2024-10-31
Cari atleti neri, basta fare Calimero. Se perdete non è colpa del razzismo
Paola Egonu, Mario Balotelli e Vinicius Jr. (Ansa)
Vinicius si fa soffiare il Pallone d’oro da Rodri e tira in ballo le «discriminazioni» nel calcio. Un copione che si ripete: pure Balotelli e la Egonu, per giustificare i loro flop, si sono aggrappati al colore della pelle.Ma perché gli atleti neri, se non vincono, o perdono, o sono contestati, tirano in ballo il razzismo? Non tutti, ovvio. Ma succede. Spesso. Soprattutto ai numeri 1. Last but not least: Vinicius Jr., stella del Real Madrid. Assegnano il Pallone d’oro a Rodri - altro fuoriclasse in forza al Manchester City, spagnolo sanguigno e verace, non proprio un nordico nibelungico e ariano da omaggiare - e Vinicius frigna: mi hanno fatto pagare l’impegno contro la discriminazione razziale, «il mondo del calcio non è pronto ad accettare un giocatore che combatte contro il sistema».«Sistema» che peraltro remunera il suo talento con 21 milioni di euro lordi a stagione. È vero: glieli passa la sua squadra, che ha preso la palla al balzo per non presenziare alla cerimonia. Ma il suo presidente Florentino Pérez dove li prende i danè? Dalle tv e dallo sponsor. Che è Emirates, la compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, in cui l’omosessualità è illegale, e punita con la prigione. Provocazione per provocazione, stereotipo per stereotipo, se ne deve dedurre, per la proprietà transitiva, che Vinicius sia omofobo?Ma quale razzismo, si è inalberato Javier Tebas, presidente della Lega calcio iberica: «Il sistema di France Football», ossia la testata che organizza il premio, «è trasparente. A votare sono 100 giornalisti di tutto il mondo. La reazione madridista è senza senso». Per carità, ognuno si ribella come vuole al Dramma, al Male e all’Ingiustizia razziali, sperimentati per decenni in primis dalla comunità afroamericana, da cui è partito il movimento Black lives matter, con tanto di genuflessioni in pubblico con il pugno alzato. Da Myrta Merlino in tv su La7, per dire, a Lewis Hamilton, che spronò gli altri piloti a fare altrettanto prima di un gran premio (rimasero in piedi solo Max Verstappen e Charles Leclerc: «Non mi sono inginocchiato, ma questo non significa affatto che io sia meno impegnato nella lotta contro il razzismo»).Diverso l’approccio di Nelson Mandela, grande anima nera, sopravvissuto a 27 anni di carcere duro nel Sudafrica dell’apartheid di Stato, che chiosava: «Io non perdo mai. O vinco o imparo». Senza piangersi addosso, lezione inascoltata da quei neri che preferiscono coltivare la «cultura del piagnisteo» cui Robert Hughes dedicò, fin dal titolo, il suo celebrato saggio del 1994. Trent’anni passati invano.Passerò per razzista se affermo che la reiterata esibizione della sindrome da Calimero «pulcino nero», lamentazioni e vittimismo, mi fa mulinare le pale eoliche? Pazienza. Del resto, come insegna il filosofo francese Pascal Bruckner, essendo bianco, sono un colpevole (quasi) perfetto. Anche se, da piccolo e nel mio piccolo, pure io ho sperimentato la xenofobia: quando a Como non affittavano casa ai «terroni» (mio padre era un calabro servitore dello Stato) e quando - in visita ai parenti emigrati nella Svizzera tedesca - i miei coetanei di Zurigo e dintorni mi sputavano appellandomi come «italiano di me...».Ma il pianto greco di un estro maldestro e sprecato come Mario Balotelli, indignato per i «buuuu» ricevuti da un gruppo di trogloditi, anche no, grazie. Mario, mi tocca darti una notizia: molti, me compreso, ti hanno fischiato non perché sei nero, ma perché giocavi male, svogliato, in apparente guerra contro tutto e tutti, compagni di spogliatoio compresi. Desmond Morris lo ha spiegato con La tribù del calcio: negli stadi le condotte triviali, becere, anche violente, sono all’insegna del tribalismo. L’ultrà critica, attacca, dileggia il nero in quanto «nemico», non perché «di colore». La riprova? I calciatori neri - italiani, europei, africani - sono presenti in tutte le squadre, esaltati e idolatrati dalle tifoserie se schierati con i propri colori, ricoperti di contumelie se in campo sotto i vessilli avversari.Certo, questo non dovrebbe mai autorizzare alcuno a scadere nell’offesa che rimanda al colore della pelle, o alle radici non italiane. Vedi alla voce Ivan Juric, allenatore (per quanto?) giallorosso, croato bersagliato da coretti indecenti: «Zingaro!», proprio come il serbo Sinisa Mihajlovic.Riguardate le immagini, sono in Rete, di quando questi scese dall’auto, fuori dall’Olimpico di Roma, volendo mettere le mani addosso non a un tifoso, ma a un agente di polizia che, a suo dire, gli aveva sbattuto in faccia il succitato termine (con ciò confermando che la madre del trucido incivile è sempre incinta, e il figlio talvolta indossa perfino la divisa). Però né Mihajlovic né Juric si sono spinti a sostenere, pur stigmatizzando l’indigesta spiacevolezza degli episodi, che l’Italia sia un Paese razzista. Paola Egonu invece sì, al Festival di Sanremo 2023, manco stesse riferendosi all’Alabama degli anni Cinquanta, anche se - bontà sua - «non tutti sono razzisti o ignoranti». Però «bisogna dire le cose come stanno», dopo aver premesso: «Non voglio fare polemica o vestire i panni della vittima» (e per fortuna...). Dichiarazione che seguiva lo sfogo del 2022, quando - dopo la sconfitta dell’Italvolley nella semifinale con il Brasile ai Mondiali - sbottò in lacrime: «Ogni volta vengo presa di mira, mi hanno chiesto addirittura perché sono italiana. Basta, sono stanca. Questa è la mia ultima partita con la Nazionale».Anche lì il razzismo c’entrava zero. Scontava infatti il clima non armonico nello spogliatoio e nei suoi rapporti con il ct Davide Mazzanti, che a un certo punto la mandò in panchina, e non certo per razzismo ma per le sue prestazioni giudicate discontinue. Mazzanti nel novembre 2023 confesserà alla Gazzetta dello Sport: dopo quella sconfitta «Egonu mi comunicò che non avrebbe più voluto lavorare con me». Qualcuno disse e scrisse che Egonu avrebbe addirittura chiesto la sua testa ai vertici della Federazione. Fratelli neri, sorelle nere, rifuggite dalla comfort zone delle reazioni pavloviane. E leggete, se vi capita, il fantastico romanzo Cancellazione di Percival Everett, da cui è stato tratto il film American Fiction, vincitore di un Oscar. L’autore (nero) narra i tormenti di un romanziere (nero) che viene «rimbalzato» dalle case editrici in quanto sì afroamericano, ma di famiglia borghese e benestante: come può dunque testimoniare in modo credibile la vita reale dei neri d’America ghettizzati? Un nero non emarginato e vilipeso, ma ricco e integrato, non rispecchia il cliché, ergo non funziona. Una critica caustica al brodo di tic e ipocrisie dell’era contemporanea in cui la società è immersa. E da cui dovrebbe invece essere salvata.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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