
In Calabria lo portarono gli ebrei prima della nascita di Cristo: per i rabbini si trattava del prezioso frutto del paradiso terrestre. Si usa candito nel panettone e in altri dolci.C’è un agrume che ci dona i suoi frutti in estate ma anche a novembre e dicembre e parte di gennaio e, soprattutto, rende grande e unico un dolce caratteristico del Natale appena passato, di origine milanese ma ormai nel cuore della nazione tutta e anche fuori di essa, il panettone. Pochi lo sanno, ma i canditi del panettone devono essere di arancia e di cedro (la buccia). Non canditi misti come si vede a volte, per esempio con ciliegie o zucca candita, ma solo questi due. Il cedro, che si usa candito in tanti altri dolci dello Stivale, però non è solo un ingrediente del panettone, ma un albero da frutto che produce un agrume fondamentale, sebbene passi un po’ in sordina, rispetto ad arance e mandarini. Un agrume con una storia affascinante, ramificata e anche collegata alla nostra cultura cattolica.Il nome botanico del cedro è Citrus medica. Appartiene alla famiglia delle Rutacee, al genere Citrus, alla specie medica. Il Citrus è un genere che ci interessa da molto vicino: le piante di questo genere della famiglia delle Rutacee sono quelle che chiamiamo colloquialmente - e commercialmente - agrumi. Sono arbusti o alberi (alberi sono le piante con tronco libero più chioma, arbusti sono quelle i cui rami partono dalla base) che possono arrivare anche a 15 metri di altezza e producono frutti molto profumati e molto ricchi di succo la cui caratteristica principale è l’acido ascorbico (la vitamina C). Frutti acri, dal latino acer cioè aspro, da cui il termine agrumi.Il cedro insieme con il pomelo (Citrus maxima) e il mandarino (Citrus reticulata) costituisce la triade di agrumi dai cui incroci derivano tutti i restanti agrumi che conosciamo (e coltiviamo) oggi. Il cedro è anche il più antico agrume coltivato in Europa. Secondo Plinio il Vecchio il cedro è originario dell’antica Persia: nella Naturalis Historia lo chiama «mela assira». In greco antico si chiamava kitron e in latino citrus e con molta probabilità questi nomi derivano dal cedro del Libano - di cui parleremo in seguito - che in greco antico si chiamava kedros, in latino cedrus. La parola italiana cedro, che usiamo per entrambi, deriva dalla volgarizzazione del latino citrus in cedro, ma potrete trovare, soprattutto in italiano antico, il termine citro per indicare l’agrume e differenziarlo dal cedro del Libano.Oggi il cedro è diffuso in molte parti del mondo: in Medio Oriente, in India, in Indonesia, in Australia, in Brasile, negli Stati Uniti e, ovviamente, in area mediterranea. Nell’area italiana, la regione che più è terra di cedro è la Calabria: lì esiste un’area chiamata Riviera dei Cedri che contiene anche toponimi dedicati al cedro come Santa Maria del Cedro, dove si trova anche il Museo del Cedro. Come mai questo toponimo? Anche qui abbiamo una bella storia. La coltivazione del cedro in Calabria si afferma già nel I-II secolo a.C. per mano degli ebrei ellenizzati che seguirono il cammino dei coloni Greci. È probabile che gli ebrei abbiano portato con sé alcuni esemplari di cedro per mantenere vivi i loro cerimoniali religiosi, uno dei quali (Sukkot) comprende ancora oggi l’utilizzo del cedro (identificato con il Perì ‘etz hadar citato nella Bibbia) che i rabbini considerano come il prezioso frutto dei Giardini dell’Eden. Il legame con il territorio è rimasto così forte che nel 1968 il comune di Cipollina cambiò nome nell’attuale Santa Maria del Cedro e ancora oggi, ogni anno, i rabbini del popolo ebraico arrivano in città per prendere i cedri da esportare. Santa Maria del Cedro è pure una varietà di cedro, conosciuta anche come liscia diamante che, da due anni, ha ottenuto il riconoscimento Dop. Il Cedro di Santa Maria del Cedro Dop è il frutto, o esperidio, allo stato fresco ottenuto dalla coltivazione della varietà liscia-diamante della specie Citrus medica. La zona di produzione del Cedro di Santa Maria del Cedro Dop comprende il territorio di 18 comuni in provincia di Cosenza. È disponibile dal 15 ottobre fino a tutto gennaio per la raccolta principale e dal 15 febbraio fino a tutto maggio per la raccolta tardiva: mentre leggete, lo stanno raccogliendo. Il Cedro di Santa Maria del Cedro Dop presenta una buccia esterna liscia e carnosa ed è quello più pregiato e più diffuso in Calabria. A Santa Maria del Cedro ogni anno si svolge il Mediterraneo Cedro Festival. Ma le feste dedicate al cedro nello Stivale non finiscono qui: a Forlì il primo giorno di maggio durante la festa dedicata al santo servita Pellegrino Laziosi si svolge la fiera del cedro, a Bibbona, in provincia di Livorno, il giorno di Pasquetta, si tiene la festa del cedro per ricordare l’uso antico e locale del cedro come dazio.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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