2019-01-26
Cassazione assediata dai «profughi». I ricorsi per l’asilo salgono del 512%
Nel 2018 impennata di cause intentate da migranti ai quali è stata rifiutata la protezione internazionale. È il risultato del decreto di Marco Minniti e Andrea Orlando, che ha abolito l'appello e scaricato tutto sulla Suprema corte.Il boom dei ricorsi in materia di protezione internazionale rischia di paralizzare l'attività della Cassazione. Nel 2018, l'incremento delle pratiche arrivate sulle scrivanie dei giudici della Suprema corte è stato del 512,4%. Il numero esatto non è stato detto, ma sono parecchie migliaia. La statistica, tanto anomala quanto preoccupante, è uscita ieri a sorpresa durante l'inaugurazione ufficiale dell'anno giudiziario 2019 dalla cartella del primo presidente della Cassazione stessa, Giovanni Mammone. Si tratta degli effetti (evidentemente perniciosi) del decreto con cui nel febbraio 2017 l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti e quello della Giustizia Andrea Orlando avevano stabilito che i provvedimenti delle neonate sezioni specializzate dei tribunali in materia di immigrazione fossero impugnabili non in Corte d'appello, ma esclusivamente (e direttamente) in Cassazione. È il solito paradosso che, nella giustizia italiana, separa i problemi dalle soluzioni che vengono ideate dalla politica. Il decreto Minniti-Orlando prevedeva infatti che le nuove sezioni fossero delegate proprio ad accelerare lo smaltimento dell'elevatissimo numero dei ricorsi proposti da decine di migliaia di richiedenti asilo che si erano visti respinti dalle commissioni territoriali prefettizie. Il fenomeno dei troppi ricorsi di migranti, denunciato più volte dalla Verità, da anni ingolfa molti tribunali italiani (soprattutto quelli di Milano, Palermo, Venezia, Roma e Torino) con processi inutili e il più delle volte strumentali, tesi a procrastinare il provvedimento d'espulsione che dovrebbe fare seguito al no delle commissioni territoriali. La reale motivazione alla base di tutti quei procedimenti civili aperti, infatti, non è tanto il desiderio di vedersi riconosciuto un giusto diritto. Ma quello di ottenere un permesso temporaneo di accoglienza. I tempi di attesa della nostra giustizia del resto sono lunghi per tutti: in primo grado il tribunale di solito impiega in media dai dieci mesi a un anno per trattare qualunque caso, e quindi anche la pratica di un immigrato che chiede la revoca di un no opposto alla sua richiesta di asilo. In Corte d'appello (quando ancora il secondo grado di giudizio era coinvolto nel tema, e cioè prima del decreto Minniti-Orlando del 2017) si perdevano altri 12-14 mesi. Il risultato, comunque positivo per le migliaia e migliaia di ricorrenti (indipendentemente dall'esito), era che nell'attesa della sentenza definitiva ottenevano tutti i benefici: il permesso temporaneo di soggiorno, con l'assistenza sanitaria pubblica, il diritto all'istruzione e all'accoglienza in una struttura convenzionata, o in alternativa un sussidio sui 35 euro giornalieri, circa 1.000 al mese.Per cercare di ovviare alla situazione, accelerando almeno i tempi legali dell'esame di tutte quelle pratiche fuffa, il decreto Minniti-Orlando aveva stabilito che, «in materia d'immigrazione, di protezione internazionale e di libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea», fosse possibile «un provvedimento non reclamabile e ricorribile solo per Cassazione». Quindi da circa un anno, sulla materia, si salta l'appello e si va direttamente alla Suprema corte. Il boom dei ricorsi approdati nel 2018 in Cassazione si spiega proprio così. Del resto, basta ricordare che cosa accadeva solo pochi anni fa. Nel 2014 il 73% dei migranti che si erano visti negare il diritto d'asilo aveva fatto ricorso in un tribunale: soltanto quell'anno, quindi, erano state aperte circa 10.000 pratiche. Nel 2015 la quota era arrivata all'80%, ma il numero degli stranieri respinti dalle commissioni era salito a 37.400: quell'anno, nei palazzi di giustizia italiani si erano così accumulati altri 30.000 ricorsi. A quel punto, tra i migranti si era evidentemente sparsa la voce sull'esistenza di quel furbo trucco legale. E il giochetto dei ricorsi aveva fatto l'en plein: nel 2016 la quasi totalità dei 55.400 respinti aveva bussato a un Palazzo di giustizia. A spanne, dal 2014 al 2016 l'emergenza ricorsi dei richiedenti asilo respinti aveva quindi superato i 90.000 procedimenti.Il problema è che la decisione di togliere il tappo del secondo grado al flusso delle ondate di ricorsi, a partire dal 2017, ha avuto il solo risultato di fare precipitare troppa acqua in Cassazione. In un solo colpo. E che cosa è accaduto, ieri, lo ha spiegato efficacemente Mammone: «Un afflusso che, nonostante l'impegno della prima sezione civile della Suprema corte (competente in materia, ndr), ha comportato un aumento considerevole della pendenza».Anche David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, si è detto molto preoccupato: il problema, ha detto, «può diventare una vera emergenza». Come se già non bastassero tutte le altre.Nonostante questo, il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio non ha fatto mancare un attacco al governo. «Gli interventi di riforma legislativa debbono cessare di essere rapsodici, emotivi, privi di una ratio a tutto tondo e di spirito di sistema volte centrati sull'aumento delle pene come risposta epidermica e reattiva a situazioni di emergenza», ha detto. Il pg ha tirato una stoccata anche alla riforma della prescrizione: «Se si può condividersi certamente l'idea di fondo di una sospensione (anche amplissima) della decorrenza della prescrizione dopo un primo accertamento giudiziale significativo, quale la sentenza di primo grado, perché tale abbrivio decolli verso una razionalità di sistema occorrerà che siano rimodellati tutti i tempi ragionevoli del processo».