2025-07-16
Carlo Pagnotta: «A Umbria Jazz volevo solo i migliori ma i capelloni mi davano del fascio»
Un'edizione di Umbria Jazz negli anni Settanta. Nel riquadro, Carlo Pagnotta
L’inventore del festival Carlo Pagnotta: «Negli Anni di piombo giravo con il tubo Innocenti per difendermi. “Cavallo pazzo” era l’incubo degli artisti e gli hippy fischiavano i bianchi. Per l’assalto alla Madonna di Todi arrestarono me».Mister Umbria Jazz si gode lo spettacolo: la sua creatura ha preso vita, corre come un treno ed è «solo» la quarantottesima volta che il prodigio si ripete. «A quasi 92 anni Carlo Pagnotta può tranquillamente andare ai giardinetti», ci confida soddisfatto il padre del festival, parlando in terza persona, «il mio staff è una macchina da guerra». A sbirciare l’agenda, il direttore artistico che ha trasformato la sciarpa gialla in un talismano non sembra comunque aver scalato le marce. E la lista dei vecchi (o giovani) amici che deve ancora accogliere da qui a domenica assomiglia a una playlist di Spotify: Marcus Miller e Jacob Collier domani sera, Kamasi Washington venerdì, Enrico Rava in duo con Fred Hersch sabato, Paolo Fresu e Omar Sosa a chiudere. È solo un assaggio perché tra il teatro Morlacchi e i giardini Carducci, di musica a Perugia ne scorrerà parecchia. Forse però non tutti quelli che passeggiano beati in quest’oasi di suoni e bellezza sanno che il libro dei ricordi di Pagnotta è animato da concerti memorabili e violenti assalti ai palcoscenici, processioni religiose tra i lacrimogeni, cariche della polizia, capelloni coi sacchi a pelo e «legnate» degne di Peppone e don Camillo.Il debutto di Umbria Jazz è datato 1973, ma i semi erano stati piantati molto prima. Nel 1955, ad esempio, sbarca a Perugia il mitologico trombettista Louis Armstrong.«Tanto vale andare ancora più indietro nel tempo, quando di notte, nel buio della mia cameretta di un collegio fiorentino, tiravo fuori di nascosto la radio a galena. Scommetto che non ne ha mai vista una…».Infatti.«Prima dei transistor c’era questo aggeggio simile a una roccia rossiccia, con due sensori e le cuffie. Con un po’ di pazienza si beccava qualche stazione. E io, nel 1949, intercettai il Festival del jazz di Parigi con Charlie Parker e Miles Davis».Il destino che bussa via onda radio.«Già da piccolo ero particolare. I miei compagni amavano le canzoni napoletane? Io Frank Sinatra. E in libera uscita mi fiondai da Nannucci ad acquistare i primi dischi: Parker, ovviamente, e Dizzy Gillespie. Quando tornai a Perugia, dopo la maturità, entrai nel circolo locale del jazz di Adriano Mazzoletti. E diedi una mano per portare in città Armstrong, ma anche un trombettista che avrebbe fatto strada. Si chiamava Chet Baker».Allora qual era la capitale italiana del jazz?«A Bologna c’era un festival favoloso. Andai a conoscere chi l’aveva messo in piedi: Alberto Alberti e “Cicci” Foresti. Due incontri fondamentali».Facciamo un balzo in avanti. Dopo vari esperimenti, negli anni Settanta vedono la luce le regioni e lei intuisce che è la sua occasione.«Chiesi appuntamento al mitico assessore Provantini (dirigente Pci scomparso nel 2014, ndr), che mi disse: “Facciamo il festival, gratuito e itinerante!”. Chi l’avrebbe mai detto che avremmo sbattuto il muso contro la contestazione giovanile…».Un libro di Francesco Rondolini (Il Festival di Umbria Jazz, Morlacchi editore) racconta scene surreali, cadute nell’oblio. Una marea umana che punta verso la regione, Woodstock che si materializza tra le mura medievali delle città umbre, vicoli e piazze invase di gente. Una bomba destinata a esplodere.«Un manicomio, giravo sempre con il tubo Innocenti, quello d’acciaio per i ponteggi…».Autodifesa?«Non sono mai stato un colosso, ma in caso d’emergenza chi mena per primo, mena due volte. Giravano parecchi delinquenti e dovevo sempre correre dietro a qualcuno, in primis al celebre “Cavallo pazzo” che contro i musicisti lanciava qualsiasi cosa. Era più veloce di me, però un giorno lo acchiappai… La situazione diventò subito insostenibile, anche a livello igienico. I portoni erano cessi a cielo aperto e dentro a quei sacchi a pelo ci facevano di tutto, pure in pieno giorno. Non mi faccia entrare nei dettagli…».A Todi nel 1974 accade l’irreparabile. La piazza trabocca di hippy, ma dal Duomo parte la processione della Madonna del Campione.«Fischi, insulti, bestemmie, i capelloni lanciarono di tutto contro il vescovo e i suoi fedeli. Un pandemonio che andava evitato, il Comune però non ci aveva avvertito. E quel giorno arrestarono pure me».Perché?«Due giovani poliziotti vennero a cercarmi: “Lo vede cosa sta succedendo? Guardi che spariamo!”. E io: “Voi sparate le seg…”. Mi caricarono sulla camionetta».Nel frattempo le contestazioni ai musicisti erano diventate la normalità: Stan Getz costretto a scendere dal palco tra le pernacchie, «Chet Baker sfruttatore dei neri», «Count Basie servo della Cia», «Marcello Rosa fascista»...«Una cantante si presentò in abito da sera e venne umiliata dai contestatori. Pianse per giorni. Su Chet ne avrei da raccontare...».Prego.«Pranzo a Pescara, nel 1975, c’è anche il leggendario contrabbassista Charles Mingus. A un certo punto a Chet scappa un insulto razzista. Il batterista Elvin Jones, ubriaco fradicio, lo afferra come un fuscello. Se non avessimo levato Chet dalle mani di quell’armadio gli avremmo dovuto organizzare il funerale».Enrico Rava racconta di aver visto gli estremisti giocare a pallone con i prosciutti, dopo un esproprio proletario.«Questa non me la ricordo, ma di espropri ne ho visti a bizzeffe. Il prosciutto di solito se lo mangiavano».L’Unità mise nel mirino lei e Alberti. Quel «reuccio di Pagnotta».«Reuccio? Ci davano dei “fascisti”, altro che... Non avevo mai votato a destra e i miei nonni erano anarchici. Fascio a me?».Sembra una risposta del miglior Mario Brega.«Per colpa della stampa di sinistra passò un’idea demenziale: se il musicista è nero e all’avanguardia è buono, se è bianco e non suona il free jazz va fischiato. Con questa logica Cecil Taylor era un eroe e il mio amico Stan Getz un bidone. La massa però non sapeva che Taylor girava in Limousine. Per fortuna Rava lo accompagnò al concerto con la sua Fiat 131, altrimenti se la sarebbe vista brutta pure lui. Erano anni così, finiva tutto in vacca e in politica. Quei media ironizzarono addirittura sull’orchestra di Thad Jones e Mel Lewis, definendola volgarmente “bianconera”, manco fossero della Juve… La gentaglia in piazza si beveva tutto perché non aveva niente a che fare con il jazz, anzi con la musica. Veniva qui, orfana dei grandi raduni rock, solo per fare casino. A Città della Pieve una volta…». Incontrò Mario Draghi?«Macché, mi ritrovai con Alberti. In mano pezzi di batteria e tra noi e il palco una folla oceanica da oltrepassare». Tipo Mosè davanti al Mar Rosso. «Ci urlavano dietro. E io a spiegare: “Se non arriviamo in tempo, il concerto non si fa!”. “Ma a noi che c… ce ne frega!”, fu la risposta più educata. Chiudemmo i battenti nel 1977, riprovammo inutilmente l’anno dopo e poi prendemmo la famosa pausa di riflessione».Dalla ripresa del 1982 il clima cambia decisamente e inizia una cavalcata che arriva sostanzialmente fino a oggi.«Anni irripetibili, amicizie intense. Art Blakey venne a suonare al mio matrimonio. Oggi mi mancano Ahmad Jamal e Horace Silver».Se le dico Keith Jarrett, ha qualche rimpianto per come si concluse il suo rapporto con il festival? «Ci fu qualche screzio sull’accordatore già nel 1974, quando da noi fece le prove generali del Köln Concert. Nel 2007 insultò il pubblico e passò dalla parte del torto, anche se aveva le sue ragioni. Implorai gli spettatori di non fare foto con il flash: tutto inutile... Era paranoico, ma il rammarico rimane, visto che oggi la salute non gli consente più di suonare».Ashley Kahn, consegnandole il prestigioso «Lifetime achievement award» della rivista Downbeat, ha confermato che nella cartina planetaria della musica l’Umbria non si può più ignorare. Nelle università la kermesse viene studiata come caso di successo: Umbria Jazz ha cambiato la vocazione turistica della regione, che prima era soltanto religiosa. Ha spodestato San Francesco?«Non mi permetterei mai. Un tempo però tutti pensavano che Perugia fosse nel Lazio o in Toscana. E il mio amico Gianni Brera scoprì questa città solo nel 1975, quando i biancorossi conquistarono la Serie A. Oggi è diverso e qualche merito ce l’abbiamo».Un’ultima curiosità, stasera arrivano due funamboli della chitarra elettrica: Steve Vai e Joe Satriani. La critica se l’aspetta, perché è stagionale: che c’azzeccano con il jazz?«Ancora con questa storia? Con la musica che piace a noi 5.000 biglietti non si vendono! Le dico già che sabato sera arriverò in ritardo al concerto di Mika per assistere a un tributo a Oscar Peterson. Saremo in 300 al Teatro del Pavone, la dimensione per noi jazzofili è quella».Dica la verità, ma veramente dopo tutte queste avventure sta pensando ai giardinetti?«Il mio problema non è andarci, ma che c… fare quando sono lì».
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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