2022-10-28
Cari studenti, confrontiamo le idee. È più bello che censurare gli altri
I fatti della Sapienza rappresentano una imitazione tardiva di quanto avviene nelle università anglosassoni, dove la caccia alle opinioni differenti è prassi. Organizziamo invece giornate per la libertà di parola di tutti.Ho volutamente atteso più di due giorni dai fatti di martedì alla Sapienza prima di dire pubblicamente la mia, visto che i disordini dei collettivi di sinistra, oltre che essere animati da ostilità nei confronti dei ragazzi di Azione Universitaria, erano esplicitamente volti a impedirmi di prendere la parola in una libera conferenza.Sarebbe facile proporre qui sulla Verità una sorta di simulazione a parti invertite: cosa sarebbe accaduto se un gruppo di giovani facinorosi di destra avesse provato a impedire una conferenza di un’organizzazione giovanile di sinistra, o se avesse costretto a entrare e uscire scortato dalla polizia un commentatore di Repubblica? La risposta la sappiamo tutti: si sarebbe parlato di squadrismo. E invece, poiché in questo caso lo squadrismo era indubitabilmente rosso, si è preferito calciare la palla in tribuna, cercare diversivi, negare il problema, offuscare. Devo ringraziare non poche voci (purtroppo nessuna a sinistra, e la cosa addolora ma non sorprende) per la solidarietà che hanno indirizzato a me e a all’organizzazione studentesca che mi ha gentilmente invitato. Così come restano a verbale non pochi commenti imbarazzanti per chi li ha pronunciati: come se una conferenza fosse di per sé una «provocazione» (è stato detto anche questo da un «illustre» politologo), o come se potesse essere garantito a chicchessia il diritto di stabilire chi possa parlare e chi no, chi abbia la libertà di espressione tutta intera e chi invece debba farsela autorizzare – se e quando fossero di buon umore o di manica larga – dai collettivi di sinistra.In Aula al Senato, Giorgia Meloni ha pronunciato parole cristalline: un conto è il dissenso (sacro sempre e comunque), altro conto è pensare di organizzare manifestazioni per impedire che altri possano esprimere le loro opinioni. Curiosa deriva: alcuni amano parlare di «diversità», ma poi, quando si trovano di fronte a un’opinione differente, hanno l’antico istinto (ereditato da non pochi dei loro «padri» e «nonni» politici) di soffocarla.Tuttavia, c’è qualcosa di più profondo. Anche nei Paesi anglosassoni, da anni, nelle università tira un’aria di censura che non promette nulla di buono. In questo, se i nostri collettivi di sinistra pensavano di essere originali, sono in realtà arrivati con qualche anno di ritardo, e si limitano a essere imitatori dei tratti più intolleranti della cultura woke: da tempo, negli Usa e nel Regno Unito (dove per fortuna le istituzioni hanno cominciato a opporsi a questa deriva) non si contano più i casi di «no platforming», cioè azioni volte a impedire materialmente che opinioni e voci «sgradite» possano partecipare a dibattiti, conferenze, eventi. C’è un aspetto lessicale perfino paradossale in questa censura (chiamiamo le cose con il loro nome): nel mondo anglosassone, molte associazioni studentesche, attraverso l’azione con cui negano l’ingresso e la parola a chi a loro non piace, rivendicano il proprio diritto a quelli che chiamano «safe spaces», cioè alla lettera «spazi sicuri». Ecco, nella deriva orwelliana in cui siamo immersi, è proprio l’aggettivo «safe» che mi sgomenta: mentre censuri, mentre escludi, dichiari di aver realizzato uno spazio «safe», «sicuro». Ma «sicuro» da cosa? A ben vedere, chi esclude e censura, lungi dal costruire «sicurezza», certifica la propria insicurezza culturale e psicologica, l’inadeguatezza rispetto all’opportunità di confrontarsi con altre visioni. E si priva – senza neanche rendersene conto – della sfida intellettuale di misurarsi, di salire sul ring delle idee, di vincere o di perdere la gara degli argomenti, di portare o di subire colpi dialettici.Ragazzi (in questo caso: di sinistra), così veloci nel dare del «fascista» anche a un vecchio liberale come me: guardate che non solo – per usare il vostro lessico – siete stati voi a comportarvi da «fascisti»; ma quel che è più grave, vi state autoescludendo, autoghettizzando rispetto alla possibilità di partecipare a pieno titolo ai beni più grandi che la civiltà classica ci ha consegnato, e cioè l’agorà e il logos. Per queste ragioni, credo che sia necessario non archiviare in fretta questa pagina. Anzi: occorre scrivere pagine nuove, ariose, costruttive. Personalmente, sono a disposizione dei gruppi universitari e studenteschi che lo vorranno, ovunque in Italia, per nuovi eventi che abbiano al centro la libertà di parola, per chiunque, e l’affermazione della volontà di impegnarci tutti (indipendentemente dal proprio orientamento culturale) affinché ogni voce possa esprimersi e ogni orecchio possa scegliere di ascoltare. Senza per questo dover subire prevaricazioni o violenze.Non abbiamo bisogno di nuovi piccoli militanti della censura e dell’intimidazione. Per tutti sarà invece più bello, più creativo, più costruttivo scoprire che ci sono molte cose buone che si possono fare insieme con gli «avversari» e perfino con i «nemici». Ascoltarsi, in primo luogo: anche per meglio continuare a darsi reciprocamente torto. Ci proviamo?