2020-03-10
Carceri in rivolta: morti ed evasioni. Ignorati gli allarmi lanciati dalla polizia
Violenze in decine di prigioni. Spuntano due positivi al virus. Gli agenti avevano fiutato il pericolo, invocando l'esercito.La rivolta nelle carceri italiane rischia di trasformarsi in una bomba dalle conseguenze imprevedibili, sottovalutata dal governo, come è stata sottovalutata l'emergenza coronavirus. Da giorni stava circolando in Rete e nelle penitenziari un appello indirizzato al presidente della Repubblica, al Papa, al governo e alle altre autorità per «un provvedimento immediato di sospensione della pena per tutte le persone detenute ammalate ed anziane» e «un'amnistia urgente per la rimanente popolazione detenuta» visto il diffondersi del Covid-19 (almeno due casi sono stati già accertati nelle case circondariali). Un appello che evidentemente è stato preso sotto gamba. Dal 7 marzo questa richiesta è sponsorizzata sul campo da centinaia di detenuti in rivolta che stanno distruggendo sezioni e, in alcuni casi, interi penitenziari. Le prigioni italiane sono sovraffollate (61.000 detenuti a fronte di 51.000 posti disponibili), ma dopo le devastazioni di questi giorni le celle agibili saranno molte meno e allora il problema potrebbe ingigantirsi. «È come se i detenuti si fossero messi d'accordo attraverso quella che noi chiamiamo Radio carcere per distruggere le prigioni», conferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), il primo e più rappresentativo dei Baschi azzurri, che aggiunge: «L'ultima a partire è stata Rieti. Hanno fatto uscire il personale e hanno iniziato a bruciare tutto. Il loro obiettivo è quello di ottenere l'indulto o l'amnistia. Ma a mio avviso sono proprio fuori di testa». Da tre giorni sono stati toccati dalla rivolta almeno 28 istituti in dieci regioni. Anche se c'è chi, come il segretario generale dell'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Leo Beneduci, parla di una cinquantina di istituti e accusa il governo di aver «sottovalutato negli ultimi due anni, la pericolosità del problema carceri». La sollevazione in corso coinvolge italiani e stranieri, mafiosi e terroristi, ma anche semplici spacciatori o rapinatori. Tutti uniti nella speranza di costringere lo Stato, al collasso per colpa del virus, alla resa definitiva. Un focolaio di rabbia, quello delle carceri, sempre sottovalutato, ma che adesso sta esplodendo in tutta la sua drammaticità. E a finire nel mirino è in queste ore è principalmente il capo del Dap Francesco Basentini, ex procuratore aggiunto a Potenza, piazzato dal ministro Alfonso Bonafede alla guida dell'amministrazione penitenziaria. Negli ultimi due giorni ci sono stati anche morti ed evasioni.In Emilia si sono registrati i disordini più gravi. A Modena, per esempio, a scontri finiti, il carcere Sant'Anna risultava praticamente inagibile. In serata è iniziato il trasferimento in altre strutture. Quattro detenuti sono finiti in ospedale in gravi condizioni di salute e in prognosi riservata. Altri tre sono stati trovati morti all'interno carcere (secondo il Dap non c'erano segni di lesioni) e quattro sono morti negli istituti in cui erano stati trasferiti: Parma, Alessandria e Verona. Tre decessi sarebbero riconducibili a overdose per abuso di stupefacenti e metadone saccheggiati in infermeria, un quarto detenuto era cianotico e, così come per gli altri tre, al momento non si conoscono le cause della morte. La Procura ha aperto un'inchiesta. In serata è arrivata la conferma della presenza di un detenuto contagiato (l'altro giorno era risultato positivo a coronavirus un agente della Penitenziaria di Vicenza, attualmente in coma farmacologico). Già prima del tampone, però, il prigioniero era stato messo in isolamento.A Bologna, invece, tre prigionieri sono finiti in ospedale con contusioni, e due agenti sono ricoverati in condizioni di media gravità. Devastazioni anche in Campania. A Poggioreale, Napoli, 900 detenuti hanno distrutto quattro padiglioni, causando danni per centinaia di migliaia di euro e oltre 60 feriti. Almeno 30 carcerati si sono rifiutati di tornare in cella e hanno scavalcato il muro interno chiedendo «libertà» e «indulto». Durante la protesta i familiari dei detenuti si sono assiepati a urlare sia all'esterno di Poggioreale che di Secondigliano. A Foggia tutto è iniziato con un incendio all'ingresso della casa circondariale, ma la situazione è diventata presto così complicata da non riuscire a contenere le fughe. Fonti del Dap hanno contato 60 evasioni. Per le agenzie di stampa sono molte di più. Circa 40 fuggitivi sono stati riacciuffati, ma gli altri sono in giro: hanno rubato auto e altri mezzi e sono scomparsi. I detenuti hanno devastato due reparti e la sala informatica della casa circondariale e hanno infranto numerose vetrate. Risultato: 40 posti letto inutilizzabili. Diversi detenuti sono saliti sul tetto. Quando uno di loro è stato portato fuori in barella, sul tetto è scoppiato un coro da stadio pro amnistia. Nella capitale alcuni detenuti hanno divelto una grata sul tetto del carcere romano di Regina Coeli e hanno lanciato all'esterno cartoni, giornali e un materasso incendiati. I detenuti hanno affidato al parroco Vittorio Trani una lettera in cui chiedono che il ministro della giustizia Bonafede riconosca amnistia e indulto. A Rebibbia, invece, i protagonisti della rivolta sono stati i familiari dei detenuti. Una donna è salita su un'auto della polizia. Altri sono riusciti a bloccare via Tiburtina. Sul tetto anche i detenuti del carcere milanese di San Vittore. Altri hanno devastato e saccheggiato l'infermeria. Risultato: in due sono stati soccorsi per ipotizzata overdose da farmaci. La tregua è scattata solo dopo una trattativa con due magistrati, che si sono impegnati con i reclusi a farsi portavoce delle loro istanza in cambio della fine dei tumulti. Nell'appello firmato da associazioni, partiti come Rifondazione comunista e singole personalità, le misure di prevenzione adottate dal governo per contrastare la diffusione del coronavirus all'interno delle carceri (limitazione o divieto dei colloqui con i familiari, da sostituire con le telefonate, interruzione dell'accesso dei volontari e dei permessi di uscita) venivano definite «assolutamente inadeguate a fronteggiare i rischi connessi ad un contagio», anche perché «tra la popolazione detenuta il 50 per cento circa ha una età compresa tra i 40 egli 80 anni, oltre il 70 per cento presenta almeno una malattia cronica e il sistema immunitario compromesso» e per questo «la diffusione del virus all'interno delle carceri assumerebbe dimensioni catastrofiche». I sindacati di polizia da giorni avevano intuito l'aria che tirava. «Prevedendo quanto accaduto oggi, nei giorni scorsi avevamo chiesto al premier Giuseppe Conte e al ministro della Giustizia Bonafede tre cose importanti: l'immediato intervento nelle carceri dell'esercito, la chiusura dei detenuti nelle celle fino al termine dell'emergenza coronavirus, e l'applicazione di norme eccezionali che prevedono sanzioni penali fino a dieci anni di reclusione nei confronti dei detenuti che creano sommosse o allarmismi» ha detto, per esempio Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di polizia penitenziaria (Spp). Diverse sigle sindacali avevano dichiarato lo stato di agitazione e la sospensione delle relazioni con il Dap «per l'assenza di provvedimenti che contrastino le continue violenze in carcere e le aggressioni alle donne e agli uomini in divisa». Valter Mazzetti, segretario generale dell'Fsp polizia di Stato, sottolinea: «Le rivolte che stanno scoppiando stanno mettendo in luce, ancor di più, gli effetti a dir poco scellerati di anni e anni di tagli e mancate assunzioni per il settore della sicurezza». Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di Polizia Coisp, oltre a criticare il governo, individua anche un filo rosso dietro alle rivolte: «La contemporaneità delle rivolte all'interno delle carceri italiane lascia pensare che ciò a cui stiamo assistendo sia tutt'altro che un fenomeno spontaneo. C'è il rischio che dietro le rivolte possa esserci la criminalità organizzata». Esiste una soluzione a tutto questo caos? L'Unione sindacati di polizia penitenziaria (Uspp) ha chiesto al governo di «dotare gli agenti della polizia penitenziaria di dissuasori elettrici e autorizzarli all'uso di manette all'interno delle sezioni detentive, controllo dei muri di cinta delle carceri anche temporaneamente con l'impiego delle forze armate e ripristino del cosiddetto regime “chiuso", con apertura delle celle solo ai detenuti per attività lavorativa, visite mediche e limitatamente ad estremi casi di necessità». È chiaro che il presidente Conte è prigioniero di una situazione da cui difficilmente riuscirà a evadere.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
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Emanuele Orsini e Dario Scannapieco