Studio della fondazione Hume rivela: le abitazioni, dove non si usa la mascherina, e i reparti, con alta densità di infetti, sono ai primi posti tra i luoghi di diffusione del virus. La ventilazione meccanica è una difesa decisiva, ma nelle scuole non è mai stata adottata
Studio della fondazione Hume rivela: le abitazioni, dove non si usa la mascherina, e i reparti, con alta densità di infetti, sono ai primi posti tra i luoghi di diffusione del virus. La ventilazione meccanica è una difesa decisiva, ma nelle scuole non è mai stata adottataMa dov’è che si corre maggiormente il rischio di contagiarsi? E cosa si sarebbe potuto fare in concreto per ridurre le probabilità di contagio in quei contesti? A queste domande - che ognuno di noi si è posto mille volte - ha provato a dare una risposta rigorosa un documentatissimo studio di Mario Menichella, divulgatore scientifico impegnato con la Fondazione David Hume (www.fondazionehume.it), guidata da Luca Ricolfi. Menichella fa subito una premessa decisiva: il punto cruciale è la «gravità della malattia che il contagiato svilupperà», che - spiega l’autore del paper - «è legata (a parità di altri fattori come ad esempio l’età e le condizioni della persona) alla “dose” di virus assorbita, in particolare tramite la respirazione». E così si arriva alla domanda delle domande: «Dove rischio di prendermi la forma più grave?».Con ammirevole onestà intellettuale, Menichella ci fa sapere che la letteratura scientifica su questi temi è scarsa: ci sono studi su singoli luoghi (autobus, per esempio), ma pochi confronti quantitativi tra un luogo e l’altro. Uno studio a cui Menichella dedica particolare attenzione è comparso sulla rivista Nature a gennaio a proposito dei cosiddetti «luoghi superdiffusori». E cosa viene fuori? È fondamentale «ridurre la massima occupazione di un ambiente» (mezzo di trasporto, supermercato, ecc): fare questo, ad esempio nella misura di un 20%, può portare a una riduzione del numero di infezioni fino all’80%. Sembra intuitivo, perfino banale. Eppure, chiosa Menichella, «è l’opposto di quanto si è fatto in Italia, dove i centri commerciali sono stati chiusi nei weekend, le corse degli autobus sono state ridotte con la chiusura delle scuole, invece di ridurre al minimo il tasso di occupazione consentito al chiuso e aumentare al massimo orari di apertura e corse». Menichella è chirurgico nel trarre una conclusione logica: «L’impatto economico dei lockdown in Italia è stato devastante», mentre «limitare l’occupazione massima avrebbe consentito di mitigare quest’impatto tutt’altro che secondario e di non dover chiudere per mesi intere attività in modo indiscriminato, come invece è stato fatto».Una sezione importante del lavoro di Menichella è poi dedicata a uno strumento decisivo per difendersi: l’importanza di un ricambio d’aria elevato. Ad esempio, annota l’autore del paper, «una ricerca dell’Arpa Piemonte […] ha confermato una minore presenza del virus negli ospedali e nei luoghi al chiuso dove il sistema di areazione funziona alla perfezione».In sostanza, dice lo studio della Fondazione Hume, tra i punti di diffusione, «nettamente ai primi due posti si trovano la casa (in quanto lì non si usano le mascherine) e l’ospedale (in quanto vi è un’alta densità di infetti Covid, spesso anche quando fuori di esso il numero è basso)». Ma attenzione: «Se nell’ospedale c’è un tasso di ricambio d’aria elevato, il virus circola meno». E non è paradossale ma logico, purtroppo, il fatto che sovente «a casa o in ospedale una persona sana si contagi più facilmente», e che «spesso le conseguenze su intere famiglie siano letali. In questi ambienti, si ha infatti il cosiddetto “reinoculo” del virus, che ne facilita il prevalere sul sistema immunitario».E allora la classifica, se possiamo usare impropriamente questo termine, vede in testa (staccatissime rispetto agli altri luoghi) case e ospedali, seguiti da aule scolastiche e metropolitane. Quanto alle aule, sono a rischio «a causa dell’assenza di ricambio d’aria continuo». Per questo, la Fondazione Hume insisteva da mesi, purtroppo inascoltata come La Verità, per «la necessità di avere, in ogni aula scolastica, un sistema di Ventilazione Meccanica Controllata». Ma, com’è noto, i decisori politici hanno preferito dedicarsi ai banchi a rotelle. Veniamo ai mezzi di trasporto, metropolitane in testa. Queste ultime sono particolarmente pericolose non solo per ragioni ovvie (tasso di occupazione alto), ma anche per un altro motivo: «Il ruolo principale della metropolitana nel diffondere i contagi - scrive Menichella - non sta tanto nel numero di contagi che vi avvengono a bordo […], quanto per il fatto che quei […] contagi mettono in contatto cerchie in cui il virus era presente con cerchie in cui non lo era ancora». È un po’ come se, appiccato il fuoco in un punto del bosco, il vento spargesse dei tizzoni ardenti in giro e a grande distanza [… bruciando più rapidamente il bosco». Dunque, torna decisivo il tema della riduzione dell’occupazione massima consentita. Altro che lockdown, pensando al 2020. E altro che green pass, pensando ai giorni nostri. Meglio ridurre il tasso di occupazione di un luogo che impedire o restringere gli accessi a molti luoghi. «Si noti - aggiunge Menichella - che in Italia si è andati invece addirittura nella direzione opposta, poiché con il coprifuoco praticato nel periodo più critico della pandemia si è spinto al massimo il tasso di occupazione delle metro nelle fasce serali, dato che le persone dopo cena dovevano rincasare presto per evitare la multa». Unica buona notizia: «Il contagio outdoor» è «un problema trascurabile»: «la probabilità di trasmissione indoor è circa 20 volte maggiore rispetto a quella outdoor, per cui all’aperto si può stare senza mascherina senza correre rischi particolari, se si sta a qualche metro da altri (ma il governo italiano, anche in questo caso, è andato proprio nella direzione opposta!)», conclude Menichella.
Vincenzo Spadafora ed Ernesto Maria Ruffini (Imagoeconomica)
L’operazione Ruffini, che Garofani sogna e forse non dispiace a Mattarella, erediterebbe il simbolo di Tabacci e incasserebbe l’adesione di Spadafora, già contiano e poi transfuga con Di Maio. Che per ora ha un’europoltrona. Però cerca un futuro politico.
Ma davvero Garofani ha parlato solo una volta? No. Francesco Saverio Garofani, il consigliere per la Difesa del presidente Mattarella, non ha parlato di politica solo una volta. Possiamo dire che solo una volta le sue parole sono uscite. Così, la sua incontenibile fede giallorossa si è avvitata all’altra grande passione, la politica, provocando il cortocircuito.
Roberta Pinotti, ministro della Difesa durante il governo Renzi (Ansa)
Per 20 anni ha avuto ruoli cruciali nello sviluppo del sistema di sicurezza spaziale. Con le imprese francesi protagoniste.
Anziché avventurarsi nello spazio alla ricerca delle competenze in tema di Difesa e sicurezza del consigliere del Colle, Francesco Saverio Garofani, viene molto più semplice restare con i piedi per terra, tornare indietro di quasi 20 anni, e spulciare quello che l’allora rappresentante dell’Ulivo diceva in commissione.Era il 21 giugno 2007 e la commissione presieduta dal poi ministro Roberta Pinotti, era neanche a dirlo la commissione Difesa. Si discuteva del programma annuale relativo al lancio di un satellite militare denominato SICRAL-1B e Garofani da bravo relatore del programma ritenne opportuno dare qualche specifica.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 21 novembre con Flaminia Camilletti
Gianfranco Lande durante un’udienza del processo che l’ha coinvolto (Ansa)
I parenti del consigliere hanno investito una fortuna con Gianfranco Lande. Che per prendere tempo li spingeva a fare «condoni» sui capitali.
Francesco Saverio Garofani in questi giorni viene raccontato come il gentiluomo delle istituzioni, il cattolico democratico che ha attraversato mezzo secolo di politica italiana con la felpa della responsabilità cucita addosso. Quello che nessuno racconta è che lui, insieme a una fetta consistente della sua famiglia, è stato per anni nel giro di Gianfranco Lande, il «Madoff dei Parioli». E che il suo nome, con quello dei tre fratelli, Carlo, Giorgio e Giovanna (che negli atti della Guardia di finanza vengono indicati in una voce cumulativa anche come fratelli Garofani), riempie la lista Garofani nell’elenco delle vittime allegato alla sentenza che ha raccontato, numeri alla mano, la più grande stangata finanziaria della Roma bene, insieme a quello di un certo Lorenzo (deceduto nel 1999) e di Michele, suo figlio, del cui grado di eventuale parentela però non ci sono informazioni.






