2025-09-16
«Stiamo vivendo in un tempo di guerra e barbarie. Normale che scorra sangue»
Massimo Cacciari (Getty Images)
Massimo Cacciari: «Purtroppo c’è sempre la moda di contrapporre morti di serie A e di serie B Se l’unica soluzione proposta per Kiev e Gaza è un altro conflitto, poi non stupiamoci».«Perché dovrei stupirmi se il dibattito violento sfocia nel sangue? Oggi siamo immersi nell’orrore». Massimo Cacciari osserva l’omicidio di Charlie Kirk, le sue fibrillazioni mediatiche, le derive polemiche, gli scontri politici e rimane impassibile (che non significa insensibile, tutt’altro) perché ritiene che tutto ciò sia conseguenza di una deriva della società. Verso lo scontro verbale che diventa sempre più aspro. Verso l’accettazione della guerra come contesto della quotidianità. In definitiva verso quella che definisce «una Sarajevo permanente senza la percezione del pericolo».Professor Cacciari, nello Utah un attivista consevatore è stato ucciso perché diffondeva con successo le sue idee. È tollerabile?«Bisogna subito fare una contestualizzazione. Da sempre gli Stati Uniti sono un Paese in cui il linguaggio politico e la violenza vanno di pari passo. Lì il linguaggio di odio è di casa e non lo ha certo inventato Donald Trump. Non di rado, da tempo immemore, sfocia nella violenza. Basta ripercorrere la storia per imbattersi in omicidi tentati, omicidi riusciti, situazioni estreme di conflitto ideologico come la vecchia questione degli Stati del Sud. Tutto questo con un moltiplicatore formidabile: la cultura delle armi».È successo qualcosa di più: il dibattito politico è sfociato nella demonizzazione dell’avversario, quella charachter assassination anticamera dell’omicidio.«È un fatto che oggi la nostra società sia permeata di violenza verbale, oltre ogni limite. Secondo me l’inasprimento dei toni e la contrapposizione sempre più forte vanno inserite in un contesto preciso: questa è un’epoca di guerre che nessuno fa nulla per far finire. È questa terribile realtà a rendere fisiologica la violenza verbale e di conseguenza quella fisica».Però in Italia qualcuno, in ambienti culturali cosiddetti alti, è arrivato a dire o a far intendere che Kirk se l’è cercata.«Uccidere la parola con un’arma è sempre segno di barbarie, e questa è un’epoca di barbarie. Ma non vede che l’unica prospettiva che ci viene prospettata per risolvere immani tragedie aperte - Ucraina, Palestina - è la guerra? E allora non mi stupisco che anche il dibattito diventi sempre più guerreggiato, sostenuto con violenza fino alle estreme conseguenze. E che la violenza poi diventi reale».Perché da noi una vittima non può essere semplicemente una vittima al di là delle patenti politiche? È anche una questione di umanità. «Guardi, la polemica dei morti di serie A, B e C a seconda dell’ideologia destra-sinistra la guardo con un certo disincanto. Purtroppo la classifica dei morti c’è sempre stata, secondo la regola da brivido che quelli dell’avversario sono meno morti dei miei e mi pesano di meno o non mi pesano affatto. Ma se vogliamo comprendere l’aumento viscerale della violenza verbale in questo tempo non dobbiamo commettere l’errore di discostarci dal contesto». Che sarebbe?«O noi ci mettiamo nell’ottica di superare le guerre che stanno infestando non solo il mondo ma il nostro mondo - quello vicino a noi nel quale viviamo e che condiziona il nostro comune sentire -, oppure il linguaggio sarà sempre più violento e le conseguenze saranno sempre più imprevedibili. È inutile girarci attorno, siamo dentro la barbarie».Con la conseguenza che le idee che non ci piacciono diventano un bersaglio?«Nel momento in cui sembra che l’unica soluzione per un conflitto siano le armi, ecco che si derubrica tutto. Ma così si inaspriscono i rapporti, non si percepisce più l’altro e si lascia spazio alla follia. Mi segua: siamo in tempi di guerra, quindi diventa necessario che in tempi di guerra il linguaggio sostenga le azioni di guerra. E diventi violento. In questa degenerazione non vedo alcuna contraddizione». La premier Meloni ha detto che «a sinistra ci sono violenza e intolleranza». Ed è stata accusata di strumentalizzare la tragedia. «È accaduta la stessa cosa a Trump. Cosa vuole che le dica, per tutto il dopoguerra in Italia non si è fatto altro che demonizzare l’avversario, da una parte e dall’altra, con la conseguenza che ogni scintilla è buona per riattivare la brace sotto la cenere. Ma questo ci allontana dalla soluzione del problema, che è e rimane nel contesto tossico».Significa che non c’è speranza di uscirne?«Significa che questo segnale pessimo conferma una realtà: siamo davvero, come ha denunciato il presidente Sergio Mattarella, in una situazione da 1914, dove nessuno aveva paura a fare un passo oltre il ciglio del burrone. Ormai non vale più neppure la deterrenza atomica che per tutta la Guerra Fredda è stata il fulcro della pace. Non vale più neanche una sacrosanta paura». Cosa dobbiamo aspettarci?«Se non mettiamo un freno alla deriva, il peggio. Quello prima del 1914 era stato un periodo relativamente lungo di pace, esattamente come questo. Avevamo vissuto la Belle Époque, non avevamo il senso del dramma incombente. Il problema è che vedo tante Sarajevo dietro l’angolo senza che ci sia la percezione del pericolo. Con una variabile negativa in più».Quale, professor Cacciari?«Ormai in tutti i contesti, a cominciare dai media, si sfodera violenza verbale senza il senso animale del pericolo che in tutti noi dovrebbe essere istintivo. Non vedo neppure questo. E in un simile scenario mi risulta ovvio, anzi scontato, che il linguaggio violento da parte di tutti non faccia che aumentare il pericolo».Al di là dell’omicidio Kirk, quale dovrà essere il punto di svolta per tornare alla civiltà della ragione?«Sarebbe indispensabile il linguaggio dei pochi intellettuali che in quel 1914 cercavano di far capire la tragedia alle porte. Erano davvero pochi e non bastarono. Siamo ancora in tempo ma la sabbia scorre nella clessidra. Oggi vedo un mondo completamente immerso nell’orrore».
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Il killer di Charlie Kirk, Tyler Robinson (Ansa)