True
2024-05-30
L’anatema sulla «frociaggine» è l’altolà del Papa alla Cei che vuole i gay nei seminari
Papa Francesco (Ansa)
Piano piano il velo sulle parole attribuite a papa Francesco sull’aria di «frociaggine» si alza e si chiarisce così il contesto e il senso più preciso di quelle affermazioni così grossolane, quanto coerenti con le regole per l’accesso ai seminari. E si svela che le parole del Papa sono una risposta alla Conferenza episcopale italiana, che vorrebbe forzare per far accedere ai seminari anche gli omosessuali, giocando sui termini.
Andiamo per gradi. L’8 dicembre 2016 la congregazione per il Clero, allora guidata dal prefetto cardinale Beniamino Stella, pubblica un documento, approvato dal Papa, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, che disciplina appunto la formazione dei novelli sacerdoti nei seminari. Questo documento recepisce quanto già stabilito da un analogo documento del 2005. Si ribadisce che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».
Il 16 novembre 2023, la 78ª Assemblea generale straordinaria della Conferenza episcopale italiana ha approvato la nuova Ratio nationalis formationis sacerdotalis per i seminari in Italia che, appunto, dovrebbe recepire quanto espresso nel documento vaticano del 2016. Succede, però, che questa norma dei vescovi italiani sia tutt’ora ferma al dicastero per il Clero, in attesa di approvazione. Strano. Cosa è accaduto? Secondo diverse fonti, alcune apparse anche sul Web sul blog messainlatino.it, il problema riguarderebbe proprio l’accesso ai seminari per le persone con tendenze omosessuali. La norma italiana prevederebbe, infatti, la possibilità di far accedere ai seminari anche le persone omosessuali con «tendenza omosessuale non radicata» mentre, come abbiamo visto, quella vaticana non opera questa distinzione. Peraltro, dicono gli esperti, questa caratterizzazione è piuttosto difficile da stabilire e la conseguenza sarebbe quella di aprire le porte dei seminari a tutti coloro che manifestano questo orientamento sessuale.
Sarebbe questo il motivo per cui il documento dei vescovi italiani è ancora fermo in attesa del placet del dicastero per il Clero e proprio di questo, secondo nostre fonti che confermano le già citate voci comparse sul web, i vescovi italiani avrebbero, appunto, chiesto conto al Papa il 20 maggio scorso. E il Papa, nella riunione a porte chiuse, avrebbe risposto con le parole che hanno mandato ai matti i liberal dentro e fuori le sacre stanze.
A papa Francesco, la richiesta ardita dei vescovi italiani ha certamente irritato, basta rileggere le parole che gli sono state attribuite. Quel «mettere fuori dai seminari tutte le checche, anche quelle solo semi orientate», sarebbe appunto un passaggio della risposta di Francesco che rimanda alla questione della «tendenze omosessuali non radicate» che i vescovi italiani avrebbero, invece, introdotto nel loro documento per aprire un po’ le porte dei seminari anche agli omosessuali. E Francesco ha ribadito in modo netto la sua contrarietà.
Le scuse presentate da Francesco tramite la Sala stampa vaticana per le parole che gli sono state attribuite e che sono state fatte uscire a orologeria da qualche vescovo presente, quindi, riguardano i toni, certamente non leggeri e anche volgari, ma non spostano di una virgola il punto. E cioè che il Papa pensa, in coerenza con i documenti della Santa Sede, che nei seminari non devono entrare persone omosessuali. «Nel dubbio, meglio che non entrino», aveva detto già nel 2018, sempre ai vescovi italiani riuniti in assemblea.
Torna, quindi, ciò che abbiamo già scritto ieri: non si vuole accettare che la Chiesa si doti di un argine, di un criterio, per la formazione del suo, chiamiamolo così, personale. Che questo non lo vogliano le redazioni alla moda è normale, ma il punto è che anche all’interno della Chiesa c’è chi vorrebbe abbattere questi bastioni. Francesco, ritenuto «aperto» e capace di sfondare tutte le dighe, però non ci sta. Sia chiaro, papa Bergoglio non ha bisogno di mostrare che è simpatetico con «todos, todos, todos», Lgbt compresi, ma la sua linea, per quanto possa essere confusa, è quella della distinzione tra peccato e peccatore, tra persona e lobby. Così lo si vede approvare Fiducia supplicans per una benedizione «fast» alle coppie omosessuali (anche se la mens e la penna del testo è più del cardinale Víctor Manuel Fernández che di Francesco), incontra religiosi come il gesuita James Martin e la suora Jeannine Gramick che sono esposti a favore della cultura gay, riceve i trans in udienza, lascia al loro posto collaboratori chiacchierati circa la pratica omosessuale, ma l’omosessualismo in seminario non lo vuole.
Può apparire contradditorio, ma questo è Francesco e a qualche zelante vescovo italiano che vorrebbe spalancare i seminari agli omosessuali la cosa è arrivata in faccia come un treno in corsa.
Ma i prelati s’affrettano a sminuire
Sulla «frociaggine» e le «checche» che invaderebbero i seminari italiani si è alzato un polverone. Le parole di papa Francesco hanno diviso l’opinione pubblica tra chi ha esultato e chi, i più liberal, dopo un momento di iniziale sbigottimento per quanto proferito dal proprio «campione», ha iniziato a protestare.
Sul Corriere della Sera, a fare da scudo al Pontefice, è stato monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Ionio e vicepresidente Cei. «Non so chi abbia detto all’esterno quello che ha voluto dire, ma chiunque sia stato dovrà fare i conti con la sua coscienza e con il senso di collegialità con gli altri vescovi», attacca monsignor Savino, «il Papa viene dall’America Latina e l’italiano non è la sua lingua, chiunque abbia esperienza con le parole sa che una parola o una frase tolti dal contesto nel quale sono stati pronunciati possono far passare un messaggio completamente diverso da quello autentico». Per il prelato, Francesco «era preoccupato della felicità del futuro prete, che sia omosessuale o eterosessuale».
E mentre a (quasi) tutti è sembrato lampante il «no» bergogliano ai gay nei seminari, monsignor Savino assume una posizione un po’ più sfumata sulla questione: «Non c’è un “no” a priori. La sua vera preoccupazione è la serenità di tutti. Il Papa voleva dire che i candidati, omo o etero, devono essere capaci di vivere bene le loro promesse rispetto all’obbedienza, alla povertà e alla castità. Amare con il cuore pieno e le mani vuote». E poi, dopo aver confermato il documento, fermo in Vaticano, della Cei sulla questione e in attesa di essere analizzato in uno dei gruppi di lavoro del prossimo Sinodo, monsignor Savino torna ad ammantare Bergoglio di arcobaleno: «Fin dall’inizio ha detto “Chi sono io per giudicare?” e di recente ha permesso la benedizione pastorale delle coppie dello stesso sesso. E poi, scusate, dal suo primo documento pastorale, l’esortazione Evangelii gaudium, e per l’intero pontificato la sua proposta-chiave è sempre stata l’inclusione».
Più ermetico il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Baturi: «Era un dialogo confidenziale riservato con i vescovi. Teniamo conto che sono incontri in cui, proprio per la loro natura confidenziale, si mischiano considerazioni generali e spesso anche osservazioni personali», ha dichiarato a margine di un incontro pubblico.
Oltre ai prelati, anche il nuovo re delle Ong, l’ex no global Luca Casarini, è intervenuto sulla vicenda per difendere Francesco: «Noi dobbiamo guardare a quello che fa papa Francesco, non solo a ciò che dice. Sicuramente è uno che dà tanto fastidio ai poteri costituiti dentro la Chiesa ma segnalo comunque che è l’unico leader in grado di chiedere scusa». Da fine conoscitore degli ambienti di Curia, Casarini analizza che «lui (il Papa, ndr) non voleva offendere nessuno: ha semplicemente usato un linguaggio più scherzoso e certamente sbagliato dal punto di vista del politically correct, ma non intendeva discriminare nessuno». Sfoggiando, infine, doti da fine teologo, per il re Mida dei salvataggi in mare «è interessante l’uso che si fa di questo chiacchiericcio, per attaccare chi proprio sulla difesa dei diritti di tutte le persone, al di là degli orientamenti sessuali, ha costruito un suo modo di essere Papa. Una parte della Chiesa è, invece, convinta che esistano peccatori e non peccatori, che sia una specie di dogana dove mostrare documenti e alcuni entrano e altri no. Papa Francesco è un uomo di 87 anni che si carica sulle spalle una cosa gigantesca, è una persona come tutte, che può dire delle cose che magari poi deve chiarire ma è del chiacchiericcio che dobbiamo stupirci».
Continua a leggereRiduci
Per Jorge Bergoglio non devono entrare ma i vescovi italiani hanno promosso un documento più permissivo. Che per ora il Pontefice ha bloccato, ribadendo un «no» molto colorito.Per monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza episcopale, il polverone si basa sul niente: «Il vicario di Cristo è inclusivo». Parla pure Luca Casarini: «È anziano e sbaglia».Lo speciale contiene due articoli.Piano piano il velo sulle parole attribuite a papa Francesco sull’aria di «frociaggine» si alza e si chiarisce così il contesto e il senso più preciso di quelle affermazioni così grossolane, quanto coerenti con le regole per l’accesso ai seminari. E si svela che le parole del Papa sono una risposta alla Conferenza episcopale italiana, che vorrebbe forzare per far accedere ai seminari anche gli omosessuali, giocando sui termini.Andiamo per gradi. L’8 dicembre 2016 la congregazione per il Clero, allora guidata dal prefetto cardinale Beniamino Stella, pubblica un documento, approvato dal Papa, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, che disciplina appunto la formazione dei novelli sacerdoti nei seminari. Questo documento recepisce quanto già stabilito da un analogo documento del 2005. Si ribadisce che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».Il 16 novembre 2023, la 78ª Assemblea generale straordinaria della Conferenza episcopale italiana ha approvato la nuova Ratio nationalis formationis sacerdotalis per i seminari in Italia che, appunto, dovrebbe recepire quanto espresso nel documento vaticano del 2016. Succede, però, che questa norma dei vescovi italiani sia tutt’ora ferma al dicastero per il Clero, in attesa di approvazione. Strano. Cosa è accaduto? Secondo diverse fonti, alcune apparse anche sul Web sul blog messainlatino.it, il problema riguarderebbe proprio l’accesso ai seminari per le persone con tendenze omosessuali. La norma italiana prevederebbe, infatti, la possibilità di far accedere ai seminari anche le persone omosessuali con «tendenza omosessuale non radicata» mentre, come abbiamo visto, quella vaticana non opera questa distinzione. Peraltro, dicono gli esperti, questa caratterizzazione è piuttosto difficile da stabilire e la conseguenza sarebbe quella di aprire le porte dei seminari a tutti coloro che manifestano questo orientamento sessuale. Sarebbe questo il motivo per cui il documento dei vescovi italiani è ancora fermo in attesa del placet del dicastero per il Clero e proprio di questo, secondo nostre fonti che confermano le già citate voci comparse sul web, i vescovi italiani avrebbero, appunto, chiesto conto al Papa il 20 maggio scorso. E il Papa, nella riunione a porte chiuse, avrebbe risposto con le parole che hanno mandato ai matti i liberal dentro e fuori le sacre stanze.A papa Francesco, la richiesta ardita dei vescovi italiani ha certamente irritato, basta rileggere le parole che gli sono state attribuite. Quel «mettere fuori dai seminari tutte le checche, anche quelle solo semi orientate», sarebbe appunto un passaggio della risposta di Francesco che rimanda alla questione della «tendenze omosessuali non radicate» che i vescovi italiani avrebbero, invece, introdotto nel loro documento per aprire un po’ le porte dei seminari anche agli omosessuali. E Francesco ha ribadito in modo netto la sua contrarietà.Le scuse presentate da Francesco tramite la Sala stampa vaticana per le parole che gli sono state attribuite e che sono state fatte uscire a orologeria da qualche vescovo presente, quindi, riguardano i toni, certamente non leggeri e anche volgari, ma non spostano di una virgola il punto. E cioè che il Papa pensa, in coerenza con i documenti della Santa Sede, che nei seminari non devono entrare persone omosessuali. «Nel dubbio, meglio che non entrino», aveva detto già nel 2018, sempre ai vescovi italiani riuniti in assemblea.Torna, quindi, ciò che abbiamo già scritto ieri: non si vuole accettare che la Chiesa si doti di un argine, di un criterio, per la formazione del suo, chiamiamolo così, personale. Che questo non lo vogliano le redazioni alla moda è normale, ma il punto è che anche all’interno della Chiesa c’è chi vorrebbe abbattere questi bastioni. Francesco, ritenuto «aperto» e capace di sfondare tutte le dighe, però non ci sta. Sia chiaro, papa Bergoglio non ha bisogno di mostrare che è simpatetico con «todos, todos, todos», Lgbt compresi, ma la sua linea, per quanto possa essere confusa, è quella della distinzione tra peccato e peccatore, tra persona e lobby. Così lo si vede approvare Fiducia supplicans per una benedizione «fast» alle coppie omosessuali (anche se la mens e la penna del testo è più del cardinale Víctor Manuel Fernández che di Francesco), incontra religiosi come il gesuita James Martin e la suora Jeannine Gramick che sono esposti a favore della cultura gay, riceve i trans in udienza, lascia al loro posto collaboratori chiacchierati circa la pratica omosessuale, ma l’omosessualismo in seminario non lo vuole.Può apparire contradditorio, ma questo è Francesco e a qualche zelante vescovo italiano che vorrebbe spalancare i seminari agli omosessuali la cosa è arrivata in faccia come un treno in corsa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cei-vuole-gay-nei-seminari-2668411376.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-i-prelati-saffrettano-a-sminuire" data-post-id="2668411376" data-published-at="1717031097" data-use-pagination="False"> Ma i prelati s’affrettano a sminuire Sulla «frociaggine» e le «checche» che invaderebbero i seminari italiani si è alzato un polverone. Le parole di papa Francesco hanno diviso l’opinione pubblica tra chi ha esultato e chi, i più liberal, dopo un momento di iniziale sbigottimento per quanto proferito dal proprio «campione», ha iniziato a protestare. Sul Corriere della Sera, a fare da scudo al Pontefice, è stato monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Ionio e vicepresidente Cei. «Non so chi abbia detto all’esterno quello che ha voluto dire, ma chiunque sia stato dovrà fare i conti con la sua coscienza e con il senso di collegialità con gli altri vescovi», attacca monsignor Savino, «il Papa viene dall’America Latina e l’italiano non è la sua lingua, chiunque abbia esperienza con le parole sa che una parola o una frase tolti dal contesto nel quale sono stati pronunciati possono far passare un messaggio completamente diverso da quello autentico». Per il prelato, Francesco «era preoccupato della felicità del futuro prete, che sia omosessuale o eterosessuale». E mentre a (quasi) tutti è sembrato lampante il «no» bergogliano ai gay nei seminari, monsignor Savino assume una posizione un po’ più sfumata sulla questione: «Non c’è un “no” a priori. La sua vera preoccupazione è la serenità di tutti. Il Papa voleva dire che i candidati, omo o etero, devono essere capaci di vivere bene le loro promesse rispetto all’obbedienza, alla povertà e alla castità. Amare con il cuore pieno e le mani vuote». E poi, dopo aver confermato il documento, fermo in Vaticano, della Cei sulla questione e in attesa di essere analizzato in uno dei gruppi di lavoro del prossimo Sinodo, monsignor Savino torna ad ammantare Bergoglio di arcobaleno: «Fin dall’inizio ha detto “Chi sono io per giudicare?” e di recente ha permesso la benedizione pastorale delle coppie dello stesso sesso. E poi, scusate, dal suo primo documento pastorale, l’esortazione Evangelii gaudium, e per l’intero pontificato la sua proposta-chiave è sempre stata l’inclusione». Più ermetico il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Baturi: «Era un dialogo confidenziale riservato con i vescovi. Teniamo conto che sono incontri in cui, proprio per la loro natura confidenziale, si mischiano considerazioni generali e spesso anche osservazioni personali», ha dichiarato a margine di un incontro pubblico. Oltre ai prelati, anche il nuovo re delle Ong, l’ex no global Luca Casarini, è intervenuto sulla vicenda per difendere Francesco: «Noi dobbiamo guardare a quello che fa papa Francesco, non solo a ciò che dice. Sicuramente è uno che dà tanto fastidio ai poteri costituiti dentro la Chiesa ma segnalo comunque che è l’unico leader in grado di chiedere scusa». Da fine conoscitore degli ambienti di Curia, Casarini analizza che «lui (il Papa, ndr) non voleva offendere nessuno: ha semplicemente usato un linguaggio più scherzoso e certamente sbagliato dal punto di vista del politically correct, ma non intendeva discriminare nessuno». Sfoggiando, infine, doti da fine teologo, per il re Mida dei salvataggi in mare «è interessante l’uso che si fa di questo chiacchiericcio, per attaccare chi proprio sulla difesa dei diritti di tutte le persone, al di là degli orientamenti sessuali, ha costruito un suo modo di essere Papa. Una parte della Chiesa è, invece, convinta che esistano peccatori e non peccatori, che sia una specie di dogana dove mostrare documenti e alcuni entrano e altri no. Papa Francesco è un uomo di 87 anni che si carica sulle spalle una cosa gigantesca, è una persona come tutte, che può dire delle cose che magari poi deve chiarire ma è del chiacchiericcio che dobbiamo stupirci».
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
Continua a leggereRiduci
i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
Continua a leggereRiduci
Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
Continua a leggereRiduci