
I cittadini ucraini sentono che, viste le sorti del conflitto, presto potrebbero essere arruolati. Ci siamo preparati insieme a loro.da KievPer scriverlo bisogna provarlo sulla propria pelle, sentire il sudore, curarsi le vesciche, correre con il cuore in gola, battere i problemi respiratori, farsi male buttandosi in terra. Ci siamo addestrati per tre giorni in uno degli unici due campi di addestramento per soldati e per civili che si trova in Ucraina, nella regione di Poltava, dove la fatica è intensa, le pallottole sono vere e per arrivare alla fine bisogna farsi male sul serio. Per arrivare in questo luogo nascosto tra la vegetazione, siamo partiti da Odessa, a Sud sul Mar di Azov, da lì ci vogliono circa 7-8 ore di macchina, le strade sono in terribili condizioni per via dei mezzi agricoli pesanti che le percorrono distruggendo il datato asfalto sottostante. Questo addestramento è finalizzato per i giornalisti ad apprendere tutti i movimenti per seguire le truppe, per i civili ad avvicinarsi all’arruolamento, per i soldati ad affinare le proprie tecniche. Il campo di addestramento è gestito da alcuni veterani dell’esercito e dell’aviazione e da un istruttore civile: c’è l’esperto di mine, l’esperto di tattica di combattimento, l’esperto di armi pesanti e quello di sparo a lungo raggio con i fucili da cecchino. Per ogni aspetto del corso bisogna imparare la teoria e metterla in pratica subito dopo, meglio se sotto il sole, nella neve e nel fango, meglio se con più attrezzatura e peso addosso, perché devi imparare anche solo a tenere tutti gli ingombri e maneggiare un’arma con il peso dell’equipaggiamento. Se non hai le cuffie tattiche che impediscono ai tuoi timpani di esplodere, ti danno due bossoli e usi quelli che tra l’altro funzionano benissimo. La teoria è fatta direttamente in poligono, disegnando sul terreno con un bastoncino e utilizzando sassi o bossoli per indicare i soldati, amici e nemici. Le bombe, le trappole, i fumogeni che gli istruttori tirano dall’alto dentro la trincea dove ci si allena sono a salve ma rendono l’esperienza reale, il fumo ti entra in gola e non ti fa respirare, i pezzi di cartone e di plastica delle granate da allenamento ti si attaccano alla giacca. La tensione è palpabile in ogni fase dell’addestramento, d’altronde i fucili sparano centinaia di munizioni vere e qui un minimo errore come inciampare o dimenticarsi di guardare prima di sparare può dar luogo a un incidente letale. L’ultimo giorno, il gruppo sostiene la prova finale, compiendo una missione strutturata, e dove si fa uso anche di grosse espulsioni e mine reali che ti coprono di terra e pietre esattamente come abbiamo già potuto verificare di persona nelle zone di combattimento. Nel gruppo di ucraini in cui siamo, ci sono due ragazzi che sono arrivati vestiti come dei rambo con il fucile di proprietà, i tatuaggi «cattivi» e l’aria da duri, le loro Bmw sono parcheggiate in uno spazio all’entrata del campo e il bagagliaio è colmo di giocattoli e gadget ancora incartati nella plastica del negozio di articoli militari. Quell’aria strafottente si è spenta poco dopo quando alla prova di tiro non riuscivano a colpire un obiettivo neanche per sbaglio, dando la colpa agli occhiali balistici o alla misura dei guanti, accanto a loro invece uno studente di storia con gli occhialini tondi da nerd prende un centro dopo l’altro. «Sono venuto ad addestrarmi perché mio padre è in prima linea, forse sarebbe meglio se lo sostituissi io fra un po’. Continuo a studiare storia e letteratura ma se dovrò partire almeno saprò cosa fare con l’arma che ho in mano». Andrey l’ultimo giorno di addestramento urlava come un marines, il ragazzino nerd, gentile e delicato che sparava bene è diventato nel giro di tre giorni un soldato che lancia granate come nei film, corre e si butta in terra come facesse un tuffo in piscina. Ma cosa spinge tanti ragazzi e ragazze a viaggiare il Paese e raggiungere questo posto dove per tre giorni ci si prepara alla guerra? Li spinge la paura, il senso di colpa per non essere già con amici e parenti sul campo di battaglia e la consapevolezza che le cose stanno per cambiare, che diventa sempre più reale la possibilità disperata che anche loro, che fino ad oggi hanno evitato il reclutamento, dovranno un giorno partire per il fronte. Cosi in questi 3-4 giorni di training li vedi trasformarsi, entrare in crisi, capire le difficoltà reali, patire il freddo, annusare la polvere da sparo e soprattutto li vedi capire che un film di guerra è molto distante dalla realtà e non basta averne guardati tanti. L’abbiamo visto bene sui volti di questi ragazzi, quasi tutti tra i venti e i quaranta anni, provenienti da vari parti del Paese, ognuno di loro con un background diverso e una diversa motivazione, l’abbiamo visto anche su noi stessi nonostante l’esperienza sul campo e quella fatta in passato del servizio militare. Addestrarsi con questi ragazzi è stato formativo, è stato funzionale a capire come si crea subito un senso di fratellanza, di cameratismo, che è quello che poi spesso in un’unità di soldati fa la differenza. È per questo che gli istruttori ti urlano nelle orecchie che la tua vita dipende dal gruppo, che qui nessuno è importante e tutti sono indispensabili, si impara a stare spalla a spalla, distribuirsi l’acqua, a comunicare costantemente, ci sono momenti in cui hai il fiato corto, stai per perdere lucidità allora arriva un compagno che ti nota e si prende cura di te, è in questa realtà che si impara a combattere, ricreando il più fedelmente possibile quell’ambiente che troverai solo nella guerra quella vera. Non sono solo il sudore, la sporcizia, i graffi e le sbucciature a fare un buon soldato ma lo è sopratutto la motivazione, questi ragazzi sono qui perché sono convinti che in questa o in un’altra guerra dovranno, ad un certo punto, lasciare il lavoro e andare a combattere come hanno fatto i loro genitori, amici e coetanei ed iniziano a capire che non c’è scelta, anche perché l’Ucraina ha bisogno di sempre nuovi soldati. «Vedo troppi uomini tornare feriti o morti, ho capito che anche se io fino ad ora sono riuscita a evitare l’arruolamento, arriverà il mio turno di contribuire al Paese, tutti quelli che possono hanno l’obbligo morale di farlo», ci dice un ragazza, l’unica in questo gruppo ma che ha le idee ben chiare su cosa deve fare. Noi invece questa possibilità non ce l’abbiamo, siamo reporter stranieri che vanno per brevi periodi (rispetto ai soldati che ci vivono) a documentare le prime linee, le trincee, i posti più vicini ai russi, e abbiamo l’obbligo di rimanere vivi per continuare a documentare il più a lungo possibile.
Leone XIV (Ansa)
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