2020-05-01
Cade un’altra menzogna Ue. Del Recovery fund ormai non c’è più neanche il nome
Ursula von der Leyen (Ansa)
Retrocesso a «iniziativa», arriverà quando sarà troppo tardi. Pure Christine Lagarde dice che non serve il Salvastati, ma il quantitative easing della Banca centrale europea.L'Unione Sovietica sembrava un monolite inscalfibile, eppure nel 1991 bastarono pochi mesi per arrivare alla sua dissoluzione. Allo stesso modo, in questi giorni stanno crollando una dopo l'altra - sotto i colpi della realtà e di una crisi economica che ne porta alla luce le contraddizioni - tutte le menzogne che ci raccontano da settimane sulla capacità dell'Ue di dare una risposta alla crisi in atto. È una magra consolazione poter affermare di essere una delle poche voci che da tempo anticipano gli accadimenti.Ieri abbiamo appreso che anche il quotidiano La Repubblica ha «scoperto» che il Mes non può che essere quello previsto dai trattati. Poi l'ufficio parlamentare di bilancio, relazionando in audizione parlamentare, ha confermato quanto avevamo scritto tempo fa sul Sure: un fondo che erogherà prestiti agli Stati membri che però, per finanziarsi sui mercati a tassi favorevoli, dovrà raccogliere 25 miliardi di garanzie, di cui ben 3,2 a carico dell'Italia. Poiché tale fondo non può erogare complessivamente ogni anno più di 10 miliardi, è abbastanza certo che il primo anno l'Italia riceverà un prestito maggiore del valore delle garanzie prestate. Non proprio un affare.Ma è sul Recovery fund che la montagna delle menzogne sta rivelando lo smottamento più evidente. Ormai è pure scomparso il nome. In un editoriale al vetriolo di Sam Fleming sul Financial Times, si accusavano i funzionari Ue di essere esperti nel riempire i bilanci di illusioni ottiche. Un sapiente gioco di fumo e specchi. La cifra di 1.000/1.500 miliardi che circola dal 23 aprile è un banale inganno, che tiene conto di investimenti privati che potrebbero essere innescati da chi riceverà prestiti o sovvenzioni. Un numero scritto sul ghiaccio, soprattutto in questo momento di crisi della domanda. Ma lo scoglio su cui tutto il progetto rischia di infrangersi è la scelta di collegare questo fondo al bilancio Ue, un «Vietnam» in cui i Paesi membri sono impantanati da quasi due anni. Le risorse provenienti da questo bilancio dovrebbero costituire la garanzia per le emissioni dei titoli e dovrebbero anche garantire il pagamento degli interessi, oltre a dover coprire il rimborso del capitale agli investitori nel caso si eroghino sussidi.Quando ancora non si sa come e quando si prenderanno i soldi, Federico Fubini sul Corriere della Sera ha riportato alcune ipotesi relative al loro utilizzo che, se confermate, non appaiono positive per il nostro Paese. Fubini ipotizza che il fondo ricapitalizzi e assuma partecipazioni in imprese in settori dell'«aristocrazia industriale europea», tra cui filiera dell'auto, aereonautica, compagnie aeree e banche. Non ci vuole un esperto di politica industriale per far correre subito la mente a Lufthansa, Commerzbank, Deutsche bank, Volkswagen. Rendendosi anch'egli conto che il fondo è un cantiere aperto a lungo termine, Fubini fa affidamento sulla Bce. Ma la sua ipotesi - Bce bloccata dalla sentenza della Corte tedesca, panico sui mercati, Italia che fa ricorso al Mes e quindi accede al programma di acquisti Omt - è stata frantumata proprio ieri pomeriggio da Christine Lagarde in persona. Alla domanda se il Mes fosse idoneo per l'accesso all'Omt, la risposta è stata perentoria: il programma Omt è stato istituito per particolari circostante e situazioni di specifiche crisi che potrebbero mettere a rischio l'Eurozona. Oggi, invece, siamo in presenza di una crisi che investe tutti e lo strumento adatto è il Pepp, a proposito del quale ha ribadito che sarà usato con la massima flessibilità, pur non aumentandone al momento l'importo massimo, come auspicato da alcuni analisti.L'imbarazzo montante in Europa per la pochezza degli strumenti sul tavolo, Mes a parte, è risultato evidente quando la giornalista del Financial Times, Mehreen Khan ha riferito che il portavoce di Ursula von der Leyen, Eric Mamer, non lo chiama non più «fund» ma «initiative». Che, nella semantica della burocrazia europea in cui le parole non sono usate a caso ma fanno la differenza, è una netta retrocessione.Difficoltà confermate anche dalle parole del Commissario Paolo Gentiloni che, a un evento di +Europa, ha ammesso la trappola in cui si sono cacciati legando il fondo al bilancio Ue. Infatti, in questo modo, non potrà essere avviato nulla prima del gennaio 2021, ammesso che si trovi un accordo. Allora i tecnici sono al lavoro per anticiparlo al prossimo semestre «perché i rischi per il mercato unico e le differenze tra Paesi si manifesteranno in autunno, non in primavera dell'anno prossimo». Ma Gentiloni sa bene che trovare un sistema provvisorio di garanzie per anticipare il fondo significa infilarsi in un ginepraio pari a quello del bilancio Ue. Come al solito, ci racconteranno con ritardo una verità: un fondo basato legalmente sull'articolo 122 del Tfue sarà autorizzato a indebitarsi solo per erogare prestiti, con modesto impatto macroeconomico. Eventuali sussidi potranno essere finanziati solo da contributi degli Stati membri, e il saldo tra sussidi e contributi vedrà il nostro Paese irrimediabilmente perdente.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)