
Bilancio dell’attentato in Daghestan: 20 morti in una chiesa e una sinagoga. La Russia accusa l’Occidente, ma dietro c’è l’ultima sigla legata all’Isis. La propaganda martellante sul Web e le politiche dure del Cremlino hanno incattivito una nuova generazione.Domenica scorsa, due attacchi terroristici coordinati hanno colpito la Repubblica autonoma del Daghestan, nel Caucaso meridionale, una regione a maggioranza musulmana, confinante con la Cecenia e vicino alla Georgia e all’Azerbaigian. Gli assalti, avvenuti a Derbent e Makhachkala, la capitale, hanno causato 20 morti, tra cui 15 agenti di polizia, un religioso e quattro civili. I feriti sono 46. Sia la chiesa che la sinagoga attaccate sono a Derbent, città sul Mar Caspio a prevalenza musulmana. Il commissariato si trova invece a Makhachkala, a circa 125 chilometri di distanza. Durante l’attacco padre Nikolaj Kotelnikov è stato decapitato al grido di «Allahu Akbar» (Allah è il più grande). Da quaranta anni il prete ortodosso era in servizio presso la chiesa dell’Intercessione della Beata Vergine Maria di Derbent, la città più antica e meridionale della Russia, patrimonio mondiale dell’Unesco e sede di un’antica comunità ebraica. I media locali hanno reso noto che almeno quattro aggressori sono stati uccisi e tra loro ci sarebbero due degli otto figli di Magomed Omarov, capo del distretto di Sergokalinskij, che è stato arrestato. I suoi figli sono stati identificati in Adil e Osman Omarov, del commando faceva parte anche un loro cugino chiamato Abdusamad Amadziev. Un altro dei militanti uccisi dalle forze di sicurezza a Derbent potrebbe essere il ventottenne Gadzhimurad Kagirov, allievo della scuola di arti marziali intitolata ad Abdulmanap Nurmagomedov, (campione di arti marziali miste e padre del lottatore Umar Magomednabiyevich Nurmagomedov). Come avvenuto con la strage del Crocus City Hall di Mosca (almeno 140 morti), le autorità locali hanno subito addossato la responsabilità all’Ucraina e alla Nato tanto che su Telegram il deputato daghestano Abdulkhakim Gadzhiyev ha scritto: «Non c’è dubbio che questi atti terroristici siano in qualche modo collegati ai servizi segreti dell’Ucraina e dei Paesi della Nato». Nemmeno il tempo di registrare le sue dichiarazioni che in un video diffuso su Telegram si vedono tre uomini vestiti di nero e con le tipiche barbe caucasiche che s’impossessano di un furgone della polizia e prendono la mira con i mitra. In un altro video, uno degli assalitori grida «Allahu Akbar», mentre riprende la sinagoga in fiamme, circostanza che smentisce le surreali accuse all’Occidente. Nella capitale Makhachkala e nella città costiera di Derbent, le autorità hanno instaurato lo stato di emergenza e aperto un’indagine «per atti terroristici». Secondo le informazioni disponibili al momento, gli attacchi sarebbero stati compiuti con armi da fuoco e nella sinagoga si sarebbe poi sviluppato l’incendio. Ma il commando che ha agito domenica a quale sigla terroristica appartiene? Secondo le prime informazioni si tratta del gruppo «Wilayat Kavkaz» (Provincia del Caucaso), un affiliato allo Stato islamico del Caucaso settentrionale e contiguo all’Isis Khorasan (Iskp) che vuol farla pagare ai russi per quanto accaduto in Siria, per l’alleanza con l’Iran sciita e con Erdogan e per il sostegno ad Hamas che è nemico mortale dell’Isis. Mentre scriviamo, sui canali jihadisti una vera e propria rivendicazione non c’è, tuttavia, Al Azaim Media ha emesso una dichiarazione nella quale elogia «i nostri fratelli del Caucaso per le azioni compiute». In uno degli ultimi report la struttura antiterrorismo regionale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco) ha messo in guardia sul fatto che la Wilayat Kavkaz, dove militano jihadisti guerrieri come il ceceno Rustam Azhiev, conosciuto con il suo nome di battaglia Abdul-Hakim Al Shishani, leader della sigla Ajnad Al Kavkaz (Soldati del Caucaso), è diventata sempre più attiva dopo l’attacco al Crocus City Hall e starebbe intensificando gli sforzi di reclutamento nel Caucaso settentrionale. E dove? Il Tagikistan e altri Paesi dell’Asia centrale sono diventati importanti aree di reclutamento per l’Iskp. Mentre gli sforzi di reclutamento dell’Iskp si concentrano principalmente sull’Asia centrale, il rischio di radicalizzazione nel Caucaso settentrionale, in particolare nelle repubbliche russe di Cecenia, Daghestan e Inguscezia è stato in qualche modo sottovalutato dai russi anche a causa dell’invasione dell’Ucraina. Sebbene Mosca abbia represso i movimenti separatisti nella regione, i fondamentalisti armati ribollono di rabbia e il crescente malcontento tra i giovani del Caucaso settentrionale non può essere attribuito esclusivamente all’aggressiva propaganda online. La persecuzione dei musulmani nella regione ha fatto sì che le idee dell’Emirato del Caucaso e dell’Isis nelle sue varie declinazioni raccolgano proseliti. Nel 1999 il wahhabismo, una dottrina basata su una rigida interpretazione del Corano, è stato bandito in Daghestan, dove la persecuzione russa dei musulmani è stata tra le più estreme e sondaggi del 2019 hanno rivelato che il 14,5% degli studenti delle scuole superiori e il 9% degli insegnanti in Daghestan hanno mostrato sostegno ai connazionali che si sono uniti all’Isis. Il Caucaso è quindi pronto a riesplodere ed è un grosso problema per Vladimir Putin.
Leone XIV (Ansa)
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