2025-06-01
I Casarini boys stavolta provano a farsi soccorrere dal pontefice
Don Mattia: Leone ci sostiene. Lui però esorta il clero: «Ridare credibilità alla Chiesa».Continua, giorno dopo giorno, sia a Roma che nelle tante diocesi della cristianità, l’opera leonina di paziente e chirurgica «restaurazione» della Chiesa. Non nel senso, ovviamente, del Congresso di Vienna, ma nella logica della «pacificazione interna» tra le varie anime del cattolicesimo, viste come diverse espressioni dell’unica fede trasmessa dagli apostoli. Durante l’udienza pontificia di venerdì 30, concessa ai membri dei movimenti popolari per la pace, una delegazione di Mediterranea, la Ong del famigerato Luca Casarini e guidata da don Mattia Ferrari, «nostro cappellano di bordo», sarebbe stata ricevuta da Leone XIV e in qualche modo incoraggiata dal pontefice. Secondo don Ferrari, cappellano dei no global - che al contrario del Papa non spende mai una parola in difesa dei temi caldi della famiglia e della vita - «soccorrere le persone, accoglierle e strapparle ai naufragi e ai respingimenti» significa «dare carne a quella fraternità» che andrebbe «scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata». Il giovane sacerdote, che parla moltissimo dei poveri e dei migranti (e un po’ meno di Dio), conclude quindi il suo comunicato ringraziando sia papa Francesco sia papa Leone poiché anche quest’ultimo avrebbe supportato le attività di Mediterranea, adesso finite sotto la lente dei magistrati di Ragusa, con il rinvio a giudizio di sei attivisti - Casarini incluso - per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mostrando «una Chiesa attenta agli ultimi» e a chi «patisce l’ingiustizia e gli orrori di questo mondo».Se però si va a prendere il discorso che il Vicario di Cristo ha tenuto venerdì in Vaticano si nota che sono citati il vescovo di Verona, monsignor Domenico Pompili e i padri comboniani, l’israeliano Maoz Inon e il palestinese Aziz Sarah, ma di Mediterranea, Casarini e don Mattia non c’è traccia.Inoltre, il testo del discorso, come sempre bello e ricco pur nella brevità a cui ci sta abituando il novello Vicario di Cristo, non parla mai di immigrazione e respingimenti, ma del tema non meno importante della «costruzione della pace». Messa in pericolo, contro i cantori della contemporaneità, proprio dalla società di oggi, in cui secondo Prevost c’è «troppa violenza» e abbondano fenomeni tremendi come le «guerre», il «terrorismo», la «tratta di esseri umani» e «l’aggressività diffusa».Tutti debbono impegnarsi per la pace, ha raccomandato Leone, «credenti e non», ma essa è attingibile, come disse san Giovanni Paolo II, solo con «una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune». Per i cristiani poi, i riferimenti non sono Marx e il pensiero egemone antinazionale, ma «Il Vangelo e la Dottrina sociale» della Chiesa. Che Prevost rilancia come «nutrimento costante di questo impegno» per la pace, per la «nonviolenza», la «dignità della persona» (che per Leone precede la nascita) e il «bene comune».I tweet e gli articoli di don Ferrari sono un manifesto di anti patriottismo radicale e anzi per lui, Casarini e gli ambienti di cui essi sono espressione, le idee stesse di «patria» e di «confini» sarebbero contrarie alla giustizia e alla fraternità. Sbaglia allora il duo a coprirsi dietro la tonaca bianca di papa Leone, il quale, salutando nell’udienza generale di mercoledì 28 i pellegrini polacchi, ha ricordato l’eroico cardinale Stefan Wyszynski, che «durante il periodo di persecuzione della Chiesa in Polonia», messa in atto dai comunisti, «rimase un pastore fedele a Cristo», dando testimonianza di «sollecitudine per la Chiesa e per la Patria».Del resto, se il primo beato di Leone è stato don Stanislao Kostka Streich, la cui «opera in favore dei poveri e degli operai» infastidiva «i seguaci dell’ideologia comunista», ieri scrivendo ai vescovi francesi, ha denunciato i mali storici dell’Occidente postcristiano: «l’indifferentismo, il materialismo e l’individualismo». Prevost ha anche invitato i sacerdoti a condurre «vite credibili» per ricostruire, appunto, «la credibilità di una Chiesa ferita».
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