2022-05-09
Cancellato pure il nome di un’opera di Cézanne: era poco «antirazzista»
Paul Cézanne, «Le nègre Scipion», olio su tela del 1867 (Getty Images)
In una mostra che si terrà a Londra, «The negro Scipio», capolavoro giovanile dell’artista, sarà chiamato solo «Scipio» per ragioni di correttezza politica. Per il «Telegraph» si tratta di censura senza se e senza ma.Claude Monet, poverino, non l’aveva capito. Quando aveva acquistato Le nègre Scipion dal gallerista Ambroise Vollard per quattrocento franchi e se lo era appeso in camera da letto, parlando di «ce nègre de Cézanne, qui est un morceau de première force», non sapeva di essersi messo alla parete un inno alla schiavitù. Guardava allo stile, lui («un’opera di grande forza»), mentre il quadro, scopriamo oggi, era solo l’espressione di un dominio razziale. A spiegarcelo arrivano ora i curatori della più grande mostra dedicata a Paul Cézanne, in scena dal prossimo 6 ottobre al 12 marzo 2023, alla Tate modern gallery di Londra, in collaborazione con l’Art institute of Chicago. Qui, l’olio su tela del 1867, in inglese da sempre conosciuto come The negro Scipio, conservato nel Museo dell’arte di San Paolo, in Brasile, è stato ribattezzato semplicemente Scipio per non offendere la sensibilità dei delicatissimi visitatori britannici. Il nuovo titolo dell’opera è anche presente nel comunicato stampa ufficiale pubblicato online dalla galleria. «Come le gallerie in Francia hanno già sperimentato la rimozione dei termini razziali per concentrarsi sul soggetto, così abbiamo deciso di non includere la parola “negro”, questo approccio eliminerà qualsiasi ostacolo alla fruizione dell’opera d’arte e consentirà ai visitatori di concentrarsi sul suo soggetto», ha spiegato Michael Raymond, assistente curatore della galleria londinese. Ovvero: prima si crea un «ostacolo culturale» - come per esempio il fatto di trovare intollerabile in qualsiasi epoca e contesto l’uso di determinati termini - e poi si interviene per rimuoverlo in libri, film, canzoni o appunto opere d’arte. Il Telegraph ha parlato senza mezzi termini di «censura» ma, come si è visto, i pudici galleristi londinesi si sono appoggiati su un precedente continentale. Nel 2019, infatti, in occasione dell’esposizione al Musée d’Orsay su Le modèle noir, de Géricault à Matisse, il titolo dell’opera venne già modificato, da Le nègre Scipion a Le noir Scipion. Non più «negro» ma «nero», quindi, con una terminologia decisamente più in linea con i tempi. Ma non - piccolo particolare filologico che non sembra più interessare a nessuno - con quelli in cui l’opera era stata dipinta. In compenso, il rapper Abd Al Malik e l’ex calciatore Lilian Thuram commentarono le opere esposte in un video. La pagina di Wikipedia in francese dedicata al quadro, del resto, si sente in dovere di sottolineare che «sotto il prisma di un pregiudizio razziale, a quei tempi il “nero” era ridotto a un corpo o a una allegoria dell’Africa; egli era allora considerato come un selvaggio e spesso animalizzato, rappresentato anche con i tratti di un primate. Bisognerà attendere il 27 aprile 1848 affinché la Seconda repubblica abolisca la schiavitù nelle colonie francesi». Ora, a parte il fatto che l’opera in questione è stata dipinta una ventina di anni dopo quella legge, e quindi non c’era da attendere un bel niente, non si capisce cosa questo pistolotto post coloniale abbia a che fare con Le nègre Scipion. Considerato il capolavoro del periodo romantico giovanile dell’artista, già apprezzato, come detto, da Monet, il quadro appare in realtà più un esercizio di stile che un’elegia schiavista. È quanto sottolinea anche un sito dedicato, paulcezanne.org, secondo il quale «lo Scipione sembra semplicemente essere uno studio di anatomia, con, cosa insolita per gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, nessuna narrazione sottostante». Il negro Scipione è del resto messo spesso in relazione con La Madeleine, or La Douleur, dipinto dello stesso periodo che raffigura Maria Maddalena piegata sul corpo di Cristo, con una posa analoga a quella del nero ritratto nell’altro quadro. La scelta di un soggetto racisé, come si dice oggi nel gergo ideologico transalpino, ovvero «razzizzato» (cioè, praticamente, nero) è probabile che abbia a che fare più con gli studi sul colore del pittore che non con i suoi veri o presunti pregiudizi etnocentrici. Negli anni Sessanta, Cézanne frequenta l’Académie Suisse di Parigi, dove per aiutarsi a misurare la scala tonale mette sempre accanto ai modelli un cappello nero e un fazzoletto bianco. Nel caso del Negro Scipione, Cézanne ha molto lavorato sugli impasti per ottenere il giusto riflesso della luce sulla pelle marrone. Nessun intento politico, insomma, né esplicito, né implicito. E, anche a volerci vedere per forza la schiavitù dentro, l’opera sarebbe semmai di denuncia, dato che il modello appare sfinito dalla stanchezza, senza banalizzazioni stereotipate. Nessuna questione, dunque. A parte la «parola con la n», la «n-word», come dicono negli Usa. Che, tuttavia, era quella comunemente usata ai tempi di Cézanne e che del resto, decenni dopo, in piena decolonizzazione, sarà tranquillamente usata dagli intellettuali africani cantori della négritude. Razzisti anche loro?
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