- Francoforte ha fermato gli acquisti di titoli pubblici ma ora investono famiglie ed imprese: da ottobre 2022 le sottoscrizioni sono aumentate di 64 miliardi e rappresentano l’11% del debito. Con quest’inflazione, i bond sicuri al 4% sono attraenti.
- Nel 2022 il rosso delle famiglie è cresciuto del 3,5%. In testa alla classifica: Milano, Monza e Bolzano.
Francoforte ha fermato gli acquisti di titoli pubblici ma ora investono famiglie ed imprese: da ottobre 2022 le sottoscrizioni sono aumentate di 64 miliardi e rappresentano l’11% del debito. Con quest’inflazione, i bond sicuri al 4% sono attraenti.Nel 2022 il rosso delle famiglie è cresciuto del 3,5%. In testa alla classifica: Milano, Monza e Bolzano.Lo speciale contiene due articoli.Si sono appena chiusi sette mesi complessi per le finanze pubbliche. Eppure possiamo affermare - dati alla mano - che il governo, guidato da Giorgia Meloni, e il ministero dell’Economia sotto la responsabilità di Giancarlo Giorgetti, se la sono cavata egregiamente. Senza peraltro grande clamore mediatico.Hanno dovuto gestire un fabbisogno statale record rispetto al 2021 ed al 2022 che hanno fronteggiato con emissioni di titoli pubblici altrettanto consistenti senza che ci fosse la Bce a dominare il mercato e comprare tutto. E già questo è un risultato niente affatto banale, che merita di essere spiegato. L’ulteriore sorpresa è fornita dalla scoperta che sono state famiglie ed imprese a fare la parte del leone nel sottoscrivere Bot e Btp. Quarantadue miliardi di incremento nei primi 4 mesi del 2023, che diventano 64 a partire da ottobre 2022. Ad aprile siamo a 305 miliardi, pari al 11% del debito pubblico. Certo, siamo anni luce lontani dai massimi di 580 miliardi (49% del debito pubblico dell’epoca) detenuti nel lontano 1996, ma siamo anche al +40% rispetto al minimo di circa 220 miliardi segnato a cavallo tra 2021 e 2022 in (curiosa?) coincidenza con il governo Draghi.In economia, i flussi sono spesso più importanti dei livelli e famiglie ed imprese si sono fatte due conti ed hanno deciso che – con elevata inflazione, banche restie ad adeguare i tassi sui depositi e il risparmio gestito che dietro nomi esotici nasconde talvolta magri rendimenti – forse valeva la pena di mettere un «cip» su un onesto Bot a 12 mesi portando a casa un rendimento annuale lordo intorno al 3,80%. Con l’inflazione che da ottobre potrebbe scendere al 2%, non è un rendimento disprezzabile.Rilevante (+11 miliardi nei primi 4 mesi del 2023) anche il ruolo degli investitori stranieri che durante il governo Draghi erano arrivati ad un livello record di debito pubblico italiano posseduto (833 miliardi, 30%) e poi avevano venduto nella fase di rialzo dei tassi. Banche, assicurazioni, fondi di investimento, hanno invece conservato le loro posizioni.Accertato da dove lo Stato ha preso i soldi, bisogna spiegare perché il fabbisogno finanziario dello Stato è aumentato così tanto. 95 miliardi nel primo semestre 2023, contro 43 del primo semestre e soli 66 dell’intero 2022. Addirittura molto vicini ai 106 miliardi del 2021, quando lo Stato erogava aiuti a piene mani per fronteggiare la crisi Covid.Come al solito, le cause sono diverse. Cominciamo con lo smentire quanto riportato venerdì dal Corriere della Sera, dove abbiamo letto che «mancano 20 miliardi nei conti delle entrate», fondando sull’ipotesi (sbagliata) di un incremento atteso del 10%, gonfiato dall’inflazione. Che è proprio l’unica causa che la Ragioneria Generale (Rgs) non riporta quando elenca le cause dell’aumento. Infatti la nota tecnica del Mef spiega che prima di tutto l’aumento delle entrate è un robusto +3,3% (non +1,9% del Corriere basa su dati disomogenei). Irpef ed Ires aumentano del 6-7% e pesa il calo dell’imposta su redditi da capitale e plusvalenze. Forse al Corriere hanno dimenticato che, con il rialzo dei tassi, il risparmio gestito ha preso un bagno e versato meno tasse. Il calo dell’Iva è inoltre dovuto alla minore Iva sulle importazioni, mentre quella sugli scambi interni segna un buon +5,4%. Anche in questo caso, sarebbe bastato ricordare, che quando si importano, come nel 2022, materie prime ed energia a prezzi folli, il gettito Iva aumenta, e nel 2023 il calo risente dei minori prezzi all’import. Nessun «ritorno di evasione», come ipotizzato dal Corriere.Il fabbisogno è aumentato – come spiega la Ragioneria - perché ora stanno arrivando all’incasso i deficit promessi dagli ultimi governi. Sulla scia dei quali, anche il governo Meloni ha proseguito prolungando anche se in misura ridotta i bonus energia e gas fino a giugno 2023. Bonus edilizi, energia e gas sono stati compensati dai contribuenti italiani nei limiti consentiti dalla legge e, a prescindere dall’anno in cui sono stati contabilizzati nel deficit/Pil, l’effetto sulle casse dello Stato è traslato in avanti e si sta massicciamente manifestando in questi mesi. Tutto dipende dalla scadenza di quei crediti e dalla disponibilità di debiti fiscali da parte dei contribuenti. Variabili su cui l’attuale governo non ha spazio di manovra.Mancano all’appello anche i pagamenti del Pnrr. Nel primo semestre 2022 arrivò la prima rata (10 miliardi di sussidi e 11 di prestiti). Mentre nel primo semestre 2023 non è arrivata la terza richiesta a fine dicembre e finita nel tritacarne della burocrazia europea. Mancano inoltre circa 4 miliardi relativi agli utili corrisposti da Bankitalia al Tesoro, anche qui per il rialzo dei tassi che nel 2022 ha colpito il bilancio di Palazzo Koch. Insomma, tutti elementi che in altri tempi avrebbero generato il panico. Invece nessun problema e spread in discesa dai massimi di 240-250 punti dell’autunno 2022 ai 162 di venerdì. Nel primo semestre 2023 il Mef è andato sul mercato con emissioni nette da record: 100 miliardi secchi. Solo a giugno 50 miliardi di emissioni lorde e 30 nette. Quanto due rate del Pnrr. Nell’intero 2022 furono 62 e 100 nel 2021. Quando però c’era mamma Bce a fare il mercato, comprando 151 miliardi nel 2021 e 50 miliardi nel 2022, facendo dormire sonni tranquilli ai governi dell’epoca. Invece nel primo semestre 2023, l’Eurotower è scomparsa di scena. Il programma pandemico Pepp da aprile 2022 fa solo reinvestimenti che il programma Pspp (partito nel 2015) ha addirittura smesso di fare a partire da luglio. Numeri ben superiori a quelli di Francia e Germania.In tutto questo, le disponibilità liquide del Tesoro a luglio sono tornate a salire a 66 miliardi, contro i 42 di fine 2022 ed i 60 che il governo Draghi aveva lasciato in cassa a fine ottobre.In sei mesi, tutti i profeti di sventura che si interrogavano su chi, in assenza della Bce, avrebbe potuto comprare i titoli pubblici italiani sono svaniti nel nulla. Si possono fare investimenti pubblici in questo Paese senza attendere col piattino in mano i fondi Ue senza che questo significhi affermare che si possa fare debito «ad libitum». Infatti ciò che conta è la sostenibilità del debito ed il fatto che non alimenti una crescita inflazionistica. Proprio qualche giorno fa, l’ufficio parlamentare di Bilancio ha emesso la previsione di crescita del Pil nominale (quello che conta per il rapporto debito/Pil) pari al 6,5% nel 2023 e del 3,6% nel 2024. Fino a quando il costo medio del debito resta sotto quei livelli, , per il 2023 e 2024 promette di esserlo abbondantemente, il debito è sostenibile ed è un investimento convincente per i risparmiatori italiani. Che i conti se li sanno fare e non disprezzano un Btp decennale al 4%.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/btp-italia-bce-2663566912.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pero-sono-costretti-a-fare-piu-debiti-per-vivere" data-post-id="2663566912" data-published-at="1691913813" data-use-pagination="False"> Però sono costretti a fare più debiti per vivere Le famiglie italiane sono sempre più indebitate. A dirlo è uno studio della Cgia di Mestre secondo cui, al 31 dicembre 2022 l’importo medio dell’indebitamento per nucleo famigliare presente in Italia è salito a 22.710 euro. Complessivamente, insomma, lo stock dei debiti bancari in capo a tutte le famiglie italiane si è attestato sul livello record di 595,1 miliardi di euro ed è aumentato del 3,5% rispetto al 2021. Come spiega l’associazione artigiani e piccole imprese Mestre, le difficoltà economiche che stanno affrontando le famiglie italiane generano il concreto rischio di un aumento dei casi di usura. Nonostante, spiega una nota della Cgia, il numero delle denunce alle forze dell’ordine di questo reato sia da tempo in calo, non è da escludere che l’incremento dei debiti delle famiglie spinga più di qualcuno a rivolgersi agli usurai che, da sempre, sono più «disponibili» di chiunque altro ad aiutare chi si trova a corto di liquidità, soprattutto nei momenti economicamente più difficili. È noto a tutti, inoltre, che l’usura è un fenomeno complicato da debellare: difficilmente chi è caduto nella rete degli strozzini si rivolge alle forze dell’ordine. Le vittime, molto spesso, sono minacciate ed hanno paura per la propria incolumità fisica e per quella dei propri cari. Chi rivuole i propri soldi, infatti, non si fa alcun scrupolo; non solo applica nel giro di qualche mese tassi di interesse spaventosi, ma è disposto a qualsiasi cosa pur di recuperare quanto prestato, in ultima istanza anche alle maniere forti. Cgia fa anche sapere che, con il progressivo rallentamento dell’economia e il conseguente crollo dei prestiti bancari alle imprese avvenuto negli ultimi mesi, non è da escludere che sia in atto un «avvicinamento» delle organizzazioni criminali verso le micro-aziende a conduzione familiare: come gli artigiani, i negozianti e tante partite Iva. Da sempre il mondo dei lavoratori autonomi è infatti quello più a rischio. Non stupisce, insomma, che le famiglie più colpite siano quelle che vivono nelle aree più costose del Paese, spesso ubicate nel Nord Italia. I nuclei famigliari più in «rosso» si trovano quindi nella provincia di Milano, con un debito medio di 35.342 euro (+5,1% rispetto al 2021); al secondo posto c’è un’altra area cara come quelle di Monza-Brianza, con 31.984 euro (+3%) e in terza posizione i residenti a Bolzano, con 31.483 euro (+5%). Appena fuori dal podio notiamo le famiglie di Roma, con un debito medio che ammonta a 30.851 euro (+2,8%) e quelle di Como, con 30.276 euro (+3,8%). Tra le meno esposte, invece, segnaliamo le famiglie residenti nella provincia di Agrigento, con un debito di 10.302 euro (+3%) e quelle di Vibo Valentia (9.993 euro). Infine, le famiglie meno indebitate d’Italia si trovano a Enna, con un «rosso» pari a 9.631 euro (+3,6%). Nel 2022 la provincia d’Italia che ha subito la variazione di crescita dell’indebitamento più importante è stata Ravenna (+9,1%), mentre l’unica in contrazione è stata Vercelli (-2,3%).
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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