2018-05-09
Cani randagi deportati in Nord Italia, il business che piace anche alla mafia
I Comuni del Sud, per disfarsene, pagano 100 euro le «staffette» che li caricano su furgoni strapieni e li liberano sul territorio. Non esiste un censimento: l'ultimo è del 2012 e contava circa 700.000 esemplari.Quanti siano i cani randagi in Italia nessuno sa dirlo con certezza. L'ultima stima del ministero della Salute, che risale al 2012, parla di 500-700.000 esemplari. I cani vagabondi sono soprattutto al Sud. Al Nord, fino a poco tempo fa, non se ne vedevano quasi più. Grazie all'introduzione del microchip e alle campagne di sterilizzazione e sensibilizzazione contro gli abbandoni, il randagismo era stato praticamente azzerato. Ma di recente le associazioni animaliste hanno lanciato l'allarme: i cani randagi stanno tornando anche nel settentrione. Si tratta di animali trasportati dalle cosiddette «staffette». Le più serie hanno regole precise: su furgoni dichiarati idonei dall'Asl, trasportano al Nord, dalle famiglie che li adotteranno per poche decine di euro, solo cani randagi curati, vaccinati, microchippati e sterilizzati. Ma c'è anche chi deporta cani privi di microchip, senza curarsi della fine che faranno, solo per soldi. Le ripercussioni, come denuncia la sezione di Milano della Lega nazionale per la difesa del cane, sono tante: i Comuni si trovano ad affrontare spese improvvise; i rifugi del Nord non riescono più a lavorare in maniera ottimale, programmando la propria attività; la leishmaniosi e la giardiasi, malattie endemiche del meridione, si stanno propagando al Nord. Senza contare che gli animali deportati sono spesso problematici: malati, diffidenti, fobici, destinati a rimanere in canile, di difficile adozione. E a volte vengono trasportati in condizioni terribili. L'anno scorso, tanto per citare un esempio, le guardie zoofile di Caserta hanno fermato un furgone merci che conteneva, in un'impressionante situazione di sovraffollamento e malessere, 61 cani. Molti di loro erano cuccioli e venivano trasportati dalla Calabria verso varie città del Nord Italia. Danny, uno degli animali trovati nel furgone, è morto poco dopo in una clinica veterinaria.Certo, esistono tanti volontari che agiscono in buona fede, e trasportano uno o due animali alla volta. Ma circolano anche mezzi stracolmi di cani, persino 100 alla volta, intontiti dai sedativi o del tutto addormentati, che vengono scambiati lungo la via con altri staffettisti (di qui il termine). I cani randagi, per più d'uno, sono diventati un vero business. Elisa Cezza, responsabile dell'ufficio dei diritti degli animali di Gorgonzola (Milano), spiega: «C'è gente che organizza collette dicendo che deve salvare una cucciolata abbandonata, poi carica gli animali su un furgone, viene al Nord e lascia i cuccioli in mezzo alla strada. Risultato: la Polizia locale li fa accalappiare, li fa portare in canile, e il mantenimento lo paga il Comune dove sono stati trovati». Mentre le staffette ci guadagnano, tenendosi parte dei soldi spillati da chi in buona fede ha finanziato il viaggio.A volte i trasferimenti sono pagati direttamente dai Comuni del meridione, disposti a versare tra i 100 e i 400 euro per ogni cane spostato altrove. Un affarone: 100 euro per disfarsi di un cane che, altrimenti, costerebbe all'ente locale circa 4 euro al giorno in canile, quindi circa 1.500 euro l'anno, per tutti gli anni della sua vita. Ma spedire cani a centinaia di chilometri significa non poter controllare che fine faranno. E per tanti animali che trovano una sistemazione affettuosa, tantissimi altri si perdono nel corso di inaccertabili - e lucrosi - passaggi. A Milano si sono accorti del fenomeno, spiega Elisa Cezza, perché fino a pochi anni fa i Comuni accalappiavano «a malapena un cane ogni cinque anni. In Lombardia, grazie all'istituzione dell'anagrafe canina e all'obbligo del microchip, avevamo vinto il randagismo. Poi improvvisamente i Comuni hanno cominciato a trovare decine di cuccioli all'anno». Pure in Emilia Romagna c'è un arrivo massiccio di cani dal Sud. Tanto che Stefano Bargi, consigliere regionale della Lega Nord, ha denunciato in un'interrogazione in Regione: «I cani randagi provenienti dal meridione sarebbero anche 1.200 ogni mese e vanno a gravare sui bilanci delle amministrazioni locali». Il fenomeno delle staffette, secondo Bargi, nasconde «un sottobosco di rischiosa improvvisazione e soprattutto di interessi tali da attirare l'attenzione della criminalità organizzata. I randagi vengono fatti entrare nei canili comunali attraverso finti ritrovamenti sul territorio». Più si accalappia, più si guadagna. Ma il flusso di denaro garantito ai canili dai comuni di riferimento spesso non evita che gli animali siano malati, malnutriti, maltrattati, stipati in gabbie sovraffollate, trascurati e soli. I sequestri dei canili lager, anche nel settentrione, raccontano un degrado che attraversa tutta l'Italia. Eppure la soluzione per evitare le deportazioni di cani al Nord ci sarebbe: la sterilizzazione. Semplice, economica, legale. Dal 1991, la legge quadro 281 ha vietato la soppressione dei cani, ha imposto ai Comuni di finanziare il mantenimento dei randagi nei canili e ha promosso la sterilizzazione delle femmine. Una politica che, se correttamente applicata, avrebbe portato in questi 27 anni all'estinzione dei meticci indesiderati, considerato che i cani non vivono più di 20 anni. Non è andata così, nelle regioni in cui la legge non è stata applicata e si è preferito creare migliaia di canili che hanno un costo enorme per la comunità e non risolvono il problema. Uno studio dell'americana Doris day animal league ha calcolato che una cagna vagante e non sterilizzata può partorire in media due volte l'anno otto cuccioli, di cui almeno quattro femmine. In 5 anni si arriva 4.372 cani, in 7, a 67.000. Ma anziché agire di conseguenza - la sterilizzazione di un animale costerebbe solo 20-25 euro - al Sud i Comuni e le Asl (responsabili e garanti legali dei randagi) sembrano fare a gara per sbarazzarsene.
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