2020-04-15
Cantine in crisi, vino di qualità senza mercato
Max Cavallari/Getty Images
La domanda è sparita, inghiottita dal lockdown. Si vende nei supermercati, ma soltanto prodotti di fascia bassa. Chiusi ristoranti e bar, i fatturati crollano del 70%. Azzerato l'acquisto di spumanti. L'export soffre. L'online cresce però non compensa le perdite.Sprofondo rosso, nel senso del vino. Anche se la preoccupazione maggiore è per i bianchi, i rosati gli spumanti. Il motore della nostra agricoltura in termini di valore e di esportazione si è bloccato. Su 60 miliardi e poco più, quant'è il fatturato dei nostri campi, le vigne ne assicurano un quarto, di cui 6,4 miliardi all'estero. Sul vino campano quasi un milione e mezzo di italiani, decine di migliaia di aziende, la filiera che va dalla vendemmia all'aperitivo passando per la vetreria e il turismo e si è piantata. Il mercato è sparito, inghiottito dal lockdown. Si vende nei supermercati dove però si comprano vini di fascia bassa, si vende molto di più nell'online, ma le cantine non ce la fanno. Soprattutto quelle che producono bottiglie di prezzo e di qualità superiori che si sono inventate le degustazioni virtuali per stare vicine ai clienti e stimolare l'e-commerce. Ma la crisi spaventa i consumatori e così anche online si compra a basso prezzo. Tannico.it, che è una delle maggiori «enoteche» in Internet, a marzo ha avuto un aumento del 100% dei volumi, del 10% della frequenza d'acquisto e del 5% delle quantità di bottiglie per ordine, ma una diminuzione del 10% del prezzo medio. In forte contrazione è il consumo di spumanti (-30%) e delle denominazioni più importanti: Barolo -70%, Brunello -70%, Champagne -50%, Bolgheri -25%. Chiusi in Italia ristoranti, enoteche, bar a vino, espulso dalle abitudini l'aperitivo, il mercato interno che ancora vale più della metà del fatturato delle nostre cantine è stato quasi azzerato. C'è stata è vero - come conferma un' analisi di Winenews, il maggiore sito d'informazione sul vino, su dati Iri Infoscan - una corsa all'acquisto nei supermercati, ma a prezzi bassi. Il vino tra febbraio e marzo nella Gdo è cresciuto del 12%, ma si è venduto molto più vino comune (più 14,3% nell'ultima settima) e più bottiglie Igt (più 31%). Le Doc sono cresciute appena del 5%, ma gli spumanti sono crollati: meno 14,8%. A tirare peraltro sono solo due aree geografiche: il Nord-Est (più 12%) e il Centro (più 6%). Ma se dalla Gdo ci si sposta al settore dell'ingrosso i dati sono da incubo: meno 38% per il vino, meno 81% per gli spumanti. Non va meglio all'estero con il blocco del nostro principale cliente: gli Stati Uniti dove prima del Covid viaggiavamo verso gli 1,5 miliardi di export con incrementi quasi da doppia cifra visto che i dazi di Donald Trump hanno colpito i francesi e risparmiato le nostre bottiglie. Ora ci si mette anche la natura che fa il suo corso ad aumentare le preoccupazioni. I germogli sulle viti annunciano che ci sarà quest'anno una vendemmia abbondante e probabilmente di altissima qualità. Ma c'è il rischio di non poter raccogliere perché in cantina non c'è posto. La Coldiretti ha lanciato una proposta di distillazione obbligatoria delle eccedenze per sostenere i prezzi, ma soprattutto per liberare i serbatoi. La distillazione è anche giustificata dalla necessità di produrre alcol per disinfettare. Il ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova (Italia viva) aveva promesso un intervento, con una dotazione di 50 milioni di euro di sostegno, ma questi soldi non si sono trovati. E il problema del vino invenduto resta. «Scherzando, perché altrimenti ci sarebbe da piangere, potrei dire che siamo affetti da coronavinus: il mercato si è bloccato», dice Marco Caprai, l'uomo che ha lanciato nel mondo il Sagrantino di Montefalco, il più famoso dei vini umbri, «soprattutto per chi fa alta gamma. In cantina non si vende più niente perché è azzerato il turismo del vino e sono centinaia di migliaia di euro al mese di mancato introito, ovviamente la filiera Horeca (hotel, ristoranti e bar, ndr) è sparita e anche all'estero abbiamo problemi seri. L'online mostra sì incrementi notevolissimi, ma non compensa affatto ciò che stiamo perdendo».Che per il vino fosse una stagione difficilissima si è capito quando sono saltate tutte le principali fiere internazionali. Per paradosso, come nota Giovanni Geddes da Filicaja, ceo di Ornellaia, una delle più prestigiose tenute al mondo che si trova a Bolgheri in Toscana, «dei timidi segnali di ripresa per i vini premium arrivano da Pechino, ma è presto per dire che c'è ripresa». Il resto del panorama resta a tinte fosche. Lo conferma un vignaiolo da generazioni animato da grandissima passione, uno che vive di spumanti. È Pierangelo Boatti, l'anima di Monsupello, la griffe dell'Oltrepò pavese: «Siamo con cali di fatturato del 70-80%», spiega, «con il blocco dei ristoranti, delle enoteche non abbiamo mercato e all'estero va ancora peggio. In più cominciano ad affiorare difficoltà finanziarie dei nostri clienti, anche di quelli storici; ci tornano indietro gli insoluti. In questa situazione è difficile immaginare il futuro. Io ho imbottigliato qualche giorno fa 190.000 bottiglie di spumante, le lascio in affinamento, ma non so a chi le venderò. Per i vini di grande qualità - noi rappresentiamo anche Quintarelli, il monumento dei vini di Valpolicella - si ci sono scenari da incubo. Un mio agente mi ha detto che a Firenze prevedono che metà dei ristoranti non riaprirà. In più c'è l'incertezza in cui ci tiene il governo».Se dall'Oltrepò si va in Maremma ecco che con Fiorella Lenzi, ha una piccola cantina di grande qualità a Massa Marittima, il registro non cambia. «Vedo nero anche perché noi vendiamo molto vino agli stranieri, ai turisti. Non è vero», spiega la titolare di Serraiola, «che la grande distribuzione assorbe ciò che abbiamo perso con ristoranti ed enoteche. Se non c'è una ripresa in fretta tanti dei nostri clienti salteranno per aria e noi con loro». «La situazione», illustra Sandro Boscaini, presidente di Federvini, «è grave soprattutto per i vini di qualità che sono quelli a maggior valore aggiunto e quelli su cui abbiamo costruito l'export. Il canale ristoranti, enoteche, bar rappresenta oltre il 55% del mercato per le bottiglie di pregio. Bloccato quello si resta senza mercato. Questo vale in Italia e ormai in tutto il mondo. Questa crisi da Covid rivela un elemento che tutti conoscono, ma che si è sempre ammortizzato con quello che in gergo si dice il giro dei soldi. I ristoranti non sono capitalizzati. Noi abbiamo fatto da banca ai nostri fornitori, allungando i pagamenti, sopportando oneri finanziari, ma ora questi nostri clienti non incassano più e la prospettiva è cupa perché quel settore sarà falcidiato dalla crisi. Ovviamente chi vende in Gdo ha qualche spiraglio in più: parliamo però di bottiglie di poco prezzo e dunque di bassa marginalità. Possiamo dire che complessivamente il calo di fatturato sfiora il 70%». Sandro Boscaini è pure il presidente della Masi, che vuol dire Amarone, ma con vigne anche in Argentina. «Lì abbiamo finito di vendemmiare ora, qualità altissima, produzione abbondante, ma mercato interno e di prossimità azzerato. Noi però l'Amarone possiamo tenerlo un po' di più in affinamento e aspettare la ripresa. Però bisogna stare attentissimi a gestire bene le aziende. Noi proporremmo ai soci di non distribuire dividendi. Dobbiamo tenerci la liquidità che peraltro il governo promette, ma che non si è vista». Se una grande cantina di pregio può contare sui mezzi propri non così è per i piccoli produttori. La Coldiretti di Cuneo ha lanciato un allarme: «Le cantine della Granda - Barolo, Barbaresco, grandi vini piemontesi - hanno cali di fatturato che sfiorano il 90%. Se va avanti così saltano per aria». Stavolta il bicchiere non è mezzo pieno, stavolta è davvero vuoto!