
Parla Antonello Belluco, sceneggiatore di «Rosso Istria»: «Chi prova a illuminare quell'angolo del nostro passato viene accusato di fascismo». E sulle polemiche dei partigiani dice: «I fatti ormai sono comprovati, il negazionismo oggi è oggettivamente insostenibile».«Io questa storia l'ho vissuta sulla mia pelle. Mia madre è nata da un italiano e da una slovena, nel 1945 aveva 13 anni. Mio padre era padovano. Si separarono prima che io nascessi, così sono cresciuto con i nonni che mi hanno raccontato tutto. A Villa del Nevoso, vicino a Fiume, una mattina dopo il 1943, entrarono in casa con il mitra spianato e la stella rossa titina sulla camicia. Erano il barbiere e il macellaio del paese, persone con cui avevano a che fare tutti i giorni. Portarono via mia nonna e sua sorella. Invece mio nonno, che era militare a Trieste nella Brigata Sassari, fu arrestato. Ha sempre tenuto un diario e così quelle vicende le conosco bene». Padovano, 62 anni, regista e sceneggiatore, Antonello Belluco ha molto da raccontare sulle foibe. Nel 2014 ha scritto e diretto Il segreto di Italia interpretato da Romina Power, che portò al cinema l'eccidio di Codevigo perpetrato nel 1945 dalla Brigata Garibaldi. Dal 2015 ha lavorato alla sceneggiatura di Rosso Istria sull'uccisione della studentessa istriana Norma Cossetto, presentato all'ultima Mostra del cinema di Venezia.La sorprendono le polemiche innescate dalle sezioni Anpi di Rovigo e Parma sulle foibe?«Non più di tanto. C'è un angolo della storia che si vuole mantenere buio. Se appena si prova a illuminarlo scattano le accuse di fascismo. Fino a poco tempo fa la storia è stata raccontata solo dalla parte dei vincitori. Credo sia giusto raccontarla anche dalla parte dei vinti. Fortunatamente sono arrivati i libri di Giampaolo Pansa. E qualcosa si è iniziato a muovere anche al cinema».Il cinema può avere un ruolo nel ricostruire la storia?«Pensiamo al cinema americano. Per decenni, fino al 1970, gli indiani erano sempre dipinti come i cattivi della situazione. Quando sono arrivati Piccolo grande uomo con Dustin Hoffman e Soldato blu, tutta la narrazione è cambiata».Una revisione che sulla guerra e la Resistenza sembra ancora lontana. Perché il suo film Il segreto di Italia sollevò un vespaio di polemiche?«I militanti dei centri sociali ne impedivano puntualmente la proiezione con minacce e violenze. Una volta terminata la visione ai Giardini dell'Arena di Padova impedirono il dibattito al grido “Ora e sempre Resistenza". Alla fine mi si avvicinò un signore anziano e mi disse: “La Resistenza l'ha fatta più lei di quelli là". Ho raccolto tutti questi episodi in un libro intitolato Il (mio) segreto di Italia - Testimonianza di un cinema non voluto».Dopodomani per la Giornata del ricordo Rai 3 trasmetterà in prima serata Rosso Istria di cui lei è cosceneggiatore e di cui avrebbe dovuto curare anche la regia che invece è di Maximiliano Hernando Bruno. Cos'è successo?«Io avevo scelto un linguaggio che avesse lo sguardo della pietas, volto a superare l'astio e l'acredine. Sempre a patto che non si vogliano negare i fatti».Sta prendendo le distanze dall'opera?«Non posso farlo, anche perché non l'ho ancora vista. Dico solo che il mio intento era la pacificazione nella verità».Conosceva la storia di Norma Cossetto, la studentessa universitaria istriana uccisa dai titini?«Non la conoscevo. Quando la Venice film mi ha dato il soggetto chiedendomi di stendere la sceneggiatura ho iniziato a documentarmi, approfondendo la storia per raccontarla in un film, non in un documentario. A questo punto è tornato utile il diario di mio nonno e la sua vicenda personale».Come replica alla presidente dell'Anpi di Padova Floriana Rizzetto che ha manifestato perplessità riguardo a Rosso Istria perché lei ne è lo sceneggiatore?«Le perplessità della signora Rizzetto che si basano su Il segreto di Italia sono generiche e non citano fatti concreti. Dico solo che ho scritto quella sceneggiatura con il compianto Gerardo Fontana, regista affermato, uomo di sinistra ma intellettualmente aperto, oltre che sindaco del paese per due legislature e vicesindaco per una».A Simone Cristicchi, autore dello spettacolo teatrale Magazzino 18, l'Anpi voleva ritirare la tessera onoraria.«Una costa incredibile. Conosco bene Simone, ho visto il suo spettacolo nato dalla curiosità che gli ha destato un autobus che aveva come meta Giuliano Dalmati, il quartiere dove sono andati a vivere i profughi slavi della guerra. Cristicchi ha visto il mio film e mi ha difeso più volte pubblicamente».Secondo lei esiste la fobia delle foibe?«Certo che esiste. Una certa sinistra le considera quasi una persecuzione, una macchia che si cerca di mascherare in tutti i modi».Ci sono i negazionisti, i deviazionisti e i dimenticazionisti?«Dopo tutti i fatti comprovati da testimonianze e documenti il negazionsimo è oggettivamente insostenibile. Anche il dimenticazionismo è una battaglia persa dopo che, nel 2004, è stata istituita la Giornata del ricordo. L'ultima possibilità di confondere le acque è il deviazionismo con il quale si prova a sostenere che, a causa delle azioni dei fascisti, è stato giusto trucidare le vittime. Dimenticando che l'Istria e la Dalmazia erano terre italiane, eredi della Repubblica veneta e dell'Impero romano».Quelli che fuggivano non erano solo fascisti?«Dai racconti di mio nonno e dalle testimonianze che ho raccolto, mi risulta che abbiano infoibato anche partigiani comunisti, preti, civili. Una signora di Asiago ha visto il corpo del padre senza testa perché i titini ci giocavano a calcio».Quanto è lontana una pacificazione su questi fatti?«Temo che in questi giorni si stia allontanando ulteriormente. I toni esasperati rischiano di esacerbare gli animi».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.