2025-07-24
Il calcolo economico dietro la «dolce morte»
Secondo Louise Perry, penna del «New York Times», il proliferare di leggi sul suicidio assistito si deve alla scarsa natalità, che mette in crisi i sistemi di welfare. Più che la dignità della vita, prevale la logica di bilancio: conviene che una fetta di anziani si levi di torno.Ogni volta che si discute di suicidio assistito spunta sempre qualcuno - dalle pagine di Repubblica, della Stampa o di qualche altro giornale serio e progressista - pronto a spiegare quanto e come la morte volontaria sia in realtà una celebrazione della vita. La contraddizione è solo apparente, perché in realtà il discorso ha una sua intrinseca e perversa logica. Il suicidio assistito è la celebrazione non della vita in sé, ma della «vita dignitosa». Il problema è che a stabilire cosa sia dignitoso sono meccanismi di cui ai più sfugge la comprensione. Esiste in fatti quella che la giornalista e opinionista britannica Louise Perry ha definito «perversa economia del suicidio assistito». Questa definizione, attenti, non viene dalle penna di una pericolosa tradizionalista o dalle pagine di un rabbioso foglio di destra, ma addirittura dal New York Times, il quotidiano liberal per eccellenza, il quale ha pubblicato con grande risalto la column della Perry. Il che già di per sé costituisce una notizia rilevante: un giornale di sinistra che stampa un articolo critico su uno dei grandi temi progressisti è davvero una rarità.La Perry prende le mosse da quanto accade nel Regno Unito: «Nel mese di giugno, i legislatori del mio Paese natale hanno approvato un piano per legalizzare il suicidio assistito», scrive. «Se il disegno di legge diventerà legge, Inghilterra e Galles si uniranno a più di una dozzina di Paesi e a undici stati americani nel permettere la morte medicalmente assistita. Tutti questi territori hanno un tasso di fertilità totale inferiore alla soglia di sostituzione. Non credo sia una coincidenza». Secondo la giornalista britannica, si sta concretizzando la realtà che circa tre decenni fa la scrittrice P.D. James descrisse nel romanzo I figli degli uomini: «Immaginava che una crisi delle nascite avrebbe indotto i governi a facilitare il suicidio degli anziani in un rituale noto come il Quietus. Osservando la corsa di alcuni Paesi a bassa natalità verso la legalizzazione del suicidio assistito, temo che la visione della James si stia già avverando. La nostra crisi della fertilità non è estrema come quella immaginata in I figli degli uomini, ma è comunque molto reale. Il tasso di fertilità globale si è più che dimezzato dal 1950, e nella maggior parte dei Paesi è già al di sotto del livello di sostituzione. La piramide demografica si sta invertendo sempre di più, non solo nelle nazioni occidentali più ricche, ma anche nella maggior parte delle regioni al di fuori dell’Africa». Che c’entra tutto ciò con il suicidio assistito? C’entra eccome perché la scarsa natalità «rappresenta una minaccia fondamentale per i sistemi di welfare, che si basano sui giovani lavoratori per finanziare pensioni e cure sanitarie per gli anziani. Chi spera che politiche migratorie liberali possano risolvere il problema dimentica che anche gli immigrati invecchiano, e i loro tassi di natalità tendono col tempo a convergere con quelli della popolazione generale. Se i tassi di natalità non si riprenderanno - e al momento non ci sono segnali concreti che ciò stia avvenendo - saremo costretti a tornare al sistema che ha prevalso per tutta la storia dell’umanità fino a tempi recenti: gli anziani saranno accuditi in ambito privato, tipicamente da figli e nipoti, e chi non ha famiglia dovrà affidarsi alla carità, nei limiti di quanto disponibile. Nel frattempo, ci troviamo in un periodo di transizione. Gli stati sociali sopravvivono a fatica, ma in condizioni di crescente pressione».Il gioco è chiaro: meno figli significa più difficoltà a sostenere il welfare, dunque diventa conveniente che una fetta di popolazione si levi dai piedi. Dietro le belle parole sulla dignità e la buona vita c’è ben altra struttura di pensiero e azione. Chi sostiene la legalizzazione del suicidio assistito, dice la Perry, usa di solito un tipo di argomentazione che gli anglofoni chiamano motte and bailey. «Dal loro rifugio sicuro e facilmente difendibile (motte), insistono sul fatto che una persona con una malattia terminale, che teme una morte dolorosa e priva di dignità, dovrebbe poter chiedere assistenza medica e la compagnia dei propri cari se decide di andarsene in anticipo», scrive la commentatrice. «Ma poi c’è il bailey: cioè ciò che il suicidio assistito realmente comporta in molti dei Paesi che l’hanno adottato. Nel 2002 i Paesi Bassi sono diventati il primo Paese a fornire la morte attraverso il proprio sistema sanitario universale. Lo scorso anno, 9.958 persone nei Paesi Bassi sono morte con l’aiuto di questo sistema, rappresentando oltre il 5% dei decessi totali del Paese. Una di queste era Zoraya ter Beek, una giovane di 29 anni che ha scelto di morire non per una disabilità fisica, ma perché soffriva di ansia, depressione, autismo e un disturbo di personalità non specificato. Quando il Canada ha introdotto il programma Maid (Assistenza medica alla morte) nel 2016, esso era disponibile solo per adulti affetti da una malattia incurabile e insopportabile, la cui morte naturale fosse «ragionevolmente prevedibile». Ma nel 2021 questo ultimo requisito è stato eliminato. Oggi anche i giovani con potenzialmente lunghi anni di vita davanti a sé stanno scegliendo la morte facilitata dallo Stato. Così come i poveri e i disperati, che forse vorrebbero continuare a vivere, se solo ricevessero un adeguato sostegno statale».Ecco qui la realtà del suicidio assistito: si comincia con le frasi a effetto e si finisce con l’uccisione di derelitti, disagiati e persone instabili. Secondo Perry, il «pericolo morale è massimo nei Paesi come il mio, in cui un sistema sanitario e pensionistico socializzato ha un forte incentivo a eliminare i suoi utenti più costosi». Già, spingere al suicidio conviene: «Uno studio del 2017 stimava che Maid potesse far risparmiare al Canada tra i 34,7 e i 138,8 milioni di dollari all’anno in spese sanitarie. Il governo britannico ha pubblicato le proprie previsioni in vista del voto su un disegno di legge più restrittivo sul suicidio assistito, secondo cui, nonostante i costi iniziali per personale e formazione possano essere elevati, si potrebbero risparmiare decine di milioni di sterline all’anno una volta che il programma sarà avviato». In questo quadro la vita dignitosa di cui tanti straparlano diviene la vita economicamente sostenibile, e la morte volontaria si rivela un ottimo modo per ridurre i costi della assistenza medica e in generale il carico sociale. Non è la tesi di un complottista, ma di una firma del New York Times. E forse converrebbe prenderla sul serio prima di svegliarsi un giorno e scoprire di essere il Canada che uccide reietti e disagiati.
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