2019-08-05
L'Italia produce 60 milioni di cappelli
True
Il mercato dei copricapo resta immune alla crisi e il distretto fermano-maceratese arriva un giro d'affari da 140 milioni di euro. Guida agli ultimi trend: dal ritorno del «bucket hat» alla versione oversize sfoggiata da Kylie Jenner. Alexandre Daillance ha fondato il suo marchio 17 anni. Il suo cappello da baseball con la scritta «Sono venuto a spezzare cuori» è stato indossato anche da Rihanna. Qualunque sia la forma che preferite, per Miuccia Prada l'accessorio perfetto è in nylon. E la maison si prepara entro il 2012 a introdurne una versione sostenibile chiamata Re-Nylon. Borsalino omaggia Humphrey Bogart con un modello a lui dedicato. Per uomo o per donna, il panama non passa mai di moda. Lo speciale contiene cinque articoli e gallery fotografiche. Di paglia o di stoffa, in spiaggia o in città il cappello è un accessorio intramontabile. E l'Italia è uno dei maggiori produttori in Europa. Tutta la produzione avviene nel distretto produttivo fermano-maceratese (Montappone, Massa Fermana, Monte Vidon Corrado, Falerone, Mogliano, Loro Piceno e Sant'Angelo in Pontano) che nel giro di dieci anni ha raddoppiato il fatturato passando da 70 a 140 milioni di euro con una produzione di circa 60 milioni di cappelli. Questi numeri non sono da sottovalutare perché rappresentano il 70% dell'intera produzione italiana e il 50% di quella Europea. La specializzazione, consolidatasi nel corso degli anni tanto da diventare un'eccellenza a livello mondiale, insieme all'export ha reso la terra dei cappelli «immune» dalla crisi del 2008. Nel periodo il settore ha infatti segnato dati in crescita, soprattutto per quanto riguarda i mercati esteri. Le esportazioni sono dunque diventate fondamentali per il benessere del distretto. All'inizio la percentuale di produzione dedicata ai mercati esteri era ben poca cosa, e coinvolgeva un numero limitato di imprese nel distretto. Nel tempo questa è arrivata ad assorbire fino all'85% dei prodotti realizzati, e diverse piccole e medie imprese hanno iniziato a specializzarsi anche per mercati specifici. I paesi che da sempre hanno richiesto i cappelli italiani sono: la Francia, la Germania, la Spagna, la Gran Bretagna, gli Usa, la Russia e il Giappone. Negli anni si sono aggiunti anche il mercato russo e turco. Il 2018 non è stato un anno brillante per quanto riguarda il settore del cappello, se confrontato con l'anno precedente. Il calo nelle importazioni ed esportazioni è stato minimo (ma c'è stato). Secondo gli ultimi dati Istat per quanto l'import ci si ferma a 5.271.040 euro, contro i 6.101.533 euro del 2017. Mentre le esportazioni arrivano a 19.846.844 euro 2018 contro i 20.509.712 euro dell'anno precedente. Nonostante la performace non brillante l'Italia si conferma uno dei maggiori produttori di cappelli a livello europeo. Nel terzo trimestre del 2018 il settore ha però avuto una piacevole sorpresa: la Svizzera. La Confederazione elvetica è stata infatti la giurisdizione che ha maggiormente richiesto cappelli italiani, balzando dalla quarta alla prima posizione. Questo scatto in avanti ha fatto scendere al secondo posto la Germania, che dopo anni di segni positivi ha fatto registrare un segno negativo sull'export italiano. Il Paese guidato da Angela Merkel ha infatti segnato un -2,4% nella richiesta di cappelli italiani (l'incasso dal Paese rimane comunque uno dei più alti: 15 milioni di euro). Al terzo posto, con la Francia, si torna in territorio positivo registrando un +2,7% con 14 milioni di euro. Fuori dal podio si ritrovano invece il Regno Unito e gli Stati Uniti. Il Paese di Donald Trump conferma la preferenza per i prodotti italiani, facendo registrare segni positivi anche nel 2018 (10 milioni di euro), anno dominato dalle continue minacce protezionistiche del presidente americano. Dietro gli Usa ci sono la Spagna, che tende a stabilizzare la richiesta di cappelli italiani, i Paesi Bassi (+15%) e l'Austria (1,2%). Risultati negativi arrivano invece dalla Russia (-12,3%) e dal Giappone (-5,8%). In entrambi i paesi l'andamento delle esportazioni è sempre stato altalenante (nel 2017, in Russia, il risultato export era stato positivo anche grazie al settore del lusso che ha trainato molto il segmento dei cappelli). Il 2018 non ha dunque retto il confronto con il 2017. I dati, anche se negativi, risultano essere molto positivi se confrontati con il resto dell'Europa. E inoltre è da considerare il fatto che circa il 90% della produzione dei cappelli italiani proviene da un unico distretto industriale composto da circa 90 aziende. Realtà che portare ricchezza economica alle Marche, all'intera Italia e prestigio nel mondo. Giorgia Pacione Di Bello !function(e,t,s,i){var n="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName("script")[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(i)&&(i=d+i),window[n]&&window[n].initialized)window[n].process&&window[n].process();else if(!e.getElementById(s)){var r=e.createElement("script");r.async=1,r.id=s,r.src=i,o.parentNode.insertBefore(r,o)}}(document,0,"infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js");
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)