerra complica il percorso, perché Volodymyr Zelensky vede morire migliaia di concittadini. Ma è proprio per questo che esistono le strutture internazionali, come l’Ue, l’Onu e la Nato. È il mondo che deve avere la forza di dire a Putin che questa storia deve finire. È ovvio che non finirà in un giorno, ma io non ho ancora sentito di una sola iniziativa politica autentica».L’Onu tentenna, la Nato alza i toni. L’Ue che può fare?«Ha bisogno che le parole di Macron e Draghi, sommate al silenzio assenso di Olaf Scholz, sfocino, con le buone o con le cattive, in un’iniziativa comune nei confronti di Mosca».Ma l’Ue non riesce neanche ad accordarsi sulle sanzioni energetiche, visti i veti ungheresi...«Infatti, ho detto “con le buone o con le cattive”. Se quest’Europa, prima solo monetaria, poi un po’ sanitaria, ora anche un po’ militare, deve diventare politica, bisogna che i Paesi più forti promuovano una riforma dei trattati, per abolire il principio dell’unanimità. Se gli Stati ricattano l’Ue mentre questa si gioca il suo ruolo mondiale nei prossimi decenni, devono essere messi nelle condizioni di non nuocere».Per una volta, il Pd sta andando a rimorchio dei 5 stelle e di Giuseppe Conte?«Conte è stato sbeffeggiato per le sue idee sulle armi, mentre io credo che abbia interpretato bene non solo le posizioni dei progressisti italiani, che il Pd non era riuscito a intercettare, ma anche quella che è la posizione maggioritaria nel Paese, per due ordini di ragioni».Che ragioni?«L’Italia non vuole guerre. Vive già la guerra della povertà, la guerra dell’istruzione demolita, la guerra dei figli che non sanno più se avranno un avvenire. Primum vivere, deinde philosophari».Si spieghi.«Qui c’è il timore di non farcela a sopravvivere! Milioni di famiglie sarebbero messe in ginocchio da una guerra di cui la gente riconosce il valore morale - la libertà, la democrazia - purché questo non sia promosso a spese del suo futuro. Un Occidente che si propone come bandiera di questi grandi valori deve tenere presente che esistono anche il diritto alla felicità, al futuro, al sacrificio nel nome di un domani migliore e non di un harakiri culturale, provocato da chi ha perso il timone della nave».Quando la questione finirà in Parlamento, lei voterà a favore di Svezia e Finlandia nella Nato?«Io voglio una Nato che mantiene le porte aperte. Però deve restare un’alleanza difensiva. Se la natura di una richiesta d’ingresso rischia, invece, di provocare un inasprimento del conflitto, bisogna rifletterci. Altrimenti, arriveremo a trasformare le porte aperte per la difesa in porte aperte per la guerra».La Nato è già in una guerra per procura contro la Russia?«Formalmente non c’è una guerra. Ma il punto è se ci sia una guerra nella sostanza. Quando la questione di Svezia e Finlandia arriverà in Parlamento, bisognerà che questo sia chiarito. Siamo in una guerra culturale e politica a una nazione che potrebbe reagire con violenza a una scelta della Nato? Bisogna sapere se Mosca la vogliamo nemica per i prossimi 30 anni, o per i prossimi 30 giorni».L’ondata russofoba non fa ben sperare…«Un errore gravissimo di questa reazione dell’Occidente nei confronti di Putin, che peraltro è stata abbastanza divertente…».Perché divertente?«Ministri ed ex presidenti del Consiglio, che con Putin ci avevano mangiato insieme e stipulato accordi, all’improvviso hanno fatto finta di non conoscerlo nemmeno. E a fronte di questo stupore incredibile da parte dei nostri governanti, noi abbiamo cominciato a odiare i russi, compiendo una serie di sciocchezze, a cominciare dallo sport».Ecco.«Così spingiamo i russi, persino quelli che magari ne avevano le scatole piene del regime e volevano provare, lentamente, ad affrancarsene, a riunirsi. Ci stiamo comportando non da putinofobi, ma da russofobi. È una cosa di cui io mi vergogno, perché quello russo è un popolo straordinario, che semmai noi dovremmo provare ad attrarre in un modo ancora più risoluto».C’è pure il rischio di alimentare una contrapposizione tra Occidente e Oriente, che alla lunga sarebbe pericolosa.«Oltre che antistorica, perché l’America, che è nata ieri, è avversaria radicale della Russia, mentre l’Europa, con essa, ha una sì una storia di guerre, ma anche di convivenza e cooperazione. Odiare i russi è il più grande favore che possiamo fare a Vladimir Putin».Che ne pensa di questa psicosi per i russi nei talk show?«È quanto meno ridicolo che il governo italiano contesti un’intervista come quella a Sergej Lavrov, quando nessuno dei suoi esponenti ne ha mai concessa una con un vero contraddittorio - Draghi per primo, insieme a Roberto Speranza durante il Covid. Qualcuno si sarà talmente affezionato a Putin, da volerlo imitare: pensa di chiudere trasmissioni televisive, di cacciare i professori… Per far vincere la democrazia, la vogliono uccidere».Bel paradosso.«È il paradosso di chi tace sull’estradizione di Julian Assange, però poi pretende di dare agli altri lezioni di giornalismo».
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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