
Il capo dello Stato, in visita a Recanati, ha definito «intollerabili» i confini. Stravolgendo l'idillio del poeta marchigiano. Che amava il limite senza il quale l'Io non può riconoscersi e sviluppare la propria personalità.I confini sono «intollerabili»? È un concetto da prendere in considerazione, soprattutto se detto dal presidente di uno Stato, che naturalmente ha dei confini, della cui difesa e tutela è il massimo responsabile. Sergio Mattarella all'inaugurazione del nuovo assetto dato dal meritorio Fai al colle di cui parla Giacomo Leopardi nell'idillio L'infinito ha dichiarato che «la nostra cultura, come quella di Leopardi, non tollera confini». Ha coinvolto così la cultura italiana e Giacomo Leopardi in una fobia per i limiti e confini molto in voga in epoca di globalizzazione (che del resto oggi ha i suoi problemi), ma certo estranea al poeta di Recanati. Non solo perché Leopardi era un patriota che preparava (per esempio) i suoi discorsi alle madri italiane, trasmettendo loro la preoccupazione che branchi di animali potessero tra breve pascolare tra «le ruine dei nostri antichi sommi edifici» ed esortandole al coraggio perché i figli «forti sono creati da madri e padri forti e bravi». Ma soprattutto perché era portatore di un pensiero profondo, che non può essere banalizzato per propagandare una visione alla moda o politicamente corretta.Era lui stesso autore di quella «sublimità di pensieri e coraggio inaudito» cui esortava i giovani italiani non per posa o mestiere, ma perché gli stavano davvero a cuore. Coraggio e pensiero elevato vanno sempre insieme, così come la viltà e il conformismo. Leopardi non deve essere banalizzato perché è un vero patrimonio nazionale, che tutti noi, compreso il presidente della Repubblica, dobbiamo trasmettere correttamente, senza sfigurarlo in omaggio al pensiero debole, da lungo tempo dominante e demoralizzante.L'infinito (oltre a essere bellissimo), è la dimostrazione di questa unione tra solitudine e coraggio, dell'aspirazione alla grandezza e insieme della consapevolezza del limite e della sua funzione, lontano da ogni grandiosità narcisistica. Il poeta ama, da sempre, il colle solitario che gli mostra l'infinito da lontano, ma anche la siepe, il confine, che glielo nasconde. Non ci si perde, nell'infinito: è grato al colle che schiude gli orizzonti come alla siepe che gli impedisce di vederne la gran parte. È la condizione dell'uomo saggio, consapevole della propria finitezza, collocata però in un orizzonte amplissimo, quello sì senza confini, come il silenzio. Che è appunto il contrario delle affrettate chiacchiere di circostanza.Il poeta ama la siepe, i confini, che delimitando lo spazio attorno a lui gli consentono di autoriconoscersi e collocarsi nel tempo, le stagioni passate, «e la presente, e viva e il suon di lei». Al contrario delle semplificazioni propagandistiche, infatti, nella realtà tutto è unito: il passato e il presente, l'apertura e la chiusura, l'infinito e il limite. È la grande lezione della filosofia greca e latina, da Eraclito in poi: l'unione tra opposti, che ci insegna a mettere insieme i poli contrari a cominciare dal maschile e il femminile, perché sono loro, e non gli uguali, a sprigionare la vita. Ciò però rende necessari i limiti e confini all'interno dei quali prendono forma le diverse identità. La questione, centrale nella cultura umana, ha anche un delicato profilo psicologico e psichiatrico. Il limite-confine infatti è indispensabile alla costituzione dell'Io e della personalità. Senza di esso, l'Io non si forma e il soggetto scivola nella follia. La stessa comunità cui spesso Mattarella si riferisce ha sempre dei confini piuttosto definiti, dalla carta geografica, la storia, la cultura, le credenze religiose, come Leopardi sapeva perfettamente, grazie alla siepe-confine a lui cara.Il confine insuperabile, però (anche con la presidenza di Giuseppe Conte) è il principio di non contraddizione. Non si può affermare una cosa e il suo contrario, pena lo smarrimento della ragione e dell'identità. «Sempre caro mi fu quest'ermo colle/ e questa siepe, che da tanta parte/ dell'ultimo orizzonte il guardo esclude». Caro. Non intollerabile.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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