2020-04-26
Camminata nel bosco alla ricerca di ordine spirituale
Tiziano Fratus racconta i benefici che l'immersione nel verde regala all'anima di chi sa ascoltare la melodia delle piante.La pioggia ha smesso di cadere. L'autunno si è lacerato, a causa di tutta questa umidità. Dietro le montagne qualcosa si agita. Le bestie nascoste lo sentono, la pelle intercetta la vibrazione che ricade sui boschi, anche se non è chiaro, se precipiti dall'alto o fermenti dal basso. Chi è che parla, si domandano? È quel cielo decorato, lassù, oppure le rocce appuntite e seghettate?Un eremita vive in una chiesa abbandonata. Il verbo vivere probabilmente non è corretto, sarebbe forse più lecito ricorrere a termini quali ammuffire, seppellirsi vivi, inserpentarsi. Non è mai stata sconsacrata, spesso accade alle chiese, alle piccole cappelle votive, di dimenticare a quale santo sono votate. Le cose sono distratte, talora. Ma poiché la grande chiesa delle chiese ha deciso di non spedire missionari in queste remote vie strette e singulte, la scarsità di vocazione riduce, ahinoi, la proiezione della parola del Signore Iddio. E così, in questi altri luoghi, in queste cavità estranee alla pulizia del vetro, inedite forme di spiritualità dilagano e affermano la propria esistenza. Il buddismo ad esempio, probabilmente corrotto e silvatico, non fedelissimo, nei modi, negli abiti, nei costumi al buddismo elegante, netto, che recita sutra in sanscrito o nella lingua popolare, il pali. E nemmeno al buddismo zen, nelle precise misure dettate dall'imperioso linguaggio nipponico. Un microscopico miniaturizzarsi dei respiri. E nemmeno un improvvisato, adattivo, islam delle Alpi, indigeno per così dire, spurio, rivolto ad una Mecca legnosa piuttosto che al nero sasso geografico.A nessuno piace invecchiare. Non piace agli uomini, non piace agli animali. E non piace nemmeno agli alberi. Quando mi avvicino alle bocche vetuste mi sembra di percepirne la rabbia, il risentimento, perché come diceva quell'antico saggio cinese, tutto quel che si indurisce perderà. Così non mi è sembrata una malvagia idea adottare l'ipotesi dell'eternità prevista dai rituali. A mio modo ne avevo sempre coltivato l'impressione: una persona ordinata è una persona organizzata. Una persona disciplinata è una persona che sa cosa deve fare, ad ogni ora. Quando alzarsi, quando pregare, quando meditare, quando nutrirsi, quando uscire all'aperto. Quando affaticarsi e quando rintanarsi in cerca di fuochi amici per tenere distanti le tenebre.Immenso, mi dico, tu non credi a quel Dio barbuto e prepotente che abita i cieli stilizzati, che se ne sta, imperturbabile, a forgiare saette mentre il figlio muore, trafitto e sconsolato su una croce, anzi, inchiodato, come una cosa. Un Dio che sosta dentro le anime atterrite dei fedeli, nelle fiammelle delle candele ai piedi dei santi e dei martiri. Non potresti fare tesoro delle parole, dei comportamenti audaci, bizzarri, delle autenticità, per così dire, di certe figure magistrali, quanto miniature dell'impaccio di essere uomini che tentano di essere migliori? Puoi appartenere ad una chiesa reale che superi, che valichi, che cammini oltre i confini della chiesa ufficiale? O sei destinato, come tanti idioti, a recitare il copione del ricettore di esoticità?Quando ho bisogno di ritrovare speranza, di ritrovare rocciosità in questa vita flebile che mi circonda e innerva, non mi viene da rivolgermi a quel Dio. Ma non mi viene nemmeno da dire Buddha, con o senza acca. Da ipotizzare un dialogo solenne col Grande Spirito del Bosco. O Manitù, o Grande Sogno, o Montagna Sacra. L'espressione Madre Natura mi ha sempre fatto sussultare e sorridere. Che vuol dire, Madre Natura? E poi perché non Padre Natura? Avo Natura? Saggio Natura? Che modo di parlare è poi questo, eh?Quando mi inginocchio in meditazione mi raccolgo nel passo pesante. Respiro lungo una pietraia ai margini del bosco. Tento di cucire un ordine nel mio solitario disordine mentale. Mi viene da pensare che esista una forza, un legame che unisca sì, tutte le forme di esistenza. L'albero, la cascata, il volo del falco, il ciclo della vita ed i miei pochi amici raminghi, come l'orsa della grotta numero cinque, che per fortuna ho incontrato una sola volta. Che cosa ci unisce? Che cosa ci separa? Che cosa ci parifica? Qualcosa esisterà, qualcosa deve sussultare fra di noi, legarci come un filo unisce le perle di una collana. Anche se non so spiegarlo. Non so trovare le parole, non so raggrumare i pensieri adeguati.L'eremita buddista che indossa una zimarra scura già banchetto di tarme secolari, mi ha prestato un libretto. Lo sfoglio ricominciando le prime pagine da diverse lune. Mi ha fatto compagnia già per un intero inverno, una primavera e l'estate. Questa che sta per cominciare, al termine delle piogge di nord-ovest, sarà la quarta stagione di convivenza con i monaci dalla testa rasata. Continueranno a confabulare ordini, a raggranellare segreti e novelle, alcuni vecchie di mille calendari. Una figura che è rimasta impressa è un monaco persiano, o indiano, dal nome di Bodhidharma. Le pagine assicurano che sia rimasto, secondo leggenda, per nove anni seduto in meditazione rivolto ad un muro. Così ha raggiunto il risveglio. La chiarezza. La consapevolezza. Un pettegolezzo accerterebbe che gli siano addirittura cadute le labbra, dopo quegli anni di infermità volontaria e ostinata. Sarebbe sempre lui ad aver fondato il celebre tempio shaolin dove si praticano esercizi fisici estremi e un rigore senza precedenti. C'è anche un disegno di questo monaco: barba incolta, spalle larghe avvolte dentro un mantello, seduto sopra la paglia, fra montagne, fronde e sotto una luna piena. Mi assomiglia, quella faccia rotonda. È vissuto oltre millecinquecento anni fa. Tanto tempo, miriadi di stelle esplose, innumerevoli concatenazioni di stagioni.Ai miei occhi il bosco è un ventre generoso. Ai tempi in cui la gente si incontrava e discuteva, avevo sentito molti scienziati e divulgatori sbragarsi in lunghe dissertazioni sulla necessità di difendere le aree boschive e forestali, anzitutto per tutelare la biodiversità naturale. Sempre e puntualmente si esibivano motivazioni di carattere scientifico. Poi, quando tutto questo non bastava, si iniziava a condire la retorica di pace, di serenità, di bellezza, di benevolenza universale. La pace che si conquista passeggiando nel cuore di un lariceto dorato a fine ottobre. La serenità di scarpinare lungo i sentieri di un bosco folto e fitto e poco frequentato dal turismo di massa. La bellezza estetica di certi canti gregoriani silvestri che s'innalzano ai piedi degli alberi più alti e più grandi che resiliano, come piace dire a chi ha studiato e lo intende far ben chiaro. La benevolenza universale che spira nei cuori di tutti gli esseri se si fanno gonfiare l'anima da tanta generosità. Un bosco vive di se stesso: chi lo abita, chi lo attraversa, chi lo affronta, offre nutrimento a tutti.Oggi che le città sono scisse e autonome, inespugnabili e impenetrabili, chi come me indossa la vita antica, abita un negativo della realtà, un diametralmente opposto, un in-cavo percepito come una creatura offensiva. Pochi direbbero che il bosco è soltanto incanto e bellezza, pace e serenità; certo, altri squadernati come me, ma forse nemmeno i cenobiti, come quei francescani che si addensano in un romitaggio annidato sulla montagna gemella a questa, manciata di anime pie, dedite alla lettura e alla copiatura miniata di testi medioevali. Vivono di erbe e castagne ma non dialogano coi solitari svestiti. Nemmeno per loro il bosco è benevolo. Oramai l'uomo sa che la natura punta alla vita, che tutto quel che ha da dare e da condividere richiede sempre un prezzo, e non di rado abnorme, totale.