2024-12-14
Caracciolo demolisce il mito di Greta e le politiche green. Il segnale va colto
Che una testata mainstream usi certi toni realistici in tema di ecologia è una novità positiva. Malgrado qualche scivolone. Il nuovo numero della rivista Limes è un segnale che sarebbe molto sbagliato sottovalutare. Si intitola A qualcuno piace caldo ed è interamente dedicato al cambiamento climatico. La novità sta nell’approccio alla questione, che risulta evidente fin dal sommario di copertina che sancisce inesorabilmente: «La battaglia contro la CO2 è perduta». Se questa non è una base di partenza per un confronto politico finalmente costruttivo non si capisce che cosa possa esserlo. Sì, è vero, nell’editoriale di apertura Lucio Caracciolo non contesta l’esistenza del riscaldamento globale, non liquida il tutto come una bufala. E non lo fanno nemmeno gli altri articolisti, alcuni dei quali sembrano anzi prendere molto sul serio gli allarmi degli ecologisti.E poi certo, alcuni passaggi della riflessione di Caracciolo sono estremamente discutibili, ad esempio quelli che attribuiscono alla cultura cristiana la separazione iniziale dell’uomo dalla natura e la sua volontà di dominarla. Si potrebbe obiettare, ovviamente, che proprio al cristianesimo si deve la visione della terra come di un giardino da conservare e trasmettere rigoglioso alle generazioni successive. E sempre al cristianesimo (oltre che alla Grecia) si deve l’idea di limite, di confine da non superare pena l’autodistruzione. Ma le dispute filosofiche e sociologiche, a questo punto, passano in secondo piano. Perché qui si tratta, prima di tutto, di una faccenda politica. Ed è sul piano politico che quanto scrive e pubblica Caracciolo diviene rilevantissimo. Per esempio quando il direttore di Limes nota che «le accalorate dispute sul riscaldamento dell’atmosfera sono aperte e chiuse da chi si intesta il consenso climatologico con sentenza intesa cassazione: “Lo dice la scienza”. Alfa e omega del decreto: Gaia sta per morire soffocata dalle emissioni di gas serra, da quindi azzerare al più presto. Su questa Verità liofilizzata e diffusa via media si mobilitano da decenni accesi movimenti di massa incarnati fino a ieri dall’iconica Greta Thunberg, cui non solo media e leader politici ma persino studiosi autocertificati s’inchinavano, quasi oracolare Sibilla del clima: “Lo dice Greta”. Quest’anno però lei h virato secca verso i pro Pal, più urgenti dell’ambiente. Segnale da prendere sul serio, stante l’indubbio fiuto dell’ex patrona del catastrofismo (anti)ecologico».E ancora: «Qualcosa non funziona nell’abracadabra ultima chiamata per la Terra/salvezza via neutralità carbonica, codificato da 145 Paesi tra cui i 27 dell’Unione Europea e gli Stati Uniti nell’obiettivo net zero: niente emissioni nette entro il 2050 (la Cina si concede il 2060, l’India il 2070). Non pretendiamo qui di stabilire correttezza di diagnosi - dunque imminenza del Giudizio Universale - e relativa terapia decarbonizzante. Consideriamo le proposizioni entrambe vere. Il problema è che la seconda non consegue dalla prima. Se stiamo tutti rischiando la vita, questa cura anti-CO2 non ci salverà. Perché non funziona. Il presunto obbligo morale è non sequitur logico e fattuale. Alibi che ostacola l’impegno verso l’ecoadattamento [...] come terapia parallela».In un colpo solo, Caracciolo infilza e arrostisce il catastrofismo climatico, le cui radici positiviste all’interno della rivista sono indagate (e sottoposte alla mannaia della critica) da Giulio Pennacchioni. Subito dopo, piccona il mito di Greta e, cosa ancora più importante, ribadisce una verità a tutti evidente: la corsa alla riduzione delle emissioni è persa, ma continua a fare danni. «La battaglia per la decarbonizzazione è persa», scrive Caracciolo. «Per vincerla occorrerebbero forse secoli. Non possiamo aspettare. Urge limitare le conseguenze della sconfitta. E sperare che nel frattempo non ci sorprenda l’autodistruzione dell’umanità. Esito oggi più probabile per via bellica - terza e ultima guerra mondiale alle porte? - che climatica. La sconfitta della decarbonizzazione», continua, «è nei dati che dovremmo conoscere e che se conosciamo facciamo finta di non vedere. Quest’ultimo riflesso giustificato in quanto etico. Utile menzogna. Perché, se ammettessimo di aver perso, l’umanità che si vorrebbe globalmente vocata alla crociata anticarbonica precipiterebbe in depressione. Meglio raccontar(si) balle rassicuranti che guardare i fatti in faccia. Riflesso della cultura manageriale assurta a senso comune che prescrive l’ottimismo in quanto motore dell’efficienza e vieta il presunto pessimismo, quando invece è adesione al principio di realtà, perché betabloccante d’ogni slancio. [...] Parlano i numeri. Nonché decrescere, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera aumenta costantemente: nel 2018-22 dello 0,8% annuo. Se assumessimo che ogni anno diminuisse dell’1% la neutralità carbonica verrebbe raggiunta nel 2160. L’obiettivo net zero 2050 sarebbe possibile solo riducendo le emissioni del 4,8% ogni anno».Questa, signori, è una pietra tombale sulla «rivoluzione green». E a piantarla a terra con decisione è una rivista in fondo progressista, ben collocata nel mainstream e da esso riconosciuta. E questo è, come si diceva, un segnale oltre che un’occasione. Il segnale che anche a sinistra esistono intellettuali (oltre a Caracciolo, anche Massimo Nicolazzi, grande esperto di petrolio) i quali hanno capito che tocca prendere atto della realtà e ammettere che la transizione è una missione impossibile, un ostacolo per qualsiasi altra azione seria di difesa del creato. In tale consapevolezza sta l’occasione politica, estremamente concreta. Quel che conta, oggi, non è tanto stabilire se il riscaldamento globale esista o meno. In fondo, la priorità non è nemmeno demolire la retorica ecologista. Più urgente è fermare le deliranti politiche green che stanno danneggiando le aziende e la popolazione, che producono crisi di interi comparti e aumento dei costi energetici. Per ottenere qualche risultato su questo piano servono dialogo e collaborazione, specialmente con i pochi che, a sinistra, hanno i piedi per terra e hanno riconosciuto il disastro. Ora si tratta di evitare il fallimento globale, poi penseremo ai dettagli sul riscaldamento.
Jose Mourinho (Getty Images)