- Il filosofo incenerisce il ritocco della Carta in stile Greta: «La norma fondamentale va riformata strutturalmente, non a pezzi inseguendo le mode del momento». Ignorati i dubbi dei giuristi. Di Plinio: «Scelta stupida, sarà la fine del capitalismo».
- L’eurodeputato Sergio Berlato: «In pericolo tutte le attività rurali, cioè il lavoro di 200.000 famiglie».
Il filosofo incenerisce il ritocco della Carta in stile Greta: «La norma fondamentale va riformata strutturalmente, non a pezzi inseguendo le mode del momento». Ignorati i dubbi dei giuristi. Di Plinio: «Scelta stupida, sarà la fine del capitalismo».L’eurodeputato Sergio Berlato: «In pericolo tutte le attività rurali, cioè il lavoro di 200.000 famiglie».Lo speciale contiene due articoli.«La cosa più importante è abbracciare le piante». Il Parlamento ha messo in Costituzione la parodia gaberiana dell’ecobuonismo. «È demenziale», sbotta con La Verità Massimo Cacciari, «continuare a intervenire sulla Carta a straccetti. È un modo infame». La riforma green è un agguato alla legge fondamentale della Repubblica, condotto sulla scorta di un’emergenza, vera o presunta. In principio fu lo spread, con il pareggio di bilancio; poi il Covid, con la sospensione dei diritti; ora sono l’ambiente e gli animali, con una potenziale minaccia alla libertà economica e, paradossalmente, ad attività ecologicamente essenziali, quali caccia e allevamento. Ma una Costituzione è il pilastro dell’edificio istituzionale: dovrebbe restare fermo proprio nei tempi difficili. È lecito emendarla? Certo. Tuttavia, sarebbe bene farlo a mente fredda, anziché a rimorchio dell’allarme del momento. Cacciari esprime un disagio simile, perché è preoccupato dai blitz condotti «per inseguire le mode»; differente, perché, secondo lui, il guaio è che «la nostra Costituzione andrebbe ripensata complessivamente, in punti fondamentali. O la questione si affronta in termini di sistema, o questi interventi sono pezzenterie, come le varie commissioni e sottocommissioni che si sono susseguite negli ultimi decenni. Cosa ne è uscito? Disastri, tipo la trasformazione del Titolo V, che ha incasinato ancora di più la situazione». Il difetto è metodologico: «Nel quadro di un disegno di riforma generale, poteva starci bene anche la tutela dell’ambiente». È allarmante, o almeno anomalo, l’unanimismo silenzioso con cui è stata approvata la riforma? «Lo avete visto che questi votano tutti insieme appassionatamente... Per un anno staranno lì abbarbicati». Quanto allo scarso - nullo - coinvolgimento dell’opinione pubblica, Cacciari è caustico: «La metà degli italiani fa fatica ad arrivare alla fine del mese, gli indici di povertà sono cresciuti, la disoccupazione giovanile non cala di una virgola. Cosa vuole che gliene freghi alla gente se il Parlamento aggiunge una frase a un articolo della Costituzione?». Il punto è che i proclami alati di amore per la natura, trasformati in vincoli supremi all’impresa, possono provocare effetti collaterali molto concreti nella vita delle persone. Perplessità erano emerse anzitutto tra i giuristi, probabilmente gli unici al corrente dell’iniziativa politica, anche perché in molti erano stati convocati in audizione. Degno di nota un acuminatissimo intervento, vergato da Giampiero di Plinio, già docente di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Chieti-Pescara e rettore dell’Università telematica Leonardo Da Vinci, pubblicato a luglio su Federalismi.it. L’esperto liquidava la riforma, allora ancora in discussione, come «inutile, forse dannosa, al limite stupida». In primo luogo, poiché interveniva su «una parte della Costituzione che finora è stata considerata intoccabile», ovvero i suoi primi 12 articoli, denominati, non a caso, «Principi fondamentali». È il frutto di una nevrosi tipica di «quasi tutte le democrazie occidentali», ormai «neoplasticamente affette da una (ir)resistibile invasione di “nuovi” diritti fondati su un nucleo, una “super etica” del politically correct». In più, il progetto equivocava il carattere assoluto della tutela dell’ambiente. Che spetta allo Stato, però è modulabile a livello regionale, con «forme di disciplina ben più modeste»: quindi, il dogma ecologico non può assurgere a «valore costituzionale “tiranno”». Imporlo avrebbe implicato «la fine immediata del modo di produzione capitalistico, anzi, di qualunque modo di produzione».Il prof di Plinio pensava alla giurisprudenza creativa, la quale, dai tardi anni Sessanta, «in assenza di leggi “ambientali”, costruì in via interpretativa un diritto (anche penale) vivente dell’ambiente, orientato sulla valutazione discrezionale del giudice sui limiti dell’attività d’impresa, incriminando dirigenti e chiudendo fabbriche che essa stessa giudicava come inquinanti». In effetti, lo scrutinio preventivo dell’iniziativa privata, fondato sull’ideologia green e persino su un indefinito «interesse delle generazioni future», conduce per forza a uno scenario da Ilva di Taranto. Atteso che tappezzare un crinale di pannelli solari non è una manna per gli ecosistemi. Si è materializzata la paura di di Plinio: l’assenza di bilanciamento tra «la Costituzione economica» e il desiderio di preservare la natura. Tenuto conto, come notò in audizione Andrea Morrone, costituzionalista dell’Alma Mater di Bologna, che già «l’ordinamento italiano vigente conosce forme di tutela molto più avanzate» delle dichiarazioni d’intenti, precipitate nel dettato della Carta.Si finisce divorati da un sospetto: che la crociata verde getti la premessa «decrescista» della transizione ecologica. Una spinta deflativa, giocata sulla limitazione sia dell’offerta (la mannaia green sulle aziende), sia della domanda (la perdita di potere d’acquisto delle classi medie). Qualcuno avrà pensato che la pietanza dell’austerità si digerisce meglio, se ha la faccia di Greta, anziché di Monti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cacciari-la-costituzione-green-e-demenziale-2656632024.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sergio-berlato-ora-cacciatori-e-perfino-allevatori-rischiano-di-essere-messi-al-bando" data-post-id="2656632024" data-published-at="1644578662" data-use-pagination="False"> Sergio Berlato: «Ora cacciatori e perfino allevatori rischiano di essere messi al bando» Sergio Berlato, eurodeputato di Fratelli d’Italia, è un appassionato di caccia e presiede l’Associazione per la difesa e la promozione della cultura rurale. La svolta green in Costituzione la preoccupa? «La prima versione dell’articolo 9 era peggiore. Il testo è stato migliorato, è meno esplicito, ma produrrà effetti altrettanto dannosi». Perché? «Hanno demandato la tutela degli animali alla legge ordinaria, per la cui approvazione, a differenza di una riforma costituzionale, è sufficiente la maggioranza semplice. Basterà poco per vietare la disciplina sportiva a un cacciatore. Ma anche un allevatore, che cura i suoi animali per portarli a macellazione e servirli sulle tavole degli italiani, come giustificherà la propria attività?». Qualcuno potrebbe finire per portare la questione della legittimità della caccia alla Corte costituzionale? «È proprio questo il pericolo e, appunto, non riguarda solo la caccia, ma tutte le attività rurali che hanno a che fare con gli animali». Teme che queste attività - caccia, pesca, allevamento - possano un giorno diventare incostituzionali? «Sì, perché tutte le norme che poi verranno approvate faranno riferimento a una norma di rango costituzionale. Sarà il pretesto per giustificare tutte le future leggi restrittive». Però anche il suo partito, con l’eccezione dell’onorevole Maria Cristina Caretta, ha votato la riforma. «La quasi totalità dei parlamentari ha votato a favore non perché ne condividesse i contenuti, ma perché la versione finale era meno peggio del testo iniziale. Purtroppo, non sono state valutate le ricadute pratiche di ciò che il Parlamento stava approvando». Ecco. Parliamo di ricadute economiche di un’ipotetica legge anti caccia. «Ogni cacciatore è costretto a versare ogni anno una tassa di concessione governativa di 173,16 euro. Poi, deve versare una tassa regionale, che può avere un importo equivalente. Oltre a questo, è tenuto a pagare la propria quota di accesso agli ambiti territoriali di caccia o ai comprensori alpini. E la quota oscilla tra i 100 e i 600 euro. Alla fine, solo i cacciatori residenti in Veneto versano all’erario circa 20 milioni di euro l’anno». Che vanno moltiplicati per ogni Regione italiana? «Esatto: parliamo di almeno 400 milioni l’anno. E poi c’è l’indotto». Cioè? «Abbigliamento, fucili, munizioni, cinofilia… Un settore che dà da lavorare a circa 200.000 famiglie. Aggiunga a questo il volume d’affari delle altre attività rurali: pesca, allevamento, agricoltura… Siamo milioni di persone, importantissime sul piano economico e occupazionale. Dall’altra parte, invece, ci sono i falsi ambientalisti di città. Persone che vorrebbero abolire tutto ciò che non condividono». I cacciatori sono ambientalisti? «Sono i veri ambientalisti. La caccia è, in tutto il mondo, uno strumento indispensabile di gestione dell’ecosistema. Ne abbiamo la prova con la diffusione della peste suina africana, che determinerà un danno enorme agli allevamenti di maiali del Nord, ed è stata causata dal proliferare di cinghiali che non sono stati abbattuti. D’altronde, già da tempo i cinghiali sono arrivati fino al centro di Roma… La caccia assicura l’equilibrio anche tra specie animali. Pensi a quello che sta succedendo con i lupi». Che sta succedendo? «Il lupo è diventato una specie di animale sacro: abbiamo la più alta concentrazione di lupi d’Europa, ma da noi sono intoccabili. Sa qual è il risultato?». Qual è? «Che gli allevatori sono costretti ad abbandonare interi territori, per evitare che le loro mandrie siano predate ogni notte. E se un territorio viene abbandonato, nessuno va più a falciare i prati. Nessuno va più a tenere pulito l’ambiente». Nemmeno gli attivisti? «Nemmeno loro, che predicano l’ambientalismo, ma non lo praticano».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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