
Il regolamento del Garante per le comunicazioni limita la libertà di stampa. Il pensiero unico rischia di diventare obbligo di legge. «L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. L'indifferenza è il peso morto della storia. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». Due volte la parola odio in un solo concetto. E che concetto, un inno al confronto anche duro delle idee. Per Angelo Marcello Cardani, presidente dell'Agenzia garante per le comunicazioni, l'Antonio Gramsci della celebre invettiva contenuta ne La città futura (1917) sarebbe da sanzionare. Da censurare e poi da rieducare. Va bene così o vogliamo riflettere? Chi pensa male fa danno; chi abbraccia il globalismo più giulivo e superficiale ma detesta la circolazione libera del pensiero, non ha colore tranne forse il grigio. Ed è proprio nel grigiore del funzionario che si esprime la mediocrità dell'omologazione e si compie il destino della libertà. Roba da Minculpop o da Ddr, roba da Agcom.Il regolamento varato dal Garante per le comunicazioni è una trappola, un bavaglio che un Parlamento democratico non può tollerare senza correre il rischio di far finire il Paese ben oltre il quarantaseiesimo posto attuale nella classifica della libertà di stampa, dopo il Burkina Faso e prima del Belize. Vietato muovere critiche al mondo Lgbt, al diktat dell'accoglienza diffusa dei migranti, alle razzie dei rom. Vietato opporsi con pietà cristiana all'eutanasia. È sufficiente che un'associazione dall'indignazione facile denunci per entrare nel girone dei reietti e rischiare multe fino al 5% del fatturato. Una pistola carica puntata alla tempia degli editori.Assistiamo all'imposizione per legge del politicamente corretto, allo sdoganamento del pensiero unico più insipido e pericoloso: quello degli indifferenti. Con la giustificazione pelosa di combattere gli hate speech, l'Agcom ha cominciato ad «attenzionare» quelle trasmissioni tv, quei giornali e quei siti che sfuggono al mainstream. E finora lo ha fatto a senso unico. Ha mostrato il cartellino giallo al direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, per avere legittimamente criticato Mario Monti (sponsor politico del Cardani medesimo) e ha messo sotto accusa un giornalista garantista e liberale, Nicola Porro, reo di avere svolto il suo lavoro. Il conduttore di Quarta repubblica (Rete 4) è sotto inchiesta per avere messo a tema la difficoltà dei rimpatri, per avere acceso i riflettori sulle tensioni (74 anni dopo) tra antifascismo militante e fascismo residuale da operetta. Per avere fatto passare un titolo come «L'intercettazione contro Siri esiste?». Porro è stato così gentile da mettere il punto interrogativo, mentre tutti sanno che quell'intercettazione - in quella forma e con quelle parole - non esiste. Sangiuliano e Porro all'indice, ma l'Agcom di Cardani non ha niente da eccepire davanti alle liste di proscrizione di Gad Lerner e Luca Sofri. La faccenda è più seria e sta dentro una domanda: è proprio sicuro il Parlamento di avere bisogno di un Tribunale del Conformismo? Poiché il mandato dell'Agcom di «Berija» Cardani è in scadenza prima dell'estate, ci permettiamo un appello a deputati, senatori e governo: per favore chiedete al prossimo presidente di trasformare in coriandoli un regolamento così illiberale e di proporne uno che tuteli tutti. Anche Gramsci quando si arrabbia.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






