2024-07-17
La capa dei servizi rifiuta di dimettersi e scarica la colpa sul «tetto scivoloso»
Kimberly Cheatle, direttrice del Secret service (Ansa)
Kimberly Cheatle: «Pensavamo che nessuno potesse restare lassù». E intanto il tycoon riappare scortato solo da agenti uomini.Timothy Broglio, presidente dei vescovi statunitensi, su Radio Vaticana esorta il suo Paese a superare le divisioni: «Il discorso politico ha raggiunto un livello tragico».Lo speciale contiene due articoli.Il direttore del Secret service americano Kimberly Cheatle, attualmente nella bufera per l’attentato di sabato scorso a Donald Trump, ha definito «inaccettabile» quanto accaduto all’ex presidente, ma ha anche dichiarato alla Abc «che non si dimetterà» nonostante le pressanti richieste avanzate dai Repubblicani, che le addossano tutta la responsabilità relativa alle evidenti lacune nel dispositivo di sicurezza organizzato a Butler, in Pennsylvania. La Cheatle ha anche affermato «di godere ancora della fiducia di Joe Biden». In ogni caso il suo destino appare segnato a ormai quattro mesi dal probabile cambio di inquilino alla Casa Bianca. Quindi se non la rimuoverà Biden che l’ha nominata nel 2022, lo farà di sicuro la nuova amministrazione guidata da Trump, che nei ruoli chiave metterà persone di propria fiducia. Dettaglio interessante è quello relativo alla convention di Milwaukee, dove Trump si è presentato circondato da imponenti agenti del Secret service tutti di sesso maschile, quasi a voler prendere le distanze dal modello inclusivo di Cheatle. La direttrice, nel corso dell’intervista dalla quale non esce benissimo, ha scaricato parte della responsabilità sulla polizia affermando che le autorità locali avevano il compito di mettere in sicurezza l’edificio dal quale il tiratore ha sparato. Poi ha aggiunto che la polizia locale era presente all’interno dell’edificio mentre Crooks era sul tetto. A quel punto gli è stato chiesto come mai gli agenti erano all’interno: «Quell’edificio, in particolare, ha un tetto inclinato nel punto più alto. E quindi, sapete, c’è un fattore di sicurezza che viene preso in considerazione in modo da evitare che qualcuno dall’interno salga sul tetto inclinato. Abbiamo pensato che sul tetto non ci fosse nessuno perché era scivoloso. Quindi è stata presa la decisione di mettere in sicurezza l’edificio, ma dall’interno». Intanto le indagini proseguono e per gli inquirenti il profilo di Thomas Matthew Crooks, il ventenne che ha provato a uccidere Trump, è ancora un mistero dato che non si conoscono le motivazioni del suo gesto. Secondo la Cnn, anche dopo esser riusciti a sbloccare il telefono di Crooks e aver avuto accesso al suo computer, esaminato la cronologia delle sue ricerche e la sua camera da letto, oltre ad aver interrogato la sua famiglia, gli agenti dell’Fbi «non hanno ancora trovato prove che suggeriscano un movente politico o ideologico per la sparatoria». Nemmeno i genitori del ragazzo che collaborano alle indagini sanno che cosa sia davvero scattato nella mente di loro figlio, che hanno descritto come «isolato, senza amici e senza particolari inclinazioni politiche». Ma di sicuro le armi in famiglia giravano visto che il padre ne detiene legalmente 20; così come aveva familiarità con gli esplosivi ed era schedato come estremista di destra, anche se fino a sabato scorso non aveva commesso particolari reati. Sempre a proposito di armi, Crooks e suo padre erano membri del Clairton Sportsmen’s Club, uno stand di tiro situato a circa 25 minuti di auto dalla loro casa. Il club dispone di una pista di tiro lunga circa 182 metri, come mostra una delle immagini satellitari pubblicate dalla Cnn. Questa distanza è maggiore rispetto a quella che divideva Crooks da Trump. Se ci vorranno mesi per capire cosa non ha funzionato nella pianificazione della protezione del comizio di Trump e chi è il responsabile degli errori nella catena di comando, le ultime 48 ore di Crooks sono state ricostruite con ragionevole certezza dagli inquirenti. Secondo un funzionario di polizia che ha parlato con la Cnn, il giorno prima di sparare al comizio l’attentatore è andato al poligono di tiro di cui era membro e si è esercitato a sparare. Mentre sabato mattina Crooks è andato in un ferramenta dove ha comprato una scala di circa un metro e mezzo e poi si è recato al Allegheny Arms and Gun Works, un negozio di armi nella sua città natale Bethel Park dove ha comprato una scatola da 50 colpi per il suo fucile Ar-15. Poi l’uomo ha preso la sua auto, una Hyundai Sonata e si è diretto al raduno elettorale di Trump a Butler, dove era atteso da migliaia di persone. Qui secondo quanto scrive la Cbs le cose sono andate diversamente da come sono state raccontate finora; Thomas Crooks è stato notato con anticipo rispetto agli spari e non negli ultimi 86 secondi come scritto inizialmente. Sempre secondo la Cbs tre tiratori della polizia della contea di Beaver erano all’interno dell’edificio che sarebbe stato poi usato come postazione dal killer, e uno di loro avrebbe visto il giovane guardare il tetto, quindi scomparire. Pochi istanti e riappare, si siede nel parcheggio, consulta il cellulare. In quel momento l’agente gli scatta una foto. Crooks tira fuori uno strumento per misurare la distanza, l’agente avvisa via radio il comando, Crooks se ne va e ritorna con uno zaino in spalla per dirigersi verso la parte posteriore del padiglione. Arrivano nel frattempo altri poliziotti, probabilmente allertati anche dai cittadini che si sono accorti della figura sul tetto. Uno prova a raggiungerlo ma è costretto a indietreggiare. Poi inizia la sparatoria e l’assalitore viene eliminato dai cecchini.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/capa-secret-service-rifiuta-dimettersi-2668759474.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="chiesa-usa-compatta-vicino-a-trump" data-post-id="2668759474" data-published-at="1721178481" data-use-pagination="False"> Chiesa Usa compatta vicino a Trump «Condanniamo la violenza politica e offriamo le nostre preghiere per il presidente Trump e per coloro che sono stati uccisi o feriti. Preghiamo anche per il nostro Paese». Recitava così la prima nota diffusa dei vescovi americani subito dopo l’attentato a Donald Trump, fatto che ha sconvolto il mondo intero. Motivo per cui due giorni fa si è pregato in tante chiese americane per il candidato repubblicano alla Casa Bianca e il capo dell’episcopato statunitense, l’arcivescovo Timothy Broglio, ha deciso di commentare ulteriormente l’accaduto. Lo ha fatto attraverso una intervista rilasciata a Radio Vaticana. Un’occasione che ha permesso al prelato di esprimere il suo orrore per l’accaduto. «La mia reazione iniziale», ha raccontato Broglio, «è stata di orrore per il fatto che la violenza possa aver luogo in quella che dovrebbe essere una società democratica, che non siamo in grado di parlarci. Qualcuno è stato in grado di attentare alla vita dell’ex presidente Trump. Questo è certamente molto tragico». L’arcivescovo, nel corso dell’intervista, ha rivolto un pensiero anche a Corey Comperatore, l’ex capo dei vigili del fuoco rimasto ucciso durante l’attentato di sabato e ricordato dal National Catholic Register come un padre devoto, che «andava in chiesa ogni domenica, amava la sua comunità. Soprattutto amava la sua famiglia». «Alla sua famiglia», ha detto Broglio, «certamente va la mia vicinanza, le mie condoglianze e la promessa di una preghiera per il riposo della sua anima». Per quanto riguarda invece i motivi di tanto odio, secondo il prelato una spiegazione c’è. Se si è arrivati a questi livelli di violenza, secondo il capo dei vescovi americani, è infatti perché «il discorso politico» ha raggiunto «un punto in cui le persone si urlano addosso e non c’è spazio per ascoltare l’altro. È qualcosa che Papa Francesco ci ha esortato costantemente a riconoscere, la dignità umana fondamentale, e rispettare in ogni modo possibile». Per favorire la riscoperta del valore della dignità della persona - e della vita umana «degna del nostro rispetto dal momento del concepimento fino alla morte» -, Broglio, invitando ad abbassare i toni, ha richiamato l’attenzione al Congresso eucaristico che inizia oggi, e che, parole sue, può essere «una grande opportunità per promuovere dialogo e riconciliazione. E anche per ricordare che in Gesù Cristo troviamo la nostra salvezza». Benché sia la più autorevole, questa non è la sola voce dell’episcopato statunitense ad essersi levata. Dopo l’attentato a Trump, infatti, è intervenuto anche il vescovo di Pittsburgh, David Zubik, nella cui diocesi si trova Butler, il paese che ospitava il comizio dell’ex presidente, dove peraltro era presente - chiamato da un gruppo che gli aveva chiesto una benedizione poco prima degli spari - un sacerdote cattolico, padre Jason Charron. «Siamo grati», ha dichiarato Zubik, «per le azioni rapide dei servizi segreti e dei nostri primi soccorritori locali», invitando a radunarsi «in preghiera per la salute e la sicurezza di tutti, per la guarigione e la pace, e per la fine di questo clima di violenza». Per correttezza va evidenziato come, a differenza di molte altre voci intervenute in questi giorni, quella della Chiesa americana da tempo denuncia, nel Paese, un clima pesante. Anche nel giugno scorso, infatti, una nota di monsignor Borys Gudziak, arcivescovo metropolita di Filadelfia, avvertiva: «Le persone che ricoprono ricariche pubbliche ricevono più minacce di morte che mai, alcuni delle quali si trasformano in attacchi fisici. Circa la metà degli americani si aspetta che si verifichino episodi di violenza. L’America può fare molto meglio». Parole, decisamente profetiche.
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