Un libro-inchiesta evidenzia come nel Congo, dove si trovano le miniere di cobalto, il minerale necessario per le batterie delle auto elettriche, ci rimettano i più poveri. Una «violenza» produttiva che riguarda tutto il Sud del globo e allarga le condizioni di schiavitù.
Un libro-inchiesta evidenzia come nel Congo, dove si trovano le miniere di cobalto, il minerale necessario per le batterie delle auto elettriche, ci rimettano i più poveri. Una «violenza» produttiva che riguarda tutto il Sud del globo e allarga le condizioni di schiavitù.Ieri sulla Stampa Mario Tozzi ha fornito il suo personale contributo alla patologizzazzione del dissenso sostenendo che esista una «malattia del negazionismo» che colpisce i critici delle teorie ecologiste sul riscaldamento globale. A suo dire, «è almeno dagli anni Novanta del XX secolo che il dibattito sul cambiamento climatico all’interno della comunità degli scienziati specialisti (unico terreno di dibattito possibile nella scienza) si è concluso con la dichiarazione che l'attuale riscaldamento globale è anomalo e accelerato rispetto al passato e dipende - con una confidenza e un consenso oltre il 90% - dalle attività produttive dei sapiens». Non solo si tratta di affermazioni false nel merito (esiste un largo dissenso su numerosi aspetti dell'apocalittica green), ma pure del tutto in contrasto con il metodo scientifico. Del resto anche Tolomeo nel primo secolo dopo Cristo aveva chiuso il dibattito astronomico stabilendo che gli astri ruotassero intorno alla Terra, peccato che poi la teoria si sia dimostrata leggermente errata. Al di là delle questioni più tecniche, in ogni caso, molto ci sarebbe da dire anche riguardo alla categoria di negazionismo. A ben vedere, infatti, ci sono sfaccettature della cosiddetta rivoluzione verde che i fieri sostenitori del pensiero prevalente ignorano a bella posta, cosa che potrebbe effettivamente qualificarli come negazionisti. Dai ragionamenti portati avanti da attivisti e politici, ad esempio, viene ogni volta espunto un dato non proprio trascurabile che riguarda l’impatto sociale della lotta alle emissioni di Co2. Un impatto che grava soprattutto sulle fasce più fragili della popolazione, in Europa ma non solo. Qui da noi - come ha ben chiarito su queste pagine Alberto Clò qualche giorno fa - saranno soprattutto i cittadini più poveri a pagare lo scotto della conversione energetica. Ma ancora più violente saranno le conseguenze che subiranno alcune popolazioni di quello che un tempo si chiamava «terzo mondo». Per rendersene conto basta dare una occhiata al robusto libro inchiesta firmato da Siddarth Kara, uno dei massimi esperti al mondo di schiavitù, docente alla British Academy e alla Nottingham University. Il libro si intitola Rosso Cobalto e lo pubblica People, la casa editrice di Giuseppe Civati, di certo uno ben lontano dall’odore sulfureo della «destra negazionista». Kara ha svolto un lungo e impegnativo lavoro sul campo in Congo, nel Katanga e nelle zone in cui si trovano le miniere di cobalto, minerale indispensabile per la fabbricazione delle batterie che alimentano l’intera industria dell’elettrico. Cioè quella che, secondo politici e attivisti, dovrebbe sostituire il sistema basato sul fossile, contribuendo alla salvezza del pianeta. «Il continuo sfruttamento delle persone più povere del Congo da parte di ricchi e potenti contraddice i supposti fondamenti etici della civilizzazione contemporanea e ci trascina ai tempi in cui le genti dell'Africa erano valutate solo in base al costo del loro rimpiazzo. Le implicazioni di questa regressione morale, che è una forma di violenza in sé stessa, vanno ben oltre l’Africa centrale, allargandosi all’intero Sud del mondo, dove una vasta sottoclasse dell’umanità continua a trascinarsi in un’esistenza subumana in condizioni di simil-schiavitù al fondo dell'ordine economico globale», scrive Kara. «Le cose sono cambiate molto meno di quanto siamo disposti ad ammettere, dai tempi del colonialismo. La dura realtà dell’estrazione del cobalto in Congo è un inconveniente per ogni stakeholder nella filiera. Nessuna azienda vuole riconoscere il fatto che le batterie ricaricabili di smartphone, tablet, computer portatili e auto elettriche contengono cobalto estratto da braccianti e bambini in condizioni pericolose. Nei comunicati, le imprese all’apice della catena del cobalto sono solite citare il proprio rispetto delle norme internazionali sui diritti umani, le politiche di tolleranza zero verso il lavoro minorile o l’adesione ai più alti standard di valutazione della linea produttiva». Proprio per rassicurare i consumatori occidentali sul rispetto dei diritti e sulla «pulizia» della filiera produttiva sono state create associazioni internazionali che dovrebbero certificare il buon funzionamento del sistema. «Le due coalizioni principali sono la Responsible Minerals Initiative (Rmi, Associazione per i minerali responsabili), e la Global Battery Alliance (Gba, Alleanza globale per le batterie)», spiega lo studioso. «La Rmi promuove il reperimento responsabile dei minerali secondo i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Parte della piattaforma della Rmi include un processo di asseverazione responsabile dei minerali che afferma di sostenere la verifica indipendente, da parte di attori terzi, delle filiere di estrazione del cobalto, e di monitorare i siti nella Rdc per scongiurare il lavoro minorile. La Gba promuove la sicurezza delle condizioni di lavoro nelle miniere di materiali grezzi utilizzati per le batterie ricaricabili. L’associazione ha sviluppato un’azione di partnership sul cobalto per “eliminare immediatamente e urgentemente il lavoro minorile e lo sfruttamento dalla catena del valore del cobalto” attraverso il monitoraggio sul campo e la sorveglianza da parte di attori terzi. In tutto il tempo che ho passato in Congo, non ho mai visto né sentito di attività collegate a queste due coalizioni, né tantomeno qualcosa che facesse pensare a un impegno da parte delle multinazionali nel rispettare gli standard internazionali sui diritti umani, i controlli indipendenti o le politiche di tolleranza zero verso il lavoro minorile. Al contrario, in ventun anni di ricerca sulla schiavitù e sul lavoro minorile, non ho mai visto un’azione predatoria per profitto estrema come quella di cui sono stato testimone al fondo della catena estrattiva del cobalto». A parere di Kara, «la portata della devastazione causata dall’estrazione del cobalto nel nome delle energie rinnovabili non ha eguali al giorno d'oggi». A operare nelle miniere sono in larga parte i «minatori artigianali»: non artigiani, ma semi-schiavi con salari da fame e quasi nessuna tutela. «L’appetito rapace per il cobalto è un risultato diretto dell’odierna economia trainata dagli apparecchi elettronici di consumo, combinata con la transizione globale dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili. I produttori di automobili stanno rapidamente aumentando la fabbricazione di veicoli elettrici in accordo con gli sforzi governativi per ridurre le emissioni di CO2 in seguito agli accordi di Parigi sul cambiamento climatico del 2015», sostiene Kara. «Impegni che sono aumentati durante la COP26 del 2021. Le batterie dei veicoli elettrici richiedono fino a dieci chili di cobalto raffinato ciascuna, più di mille volte la quantità necessaria per la batteria di uno smartphone. Di conseguenza, si prevede un aumento della domanda di cobalto di almeno il cinquecento per cento dal 2018 al 2050, e non c’è altro luogo sulla Terra dove trovare quella quantità di minerale al di fuori della Repubblica del Congo». Certo, «i ricercatori stanno lavorando su progetti alternativi che possano ridurre al minimo, eliminare la dipendenza dal cobalto». Ma «attualmente, la maggior parte delle alternative presenta notevoli svantaggi in termini di densità energetica, stabilità termica, costi di produzione e longevità. Molte sono anche lontane un decennio o più dalla possibilità di produzione su scala commerciale». Di conseguenza «nel prossimo futuro non sarà possibile evitare di estrarre il cobalto dal Congo, il che significa che non sarà possibile evitare i danni che l’attività mineraria provoca alle persone e all’ambiente nelle province della Rdc». Devastazione della natura, violazione costante degli standard minimi di dignità dei lavoratori, condizioni igieniche spaventose, oppressione costante: questo è il lato oscuro del mondo a «emissioni zero» che attivisti e commentatori continuano a ignorare. Intanto, con la scusa di inquinare meno si continua a sfruttare di più.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.