2021-08-10
Calo delle presenze e regole astruse. Primo weekend con il pass da incubo
Bar e ristoranti con il 25% dei clienti in meno, nei parchi metà degli ingressi e ai musei si creano le code. Fioccano i paradossi: ora sono i vaccinati lasciati nei tavoli interni a lamentarsi della discriminazione.Abbiamo scherzato, fa involontariamente capire Luciana Lamorgese, segnando il più classico degli autogol. Chi non ha voglia di scherzare, invece, sono gli esercenti, a cui il primo weekend del green pass ha procurato un'ennesima mazzata. Ovunque, infatti, nella migliore delle ipotesi si è registrato caos, e nella peggiore un netto calo delle presenze. Non a caso, i Paesi nostri concorrenti sul piano dei flussi turistici (Grecia, Spagna, Croazia) si sono ben guardati dal dar vita a complicazioni simili. Come mai? Lo spiegano efficacemente i comunicati delle categorie più colpite (bar e ristorazione), che già parlano (secondo alcune voci, perfino ottimisticamente) di un 25% di presenze in meno. È andata ancora peggio ai parchi divertimento. Secondo l'Associazione parchi permanenti (aderente a Confindustria), «nel primo weekend del green pass i parchi perdono in media il 50% degli ingressi rispetto al fine settimana precedente». Dice il presidente Giuseppe Ira: «Molti parchi sono sull'orlo del fallimento nella pressoché totale indifferenza delle istituzioni. Se il trend sarà confermato, le imprese saranno costrette a sospendere la stagione, licenziando migliaia di lavoratori».Non è andata meglio nei musei. Isabella Ruggiero, presidente dell'Associazione italiana guide turistiche abilitate (Agta), ha raccontato a Breitbart News di lunghe code e confusione generale: «Molte cause hanno contribuito alla perdita di tempo: personale insufficiente e frequenti problemi tecnici, aggravati da chi ha tentato di entrare senza green pass».Ieri, intanto, ha parlato la titolare del Viminale, Luciana Lamorgese, in versione Sibilla Cumana, quella i cui responsi erano variamente interpretabili. Ma ciò che tutti capiscono è il rischio di una presa in giro e di una perdita di tempo, a esclusivo danno dell'economia reale. Secondo la Lamorgese, per ciò che riguarda i ristoranti, saranno i gestori a dover effettuare il controllo del certificato. Subito dopo, però, il ministro aggiunge ciò che era ovvio: i ristoratori «non potranno chiedere la carta d'identità ai clienti». In pratica, non essendo pubblici ufficiali, non potranno essere loro a fare la verifica incrociata su un documento di identità. Il ministro ha chiuso il cerchio aggiungendo che non si può pensare che «l'attività di controllo del green pass venga svolta dalle forze di polizia» perché «significherebbe distoglierle dal loro compito prioritario che è garantire la sicurezza», ma ci saranno «accertamenti a campione nei locali», realisticamente da parte della polizia amministrativa, quindi dei vigili urbani. «Al riguardo è in via di preparazione una circolare», ha concluso. Proviamo a interpretare il contorto responso della Lamorgese. Da un lato, ciò che dice il ministro è una banale verità, di cui però il governo poteva accorgersi prima: è ovvio che non si possano destinare migliaia di agenti a controllare i certificati distogliendoli dal dare la caccia ai criminali. E, nella stessa direzione, è finalmente realistico riconoscere che un esercente non possa fare il poliziotto. Dall'altro lato, però, ci sono almeno quattro questioni che non tornano. Primo: che aspetta il ministero a tirar fuori una circolare che faccia chiarezza? Anche perché si tratta di problemi che erano lampanti dall'inizio. Secondo: nel momento in cui si annunciano i controlli «a campione», avanza inevitabilmente lo spettro dell'arbitrarietà, sorella gemella della complicazione. Quanto più le regole sono astruse, tanto più è dietro l'angolo una discrezionalità estrema: il locale x sarà oggetto di controlli e il locale y no. Per non dire di un apparato sanzionatorio che può portare anche alla chiusura di un locale per alcuni giorni: una pena pesantissima dopo mesi di lockdown strisciante. Terzo: Lamorgese finge di non vedere quanto sia già largo e diffuso il mercatino dei green pass taroccati. Si rischia quindi la consueta sceneggiata: regole draconiane, e poi si chiude un occhio. Quarto: si spingono sia i clienti sia i gestori a piccoli espedienti di aggiramento delle norme. Ad esempio, non pochi alberghi, qua e là, non sapendo come regolarsi con i clienti del loro ristorante interno sprovvisti di green pass e che in realtà non avevano prenotato una stanza, hanno scelto di registrarli come pernottanti per permettere loro di consumare il pasto. Da ultimo, un sorriso (amaro). Sui social impazzano battute su un paradosso: clienti senza green pass che si sono aggiudicati, al ristorante, favolosi tavoli esterni vista mare, e invece clienti con green pass che sono stati malinconicamente relegati all'interno in tavoli vista bagno o vista frigorifero. Eterogenesi dei fini: a forza di discriminare e dividere i cittadini tra «serie A» e «serie B», accade anche che chi pensava di trovarsi in prima categoria sia finito nella serie cadetta e viceversa.
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