2020-09-23
Cazzullo oscura la Bibbia e fa di Dante un uomo senza certezze
Nel libro A riveder le stelle, il giornalista ignora che il sommo poeta fu testimone e interprete del suo tempo. Il Medioevo non era barbarie.Sutor, ne ultra crepidam!: ciabattino, non andare oltre le scarpe! Il detto è antico, ma sempre valido. Se tutti provassero a scrivere di ciò che sanno, e a tacere riguardo a ciò che non conoscono, sarebbe un ottimo affare per la cultura. Perché posso essere anche un famoso e brillante giornalista del Corriere della sera, ma ciò non mi autorizza a riscrivere la storia, a scorrazzare in modo garibaldino in campi che mi sono ignoti. Comincio così, con un'invettiva un po' acida e «dantesca», un commento all'ultimo libro di Aldo Cazzullo, A riveder le stelle, presentato dall'autore stesso sul Corriere.Le celebri parole che Dante mette in bocca a Ulisse («fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza») segnerebbero, secondo il giornalista, «il superamento del Medioevo e l'alba dell'età moderna. Perché la modernità non nasce dalla sapienza, nasce dalla ricerca: dalla coscienza di essere ignoranti. L'uomo medievale pensava di sapere già tutto, perché tutto era già scritto nella Bibbia, al più in Aristotele e in Tolomeo. L'uomo rinascimentale si mette in viaggio, cerca, sperimenta, esplora».Basta questo incipit, tanto dogmatico quanto vago e qualunquista, a destare meraviglia: non sa, Cazzullo, che il pensiero occidentale, greco e medievale, ha sempre avuto perfetta contezza della propria ignoranza e non ha mai ritenuto di «sapere già tutto»? E che tale contezza derivava, al contrario di quello che vorrebbe far credere il fulmineo riferimento alla Bibbia, proprio dallo spirito religioso dell'uomo del passato?Il filosofo, matematico e teologo Pitagora è forse il primo a utilizzare la parola «filosofia»: lo fa per definire l'amore per la sapienza come tensione sempre viva, ma mai del tutto colmabile, poiché «solo il dio conosce» davvero. Socrate, che vive qualche migliaio di anni prima dell'«uomo rinascimentale», ricorda che la saggezza consiste nel «sapere di non sapere»; il cardinal Nicola Cusano, in età ancora medievale, esalta la «dotta ignoranza», cioè la consapevolezza propria dell'uomo cristiano che la verità, pur rivelata nella Bibbia, non è accessibile all'uomo nella sua interezza, e che le Scritture non lo esimono dalla necessità della ricerca. L'espressione «docta ignorantia», in verità, è già di Sant'Agostino, nel IV secolo a. C.: egli invita a «cercare» la verità sia nel libro della Bibbia che in tutte le molteplici manifestazioni del «libro della natura».Nella sua grottesca liquidazione del Medioevo, figlia di una visione ideologica per cui la religione genererebbe assenza di ricerca, Cazzullo ignora non solo la storia del pensiero, ma anche i fatti concreti.Furono i monaci e le monache del Medioevo a ricopiare non solo la Bibbia, ma anche gli altri libri dell'antichità, compresi quelli medici e scientifici (non a caso avrebbero fondato la botanica, la farmacopea e la genetica); furono i medioevali a consacrare la cultura del libro, a inventare procedimenti efficaci per la produzione della carta, gli occhiali per leggere, le biblioteche, le università (luoghi di ricerca per eccellenza), e persino la stessa stampa. Ma procediamo nell'analisi delle tesi semplicistiche di Cazzullo: oltre a derubricare la Bibbia a testo che di fatto avrebbe trasformato i medievali in ottusi caproni, indica Aristotele e Tolomeo tra le auctoritates indiscutibili del Medioevo. Se Cazzullo sapesse davvero di non sapere, approfondirebbe mille volte ciò che dice per evitare di cadere in errore. Aristotele e Tolomeo, infatti, diventarono autorità quasi assolute (il famoso ipsi dixerunt) in età umanistica e rinascimentale, non in età medievale.In pieno Medioevo, infatti, Aristotele fu amato e contestato, e alcuni suoi libri confutati pubblicamente: fu contraddetta la dottrina aristotelica dell'eternità del mondo; fu negata l'esistenza di Cieli divini, e in qualche caso anche dei motori angelici; fu combattuta la sua dottrina del tempo ciclico; in generale fu rinnegata la visione astrologica presente nella sua cosmologia. Di più: persino la dottrina aristotelico tolemaica dell'immobilità della terra venne messa in discussione per la prima volta dal vescovo Nicola di Oresme nel XIV secolo.Concludo questa analisi con un ultimo passaggio. Scrive Cazzullo, mitizzando l'uomo rinascimentale «viaggiatore», che all'epoca di Dante «non era ancora diffusa l'idea che la terra fosse tonda». Qui si raggiunge veramente l'apoteosi: dopo aver trasformato Dante, uomo medievale e religioso per eccellenza, nel prototipo dell'uomo rinascimentale (descritto, in maniera molto schematica, come in piena opposizione), si dimentica che la Divina Commedia stessa è lì a dimostrare che il Medioevo conosceva perfettamente la rotondità della terra.Basta osservare qualsiasi disegno del cosmo dantesco per accorgersi che la terra vi è rappresentata come una sfera, proprio come nei testi di Brunetto Latini, come nei manuali di astronomia medievali (spesso intitolati, non a caso, De sphera mundi), come nelle miniature e nei dipinti dell'epoca… In un vecchio articolo su Repubblica, intitolato «La terra non è mai stata piatta» (ancora reperibile in rete), Umberto Eco ricordava che tutti i filosofi e teologi del Medioevo, anche molti secoli prima di Dante, conoscevano perfettamente la rotondità della terra.Come la terra non è mai stata piatta, così Dante non è mai stato un rinascimentale: semmai saranno umanisti e rinascimentali a non poter fare a meno di lui, del suo brillante e indomito spirito di medievale cercatore religioso.