2022-11-07
«Ora ci vuole realismo. Non può decidere Kiev quale pace è possibile»
Toni Capuozzo: «La piazza italiana risponde a giochi politici interni. Negli Usa, invece, i dem sono allarmati e il clima sta cambiando».Toni Capuozzo, finalmente si parla di pace. Ma i partiti scesi in piazza sabato sono credibili?«Quello che è avvenuto ha un significato importante, ma sarà ininfluente: l’Italia è stata tra i più disciplinati nello spedire armi in Ucraina e ha anche un contingente rilevante alla frontiera presidiata dalla Nato. Le nostre posizioni politiche sono state irrilevanti con Mario Draghi e continuano a esserlo».Abbiamo scelto di non ritagliarci il ruolo di mediatori che sta svolgendo Recep Erdogan. C’era un pegno da pagare a Washington?«L’Italia, anzitutto per collocazione geografica, ha una tradizione di mediazioni internazionali che, nel passato, non aveva messo in discussione la sua fedeltà a Washington. Anzi, qualche volta per gli Usa è stato comodo mandarci avanti, diciamo, con compiti esplorativi: penso ai rapporti con l’Unione sovietica, o con il Medio Oriente».Cos’è andato storto, dunque?«L’Italia della seconda Repubblica s’è allineata e basta. E il suo momento più alto - per me il più basso - è stata la partecipazione ai bombardamenti in Serbia nel 1999, con premier Massimo D’Alema».C’è una spiegazione?«Era più facile ritagliarsi spazi d’indipendenza da Washington per leader di estrazione democristiana e socialista, che per leader che vengono o dalla sinistra comunista o dalla destra di Alleanza nazionale. Chi, nella storia della propria formazione politica, ha scheletri nell’armadio, resterà sempre “in prova”».Torniamo al punto di partenza: Enrico Letta e Giuseppe Conte sono tra coloro che hanno votato il primo decreto del governo Draghi, che copriva l’invio di armi per un anno intero. E ora invocano insieme la pace?«Sono tutte lotte di cortile, che si fanno schermo della situazione internazionale. È come il rubabandiera che facevamo da ragazzi».Ossia?«Non ci interessava il fazzoletto, ma essere più veloci dell’altro. È tutto in funzione dei giochi politici interni». Il tentativo del Pd di non perdere troppo terreno rispetto al M5s?«Sì. D’altronde, vi ricordate cosa successe ai tempi della nostra missione di pace in Iraq?».Cosa successe?«Avvenne praticamente a guerra finita, ma siccome c’era al governo Silvio Berlusconi, ci furono dozzine di manifestazioni pacifiste. Se a febbraio di quest’anno, al governo, ci fosse già stata Giorgia Meloni, certe posizioni sul conflitto sarebbero state meno bellicose».Il professor Charles Kupchan, che certo non è un putinano, sostiene che per arrivare alla pace bisognerà rassegnarsi a delle concessioni territoriali alla Russia. Condivide?«Bisogna essere realisti: l’altro giorno, il capo di stato maggiore della Difesa ha ammesso che sarebbe arduo riconquistare i territori occupati dai russi».Ci vuole una pace giusta, o basta una pace ingiusta, purché sia una pace?«Ci vuole la pace possibile. Quella a portata di mano. Anzi, la parola pace, forse, è illusoria: sarà al massimo una tregua, da portare il più possibile sui tempi lunghi e da assestare su una quieta, consensuale e realistica accettazione dello status quo».Devono decidere gli ucraini in merito?«Sostenerlo sarebbe un alibi enorme per continuare la guerra. Ovviamente, un ucraino di Kiev, finché riceve armi, si batterà per riportare i confini alla situazione precedente al 24 febbraio. Quale sarà la pace possibile lo dovrà stabilire la comunità internazionale. Senza alimentare complessi da “vittoria mutilata”».È pensabile che ci si arrivi, visto l’investimento morale che è stato profuso per sostenere a oltranza l’Ucraina?«Guardi che un esempio ce l’abbiamo in casa: in Sudtirolo ci sono territori non propriamente italiani, nei quali abbiamo comprato la pace con i finanziamenti, un quadro fiscale vantaggioso e un’autonomia spinta».Chi si oppone al compromesso cita proprio il caso tirolese: «Se domani gli austriaci passassero il Brennero con i carrarmati, direste che ci vuole un compromesso?».«Be’, d’altra parte, sulle coste di Istria e Dalmazia ci sono luoghi palesemente italiani, che però abbiamo perduto, patendo esodi di massa, incentivati dalle foibe e dalla pulizia etnica. Nessuno, però, si è mai sognato di parlare di sovranità e confini, in quel caso». Quindi?«Nei Balcani, la Nato è stata la prima a frantumare l’ordine che era emerso dalla seconda guerra mondiale. Cosa ha a che fare con un’alleanza che si definisce “atlantica”, ad esempio, un intervento in Afghanistan? E perché la ex Jugoslavia s’è potuta smembrare, perché il Kosovo può essere autonomo e indipendente, ma il Donbass no?».Le elezioni americane di medio termine, se i repubblicani riguadagnassero il controllo delle Camere, cambieranno qualcosa?«Mi pare che un segnale forte di cambiamento lo abbia già dato quella lettera, firmata da una trentina di deputati democratici, tra cui Alexandria Ocasio-Cortez, che inaspettatamente hanno invitato la Casa Bianca ad avviare dei negoziati con Mosca».Un documento che, però, è stato ritirato.«Sì, ma evidentemente, in vista delle presidenziali 2024, i liberal non vogliono lasciare il monopolio delle iniziative di pace e di disimpegno ai repubblicani, tenendosi la bandierina del bellicismo. Anche perché la disubbidienza dell’Arabia Saudita in merito all’aumento della produzione di petrolio ha fatto impennare i prezzi».Poi c’è l’episodio di Joe Biden che avrebbe alzato la voce, stizzito dalla richieste pressanti di Volodymyr Zelensky.«Un fatto che risale a giugno e che credo sia stato reso noto adesso, per convincere l’elettore americano che Washington non ha intenzione di rimanere un pozzo senza fondo per Kiev».Il clima è cambiato, allora. Anche sui media? È finita la reductio ad Putinum?«Qualcuno ha imparato che questa è una guerra cominciata nel 2014. Qualcuno ha accettato che una parte degli ucraini non guarda a Kiev, ma a Mosca. Certo, la grande stampa li continua a chiamare collaborazionisti. Ma qui parliamo di intere città, non di una quinta colonna col bavero. Sono realtà che la propaganda non può nascondere. Tuttavia, mi pare si continui a raccontare di una guerra dei buoni contro i cattivi».Lei era tra quelli che espressero i famigerati «dubbi su Bucha». Rivendica quella postura?«Assolutamente. Anche perché ho sempre precisato che era del tutto possibile che i russi avessero riempito le fosse comuni. Non quelle nascoste: quelle dentro la chiesa del paese. Ed è facilissimo che, tra quei morti, ci fossero anche civili giustiziati».E allora?«In pochi hanno ricordato che, subito dopo la ritirata dei russi, era partita una missione di un reparto della polizia ucraina, che andava dichiaratamente a caccia di collaborazionisti. Ora, fra le vittime trovate per strada, molte avevano addosso razioni di cibo dell’esercito russo».Cosa vuol dire?«Sappiamo che i soldati russi, spesso, le scambiavano con gli abitanti del posto per avere cibo più fresco. Quindi, farsi trovare con quelle razioni era considerato prova di collaborazionismo. Io mi ero limitato a una domanda: come mai, mentre i russi riempivano le fosse comuni, avevano lasciato insepolti quei corpi?».Ipotesi?«Sospetto che, in realtà, i cadaveri fossero quelli dei presunti collaborazionisti. In fondo, se io sono un civile e uccidono un mio vicino di casa, anche se non ho il coraggio di raccogliere il corpo e seppellirlo, magari un lenzuolo glielo metto sopra. Quei corpi sono stati completamente abbandonati… A queste domande, nessuno ha mai risposto».A Izyum, però, sono stati documentati altrettanti orrori.«Credo che le fosse comuni di Izyum fossero sepolture collettive. Dopodiché, non metto in dubbio che tra i morti ci fossero innocenti vittime di torture. È la guerra. I russi non sono mica stinchi di santi».La minaccia nucleare è credibile?«Spero siano schermaglie verbali e mi pare che la dottrina militare russa ne escluda l’impiego. Ma non mi fido così tanto di Vladimir Putin da giurare che, messo con le spalle al muro, non farebbe ricorso alle armi atomiche. Qui sarà importante il ruolo della Cina».In che modo?«È un elemento di moderazione dell’atteggiamento russo, perché teme il precipitare della situazione. E poi dobbiamo ricordare che la vera arma segreta di Mosca è l’inverno: bisogna vedere come la coalizione occidentale affronterà la stagione fredda, se le opinioni pubbliche reggeranno sotto la pressione del caro vita. Insomma, se hai una potenziale bomba a orologeria, è stupido farne esplodere prima un’altra…».Sovranità alimentare, sicurezza energetica... L’era della globalizzazione è finita?«La globalizzazione ha creato opportunità, ma anche interdipendenze pericolose. È difficile pensare a un ritorno all’autarchia. Ma è indubbio che, dalla preoccupazioni ambientali e dal disordine mondiale, dobbiamo trarre una lezione».