2020-09-25
Caso Gregoretti, Salvini all’attacco: «Scafisti in nave, governo coinvolto»
Il leader della Lega deposita 50 pagine di memorie in vista dell'udienza del 3 ottobre, a Catania. «I 100 stranieri erano al sicuro», si difende l'ex ministro negando il sequestro. E tirando in ballo Danilo Toninelli.A bordo della Gregoretti c'erano due scafisti. Gli oltre 100 migranti sono rimasti sulla nave senza pericoli, solo il tempo necessario per concordare con altri Paesi il loro trasferimento. Il governo italiano è stato coinvolto passo dopo passo: in particolare il dicastero dei Trasporti, allora guidato dal grillino Danilo Toninelli, che ha individuato un luogo di sbarco sicuro. L'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini, contrattacca. Sabato 3 ottobre, a Catania, è fissata l'udienza davanti al gup, Nunzio Sarpietro. E il leader della Lega ribatte alle accuse con una lunga e articolata memoria difensiva basata su tre capisaldi: scafisti a bordo, migranti al sicuro, governo informato. Cinquanta pagine. E, in allegato, la fittissima corrispondenza per definire il ricollocamento: tra presidenza del Consiglio, ministero degli Esteri, Commissione europea e nazioni dell'Ue. A dimostrazione che un accordo era indispensabile. Il capitano leghista si difende. Non è il pirata finito a processo per il mancato sbarco di 131 migranti, bloccati quattro giorni sulla Gregoretti fino al 31 luglio 2019, quando viene data l'autorizzazione ad attraccare nel porto di Augusta. Salvini resta indagato per sequestro di persona pluriaggravato: un reato che prevede fino a 15 anni di carcere. L'udienza preliminare è stata fissata dopo l'autorizzazione a procedere concessa dal Senato lo scorso 30 luglio. Seguita dalla richiesta di rinvio a giudizio della Procura siciliana. Nessun sequestro di persona, invece. «Non si è verificata alcuna illecita privazione della libertà personale in attesa dell'organizzazione del trasferimento dei migranti presso la destinazione finale», spiega la memoria. Che ricostruisce minuziosamente il salvataggio. Da quando, alle 7.30 del 26 luglio 2019, il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo comunica il trasbordo sulla Bruno Gregoretti, unità della Guardia costiera, di 135 persone. I migranti sono stati salvati delle autorità italiane in acque maltesi, su richiesta della Valletta, sotto pressione per operazioni analoghe. Tra le persone soccorse, ci sono anche due donne incinte, due accompagnatori, due malati. Tutte e sei, ricostruisce la memoria, sbarcano a Lampedusa la sera del 25 luglio, prima ancora dell'arrivo della nave.Restano dunque 131 persone a bordo. Carmine Berlano, comandante della Gregoretti, nell'annotazione di polizia giudiziaria scrive: «Il personale sanitario, dopo aver visitato i migranti, non segnalava nessun caso grave, ovvero nessuna necessità di procedere a evacuazione medica». Così, alle 18.10 del 27 luglio, viene indicato il luogo di attracco sicuro: il pontile militare Nato del porto di Augusta. Nel frattempo, scende anche una donna incinta, con il marito e due figli piccoli. I migranti restano 131. La notte del 28 luglio l'imbarcazione rimane ormeggiata: «In continuo collegamento con le autorità portuali, che garantirono sempre la necessaria assistenza e l'afflusso costante di viveri e farmaci». Il giorno successivo sbarcano altri minori, come richiesto pure dall'autorità giudiziaria. Sulla nave, ricostruisce la memoria salviniana, non ci sono episodi di insofferenza. Tre pasti al giorno e buone condizioni igieniche.La mattina del 31 luglio tocca terra un immigrato con sospetta tubercolosi. E, poche ore dopo, viene comunicata l'autorizzazione allo sbarco delle 115 persone rimaste a bordo. Un'attesa definita «necessaria» dal leghista. Per concordare, assieme al governo, la redistribuzione negli altri Paesi. Un punto su cui Salvini insiste molto. I vecchi alleati adesso fischiettano mani in tasca, sperando che ogni eventuale responsabilità ricada sull'ex ministro dell'Interno. Ma la memoria ribalta la prospettiva: tutte decisioni condivise. La difesa segnala anche «l'anomalo ritrovamento di un dispositivo»: il Gps nascosto in uno zainetto che lascia «desumere la probabile presenza a bordo degli scafisti responsabili del traffico». Infine, vengono riportate le parole di Luca Palamara, protagonista dell'inchiesta Toghe sporche. In una chat l'ex membro del Csm parla del caso Diciotti, progenitore dell'inchiesta sulla Gregoretti, con un collega che non capiva «veramente dove Salvini sta sbagliando». Palamara lo gela: «Hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo». Per questo, il leghista confessa che la sua fiducia «vacilla». Eppure: «Confido, senza timore, nel giudizio della magistratura». E anche, aggiungiamo noi, nella scompostezza degli avversari. Le Regionali, infatti, non sono state l'aspettato trionfo. Così perfino il placido governatore ligure, Giovanni Toti, comincia a mettere in discussione la leadership nel centrodestra. Per fortuna, però, c'è la maggioranza a dare inconsapevole manforte a Salvini. Il Pd tenta, con ottime probabilità di successo, di scardinare i decreti Sicurezza e rilanciare lo ius soli. E le residue resistenze degli alleati pentastellati sono ormai superate dalla guerra intestina per la sopravvivenza. Intanto, l'Ue continua a sbattere porte in faccia ai giallorossi. Così, un processo parapolitico diventa per il capitano leghista l'occasione imperdibile. Da usuale carnefice a vittima sacrificale, la rincorsa è cominciata.