
La band irlandese, che non ha mai nascosto la vicinanza al cristianesimo, voterà Sì al referendum sull'interruzione di gravidanza Su Twitter scatta la rivolta, fra appassionati che annullano i biglietti dei concerti e altri che rimproverano al gruppo l'incoerenza.C'è mezza Irlanda infuriata per quel tweet che non si aspettava da loro, dalla rock band planetaria considerata più vicina al cristianesimo. Gli U2 hanno lanciato sui social un chiarissimo orientamento al voto per il prossimo referendum del 25 maggio, quello in cui gli irlandesi sono chiamati ad abrogare o conservare l'ottavo emendamento alla Costituzione, cioè legalizzare o non legalizzare l'aborto.«È una questione enorme», ha dichiarato all'Irish Mirror il chitarrista Dave Evans, meglio noto come The Edge, «e so che c'è un'enorme divergenza di opinioni al riguardo e lo capisco, ed è difficile prendere una posizione senza dover riconoscere che c'è un altro lato, ma io sono d'accordo e sostengo l'abrogazione. È la cosa intelligente da fare». Con un altro membro del gruppo, Adam Clayton, Evans ha dichiarato al Times che la decisione di orientare il voto referendario verso il «sì» è stata unanime nella band. Perciò anche Bono Vox, voce e leader degli U2, è della partita.È lui che nel 2013 rispose «sì», in un'intervista concessa alla rete televisiva irlandese Rte, alla domanda se Gesù Cristo fosse Dio. E lo fece citando addirittura il famoso trilemma apologetico di Clive Staples Lewis. Nell'ottobre 2017 è stato anche pizzicato a fare la comunione dopo un concerto in Colombia, a Bogotà, per tacere delle sue molteplici visite in Vaticano, ora per la campagna «cancella il debito», ora per un sermoncino sui poveri o l'importanza dell'immigrazione. Per non farsi mancare nulla, The Edge è stata la prima rock star internazionale a suonare nella Cappella Sistina nel maggio 2016, offrendo a papa Francesco un miniconcerto con un pezzo di Leonard Cohen e tre degli U2, Yahweh, Ordinary love e Walk. Ma ora nulla vieta che i due simpatizzanti cristiani facciano politica a favore dell'aborto, anche perché, occorre dirlo, su questo sono in buona compagnia.Molti fan hanno commentato sui social, dove il gruppo ha aderito alla campagna «Repeal the 8th» per l'abrogazione dell'ottavo emendamento. «Questo mi spezza il cuore», twitta Christy, «vi ho amato e seguito per 20 anni. Vi amo ancora, ma non posso seguirvi su questa strada. I miei biglietti per i prossimi spettacoli resteranno inutilizzati». «Sono deluso da voi ragazzi», scrive Rodrigo Manon. «Why?», chiede un altro utente twitter. «Perché promuovono valori cristiani e questo non lo sembra in alcun modo».Ma non c'è da sorprendersi. Gli U2 fanno parte di un certo bel mondo che ama infiocchettarsi di filantropismo e magari qualche spruzzata di cristianesimo. Bono Vox fa schioccare le sue dita ogni tre secondi per ricordare che sta morendo un bambino in Africa, applaude le Ong che lavorano nel Mediterraneo per l'accoglienza dei migranti, e poi si allinea al pensiero laico mondiale per quanto riguarda l'aborto. O per il matrimonio omosessuale, come aveva fatto in occasione dell'altro referendum che ha cambiato il volto della «cattolicissima» Irlanda. Nel 2015 dopo la epocale vittoria del matrimonio gay, Bono, impegnato in Arizona con la band, aveva ringraziato i milioni di persone che con quel voto sancivano come «l'amore è la legge più alta della terra». E aggiunse, da vero predicatore buono per tutti i gusti: «Se Dio ci ama, chiunque amiamo, da dovunque veniamo, allora perché non può lo Stato?».È il pensiero del bel mondo global. Non a caso Bono fu uno degli invitati al terzo matrimonio del noto magnate George Soros nel 2013, e con lo stesso magnate, e tanti altri, dalla collega Madonna alla regina Elisabetta, Bono è comparso nella famosa lista dei Paradise papers, documenti riservati che hanno svelato investimenti milardari in paradisi fiscali off shore. Peraltro, in materia di fisco gli U2 erano già stati oggetto di una polemica nel 2006 quando, mentre predicavano l'impegno dei governi ricchi a favore di quelli poveri, per pagare meno tasse in Irlanda, trasferirono il ramo della pubblicazione musicale ad Amsterdam. Con Soros ora gli U2 condividono anche la battaglia referendaria per l'aborto in Irlanda, visto che il magnate di origini ungheresi è intervenuto attraverso la sua Open society foundation finanziando gruppi pro aborto del paese. Il leak di un documento riservato della fondazione ha permesso di comprendere le motivazioni di questi soldi elargiti: «Con una delle leggi sull'aborto più restrittive al mondo, una vittoria [in Irlanda] potrebbe avere un forte impatto su altri paesi fortemente cattolici in Europa, come la Polonia, e potrebbe rappresentare la dimostrazione che il cambiamento è possibile, anche in luoghi molto conservatori».Questa filantropia un po' zoppicante pervade ormai anche i tribunali e la chiesa d'oltremanica. Il recente caso di Alfie Evans da questo punto di vista è stato uno spartiacque: l'atteggiamento di giudici e medici nel ritenere il «miglior interesse» del bambino quello di farlo morire, è stato purtroppo accompagnato da dichiarazioni della chiesa cattolica inglese orientate sulla stessa linea. Il cardinale di Westminster, Vincent Nichols, ha difeso la scelta del «best interest» del bambino indicata da medici e giudici e ha attaccato coloro che hanno preso posizione contraria dicendo che fra di loro qualcuno ha «usato la situazione per scopi politici». La vita diventa così disponibile alla dittatura della libera scelta. Ma quando la libera scelta, come nel caso dei genitori del piccolo Alfie, non collima con quella stabilita a colpi di maggioranza o di sentenza allora che intervenga lo Stato. E se serve, per convincere il popolo, si trovi qualche menestrello moralizzatore a disposizione.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






