
Chi rinuncia a scrivere a mano perde in umanità. Usando sempre pc, tablet e smartphone non solo si distrugge un'arte grande e antica: si danneggia anche l'apprendimento. La scuola italiana, per volontà del precedente governo, ha deciso di «accogliere e promuovere l'uso del digitale nella didattica». Bambini e ragazzi di oggi, tuttavia, non hanno alcun problema nell'utilizzo di tablet e smartphone. Hanno molte più difficoltà, purtroppo, nell'utilizzo di penne e matite. Ovvio, la colpa non è soltanto dal ministro Valeria Fedeli, ci mancherebbe. Sono anni che l'arte della calligrafia va perdendo terreno, e non solo in Italia. In Finlandia, per esempio, dal 2016 non si insegna più il corsivo. La stessa cosa avviene in varie scuole statunitensi. Anche negli istituti del nostro Paese va affermandosi questa tendenza: i compiti vengono svolti in stampatello. Ma arriverà presto il giorno, è facile supporre, in cui tutto verrà prodotto tramite tastiera o appoggiando le dita su uno schermo. «Abbiamo erroneamente creduto di poter rinunciare alla scrittura a mano», spiega Francesca Biasetton nel bellissimo libro La bellezza del segno. Elogio della scrittura a mano (Laterza). «Ci stiamo accorgendo che questa rinuncia significa rinunciare a una parte della nostra umanità». La Biasetton è illustratrice e calligrafa, e dal 2011 presidente l'Associazione calligrafica italiana (Aci), che conta circa 300 membri (anche se i calligrafi professionisti di alto livello sono, in realtà, molti molti meno). Alla Verità, spiega così il suo lavoro: «Un calligrafo scrive quel che gli altri vogliono che sia scritto in modo particolare. La calligrafia dà un valore particolare alle cose. Scriviamo diplomi, partecipazioni, documenti... Tutto ciò che si può fare con le lettere riguarda il nostro lavoro. Che infatti prevede una conoscenza approfondita delle lettere, uno studio profondo delle scritture del passato». Il percorso, insomma, è lungo e faticoso. Del resto, la scrittura a mano richiede una certa fatica, ed è soprattutto in nome della velocità e della comodità che la stiamo dimenticando. Non ci rendiamo conto, tuttavia, che in questo modo distruggiamo un pezzo di noi. «Quando scriviamo», dice Francesca Biasetton, «tracciamo un segno che abbiamo creato noi. Non stiamo semplicemente battendo su una tastiera. Ognuno di noi ha una scrittura diversa, e questo ci permette per esempio di riconoscere le lettere che ci vengono scritte a mano, provando un'emozione. Io non sono contraria alle nuove tecnologie, di sicuro l'email e il Web ci hanno semplificato la vita da molti punti di vista. Per chiedere un preventivo o per una comunicazione di lavoro la posta elettronica è eccezionale. Ma quando si tratta di scrivere per altre ragioni, la lettera è insostituibile». Quando scriviamo a mano su un foglio, possiamo vedere chiaramente lo scorrere dei pensieri. «Nella calligrafia si specchia il mio pensiero», scrive la Biasetton. «Anzi: la calligrafia è il mio pensiero». Secondo l'esperta, «scrivere a mano fornisce una sorta di ordine mentale. Aiuta a comprendere la gerarchia degli spazi, a ordinare la struttura, a farsi leggere e capire. Soprattutto il corsivo, che prevede pochi stacchi di penna dal foglio, permette di seguire meglio la corsa dei nostri pensieri». Come abbiamo detto, però, il corsivo sta andando incontro all'estinzione. Per questo motivo, lo scorso anno, le studiose liguri Rossana Lanari e Viviana Federici Di Martorana rivolsero un appello al ministro dell'Istruzione, chiedendo a Valeria Fedeli di «lavorare anche per il recupero di una scrittura legata, celere, capace di attivare particolari aree cerebrali». Non sembra che il messaggio sia stato molto recepito, e si spera che il nuovo ministro ne tenga conto. Le due ricercatrici - educatrici psicomotorie (la Federici è anche pedagogista con esperienza trentennale) hanno firmato un libro intitolato Il corsivo alla base dell'apprendimento (Erga editore). «Si tratta di un metodo per la prima elementare che propone di cominciare fin dal primo giorno di scuola a insegnare il corsivo», ci spiega Rossana Lanari. «Secondo noi il corsivo è alla base dell'apprendimento, perché permette di sviluppare fattori psicomotori fondamentali. Questo metodo è già stato sperimentato in provincia di Genova, e i risultati sono stati molto soddisfacenti: tutti i bambini scrivono e leggono tranquillamente». Secondo la Lanari, «l'insegnamento del corsivo fin dal primo giorno era una prerogativa della scuola montessoriana. Poi, a partire dagli anni Ottanta, hanno cominciato a prendere piede alcune tendenze angloamericane e si è deciso di insegnare ai bambini lo stampatello». Risultato: il corsivo è stato lasciato indietro, e in alcune scuole del tutto eliminato. Ed è un danno non da poco, poiché «il corsivo mette insieme tante capacità del corpo in un unico gesto molto preciso e finalizzato». Secondo le studiose liguri, la scrittura manuale è un patrimonio da preservare. A questo proposito, citano il lavoro di Karin James dell'Università dell'Indiana, la quale ha «constatato che quando si usa la tastiera di un computer si attivano solo alcune aree del cervello; quando di scrive a mano se ne attivano in numero maggiore; se, invece, si scrive a mano libera in corsivo, sono impegnate tutte le aree del cervello. Questo dimostra la maggiore complessità, ma anche completezza di competenze richieste da questo tipo di scrittura». Come spiega la Lanari, «scrivere a mano è fondamentale non solo per una questione puramente estetica, ma anche perché permette di sviluppare requisiti psicomotori come la coordinazione oculo-manuale, l'orientamento spazio-foglio o la manualità fine». Le idee di Francesca Biasetton non sono molto diverse: «La scrittura, abilità data per scontata dagli adulti che la praticano in modo automatico, richiede ai bambini di maturare diverse competenze per arrivare a padroneggiarla», sostiene. Pam Mueller e Daniel Oppenheimer, sullo Psychological Science Journal, hanno dimostrato «che la tendenza di chi prende appunti con un laptop è quella di trascrivere le informazioni testualmente, piuttosto che di elaborale e riformularle, come invece avviene quando si scrive su carta». Ecco perché, nella loro indagine, «gli studenti che hanno preso appunti su computer portatili hanno ottenuto risultati peggiori su questioni concettuali rispetto agli studenti che hanno preso appunti preferendo scrivere a mano». Trascurando la scrittura manuale, dunque, ci facciamo del male. E contribuiamo ad affossare un'arte in cui gli italiani sono stati maestri. «L'Italia ha due modelli di riferimento nel mondo», spiega Francesca Biasetton. «Uno è quello delle maiuscole romane, che possiamo ammirare sulla lapide alla base della Colonna Traiana a Roma. L'altro modello è quello cancelleresco, detto anche italico, un tipo di scrittura corsiva elaborata nel Quattrocento proprio nelle cancellerie, per velocizzare la composizione dei documenti». Nessuno degli esperti che abbiamo interpellato è pregiudizialmente contrario alle nuove tecnologie. Tutti, anzi tutte, però, sostengono che sia importantissimo coltivare la scrittura manuale. Quella che dà forma ai nostri pensieri, quella che ci rende unici e, dunque, umani.
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