2023-07-04
«Una canzone può salvare una vita. La mia Milano? È peggio di prima»
Fabio Concato (Getty Images)
L’artista Fabio Concato: «Ho visto malati d’Alzheimer non riconoscere i loro cari ma distinguere un brano». Sulla solitudine: «È capitato di sentirmi l’unico sul palco. Oggi ho una nipotina, se non la vedo per un po’ vado in astinenza».Fabio Concato è così, come le canzoni che scrive e interpreta. Racconta una quotidianità minimalista, in cui si sogna di evadere da problemi piccoli e grandi, dalle follie della società, per trovare sollievo, magari in una gita domenicale in cui potrebbe consolidarsi un affetto, nascere un momento della migliore allegria, quella del condividere cose semplici. Classe 1953, è nato a Milano e ci ha sempre vissuto. Del 2020 è la sua prima canzone in dialetto milanese, L’umarell, storia di un anziano nella Milano atterrita dal Covid e ha vinto l’Ambrogino d’oro. Nel 2022 gli è stato assegnato il premio «Luigi Tenco». Un commento su You Tube alla sua canzone Guido piano (1984): «La frase: “E quando mi sveglierò sarò migliore” ha fatto sì che io vincessi la mia guerra contro l’eroina. Grazie Fabio». Allora non è vero che le canzoni non possono migliorare il mondo.«A parte il piacere che fa questa notizia, che non sapevo, credo che la musica sia sempre servita. Sa quante vite sono state salvate con le canzoni? Lo so per canzoni di Eros Ramazzotti, Vasco Rossi, Antonello Venditti. Quando una canzone che scrivo è pubblicata, diventa degli altri. Ho visto persone malate di Alzheimer non riconoscere la mamma o la sorella, ma ricordarsi di una canzone». Nel 1988 ha pubblicato l’album 051-222525, proventi devoluti a Telefono azzurro. Perché un genitore percuote un figlio?«Chi lo sa quali sono i meccanismi. Mi accorsi che esiste Telefono azzurro negli anni Ottanta. Ero fermo in macchina, bloccato da uno dei tanti cantieri di Milano. C’erano questi giganteschi manifesti. Quel faccino era vicino a whisky, automobili, collant, mi ha fatto ancora più effetto per questo. Qualche settimana dopo, in Toscana, ho scritto questa canzone. Ho registrato a Bologna, tutti lavorando gratis». Immaginava che a picchiare il figlio fosse un padre alcolista… «Era una delle possibilità. Il problema dell’alcol mi sembrava uno dei più evidenti. Ma ci sono altri motivi. Più l’infelicità aumenta più questo rischio c’è, la frustrazione gioca brutti scherzi. Non è casuale che, sotto le feste, i casi aumentino, c’è il Natale, a volte l’impossibilità di fare dei regali, la moglie ti fa magari capire che sei uno sfigato…». Tuttavia le violenze sui minori non si riscontrano solo negli strati sociali in sofferenza economica. «La cosa è assolutamente trasversale. Lo fa l’operaio disoccupato, lo fa il notaio, lo fa il chirurgo». Secondo lei un minore che ha subito violenze diventerà a sua volta violento con i figli, se ne avrà?«È quasi matematico. Certo, ci si può anche riscattare, ma è faticoso e ci sono percorsi precisi per non cascarci».Alcune sue canzoni denunciano problemi sociali, ma una luce di speranza le illumina. «Non so se ci riesco tutte le volte, ma tendo sempre a fare così. Anche quando sono triste e dico che non ho voglia di sperare, voglio sempre che la musica alleggerisca il pensiero di ciò che sto scrivendo, anche se è qualcosa di grave. Poi mi rendo conto che sto meglio. Cerco di capire». Il Vangelo consiglia di porgere l’altra guancia. Ma la società impone di essere aggressivi e talvolta gentilezza e bontà sono scambiati per coglionaggine. Che ne pensa?«Si finisce per essere considerati dei deboli. È una cosa aberrante, ma è così. Ogni tanto ho la sensazione di essere circondato, di dover fare attenzione a troppe cose nell’arco di una giornata, e questo ci prova molto. Rara è una parola di cortesia, gentilezza, buona educazione e quindi uno pensa «io mi devo pur difendere», è quasi obbligatorio diventare aggressivi, perché sennò non vivi, subisci. Non è un bel vivere». Cosa pensa esista dopo la morte? «Non so, una volta mi sembrava impossibile che anche lo spirito se ne andasse, ma da qualche tempo penso che dopo non ci sia niente… È una cosa abbastanza recente, da una decina d’anni». Ha dedicato Fiore di maggio (1984) a sua figlia Carlotta. È legata al mare, che emerge anche in altre sue canzoni, la sua nascita? «Caspita se c’entra il mare, Carlotta è stata sicuramente concepita al mare, quando abbiamo vinto i mondiali, poi è nata nel maggio 1983, oggi ha 40 anni. Eravamo vicino a Rimini, la mia nonna Augusta, Augusta Concato, che era di Verona, è stata la prima forestiera a costruire casa e ci siamo sempre andati, anche in inverno».Oltre a Carlotta, ha altri figli? «Un’altra figlia, Giulia, 37 anni. Carlotta ha avuto Nina, al momento l’unica nipotina, deliziosa, in luglio compie 3 anni e le ho dedicato una canzone, L’aggeggino. Per me diventare nonno è stato una botta di energia clamorosa. Quando non la vedo da un po’ di giorni ho delle crisi di astinenza». Ci presenta sua moglie? «Si chiama Elisabetta, compie 68 anni in agosto, ha lavorato, poi ha preferito dedicarsi solo alla famiglia. Faceva la pubblicitaria».Come vi siete conosciuti?«Attraverso un caro amico che un giorno arrivò in studio di registrazione con questa ragazza, non è successo tutto subito, pian piano abbiamo iniziato a frequentarci e ci siamo sposati nel 1980. Io avevo 27 anni, Elisabetta 25». Perché alcuni matrimoni finiscono nel dramma del divorzio?«Io sono figlio di separati. Quando uno vede una cosa rossa e, l’altro, nera, qualcosa non funziona. Nonostante avessero avuto un amore travolgente, a un certo punto ci rendevamo conto che papà diceva una cosa e mamma un’altra… Era così». Ha sofferto?«Caspita, ma certo. Però eravamo già grandi, stufi di sentirli litigare, non dico sia stata una liberazione, ma anche noi meritavamo un po’ più di tranquillità». Domenica bestiale, il suo più grande successo. Una gita sul lago, «fingendo che sia il mare», partendo da una Milano che «dorme ancora […], bella / prima che cominci a correre e a urlare». Non è che cerchiamo tutti questo, una semplice domenica da trascorrere con qualcuno che amiamo e che ci ama?«Certamente! Queste sono le cose importanti della nostra esistenza, quando non siamo amati e non riusciamo ad amare ci passa anche la voglia di fare. Domenica bestiale è una dedica fatta a mia moglie, la prima canzone che parla di lei, un testo leggero senza essere banale in cui la gente si è ritrovata parecchio». Cerchiamo tutti un po’ di calma…«Direi proprio di sì, accidenti».E come si fa?«Ho paura che non si riesca più a vivere in pace, con un po’ di calma, gentilezza, buoni modi, temo che non se ne venga fuori».Come ricorda la Milano della sua infanzia, la via dove abitava?«Abitavo in una strada non molto bella, allora era periferia, via Massarenti, zona piazzale Brescia, che oggi è tutt’altro che periferia. Davanti a casa mia non c’era niente, solo un campo dove trovavamo grossi pneumatici di camion, con mio fratello andavamo in cerca di lucertole e poi abbiamo scoperto l’oratorio di San Protaso, di via Osoppo e lì è stata una svolta». Come la trova oggi la città? «La vedo peggiorata, purtroppo, sempre nei soliti posti, mi piacerebbe che le periferie fossero un po’ più animate, illuminate. Se vedo miglioramenti, è dove c’è la ricchezza e questo mi dà un po’ fastidio. Se intendiamo che City Life, con i suoi grattacieli o la torre dell’Unicredit siano un miglioramento, ciò è molto opinabile». Nel 2007 cantò Oltre il giardino, storia di un cinquantenne che perde il lavoro, ma non la speranza. Può fare il giardiniere. «Lui alla fine lo dice, “vivo in mezzo ai profumi, ai colori, spesso all’aria aperta”, la vita gli cambia in meglio. Ma per uno che ci riesce, e questo significa anche forse avere soldini da parte, magari ce ne sono otto che non ce la fanno, perché non hanno le risorse, la forza d’animo, non è una cosa facile». Le capita di arrabbiarsi?«Sono tante le cose che rischiano di farmi arrabbiare, anzi pensavo che a una certa età mi sarei un po’ tranquillizzato e invece non è così, patisco l’aggressività degli altri, la maleducazione, e quando sono un po’ contrariato me la prendo, ma mi dispiace, non vorrei prendermela più per niente, ma non riesco, soprattutto quando vedo ingiustizie vistose, come uno che ti manda al diavolo e non lo meriti, io m’incazzo, posso dirlo?». Cos’è, secondo lei, la solitudine? «Secondo me ci si può sentire soli anche in mezzo a 2.000 persone, può trattarsi d’incomprensione, oppure non sentirsi mai all’altezza».Le è capitato di sentirsi solo facendo un concerto?«Sì, assolutamente. Certo ho amici, anche se si contano sul palmo di una mano, ma sono un po’ solitario e le dirò anche che ci sto anche bene, se non dura troppo, sto bene con me». Nella canzone a due voci con Pierangelo Bertoli Chiama piano (1990) chi è quella presenza invocata nella tempesta?«Sa che non l’ho mai chiesto a Pierangelo? Era l’autore del testo, gli ho prestato la voce e lui è ne stato molto felice perché gli avevano detto tutti di no, me lo disse subito. Gli dissi «mandamela, se mi piace la cantiamo insieme». Rispose: «sul serio?». La canzone mi è piaciuta un casino. Pierangelo era così, a muso duro, ma con una sensibilità micidiale, un’impressionante voglia di vivere». Come trascorrere un Ferragosto bestiale?«Con le persone che ci vogliono bene e cui vogliamo molto bene, stare insieme, farsi una mangiatina e una bevutina, senza esagerare, evitando di prendere la macchina dopo. E soprattutto in pace, raccontandosi cose spiritose e buone. Sarebbe bello farlo tutte le domeniche».
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