2024-10-07
Caro Bassetti, lo sceriffo (anzi il kapò) è stato lei
Caro Matteo Bassetti, le scrivo questa cartolina perché vedo che insiste. Dopo aver organizzato rumorose festicciole domestiche, non contento di aver disturbato i vicini (casa di riposo compresa) e di aver scomodato i vigili urbani, non contento neppure di avere messo i vigili alla berlina con un video piuttosto alterato in cui li accusava di «prendersela con i deboli» (deboli come lei?), è tornato all’attacco con l’umiltà che la contraddistingue.Anziché chiedere scusa, infatti, come avrebbe fatto ogni persona di buon senso, ha rilasciato interviste a raffica, approfittando della sua popolarità, per accusare i vigili di avere «atteggiamenti da sceriffi». Al che ho capito che dovevo esprimerle tutta la mia solidarietà perché lei è davvero debole, come dice. Molto debole. Soprattutto di memoria.Ora, infatti, lei si dice convinto che i «metodi da sceriffi» non funzionano, e che «funziona di più una pacca sulla spalla». Deve aver dimenticato, evidentemente, quell’altro Bassetti, suo gemello, che diceva «chi non si vaccina lo andrei a prendere a casa» (19 novembre 2021), «buttiamo i non vaccinati fuori da cinema e ristoranti» (6 novembre 2021), «vietiamo le manifestazioni contro il green pass» (8 novembre 2021), «condanne esemplari per i no green pass» (5 aprile 2021) e «radiamo dalla professione i medici non vaccinati» (8 luglio 2021). Diciamocelo: lei ha passato gli ultimi anni della sua vita a invocare «metodi da sceriffi» e adesso scopre che «funziona di più una pacca sulla spalla»? Siccome è debole di memoria, mi permetto di ricordarle quando pubblicò la vignetta in cui auspicava di mandare i no vax ad Auschwitz. Anche se lì, per la verità, più che metodi da sceriffi lei invocava metodi da kapò. Però, ecco, vorrei esprimerle tutta la mia vicinanza perché lei è davvero «debole». Debole di memoria. Debole di coerenza. E debole di serietà. Perciò va capito: non è colpa sua se non si rende conto che le regole, compresa la regola di non dare festini notturni disturbando il vicinato, vanno rispettate. E che se non le si rispetta, si incorre in una sanzione. E se i vigili applicano la sanzione fanno il loro dovere, mica gli sceriffi. Chi ha un po’ di popolarità, per altro, dovrebbe cercare di dare il buon esempio, e se sbaglia dovrebbe chiedere scusa. Ma lei non se rende conto e preferisce autoesaltarsi, accusando il mondo di invidiarla. Come se fosse davvero possibile invidiare uno che negli ultimi anni ha scritto Il mondo è dei microbi e Pinocchi in camice. Due evidenti autobiografie.Per altro, caro Bassetti, essendo lei davvero debole di memoria non ricorda neanche che quella sua popolarità è stata costruita sui morti e sulle sofferenze altrui. Meriterebbe di essere usata meglio. Purtroppo, lei non ci arriva: da sempre dedito, più che alla ricerca scientifica, alla ricerca della telecamera, non ne ha mai azzeccata una («Il coronavirus? Fuori dalla Cina non è contagioso», 6 febbraio 2020) ma continua a pontificare. Ha dato del rincoglionito a Luc Montagnier, ha definito maghi&fattucchiere i medici che curavano i malati di Covid a casa, anziché mandarli al macello in ospedale, e dopo aver chiesto il coprifuoco per tutti ora attacca i vigili che le chiedono di non fare baccano nel cuore della notte. È folle, ma noi la perdoniamo perché non è colpa sua. È che è lei debole davvero. Pure di comprendonio.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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