2018-09-19
Bruxelles indaga sulle auto tedesche: «Un cartello anti concorrenza»
Bmw, Daimler e Volkswagen sospettate di essersi accordate per limitare lo sviluppo di tecnologie contro l'inquinamento.Settembre non porta bene all'industria automobilistica tedesca. Ieri, infatti, a tre anni esatti di distanza dallo scandalo Dieselgate, la Commissione europea ha deciso di aprire un'indagine formale per valutare se tre gruppi tedeschi, cioè Bmw, Daimler e Vw (Volkswagen, Audi, Porsche), abbiano violato le regole comunitarie, accordandosi per evitare di farsi concorrenza nello sviluppo della tecnologia pensata per pulire le emissioni di benzina e diesel delle auto. Se i sospetti venissero confermati, si tratterebbe di un cartello messo in piedi dal cosiddetto «circolo dei cinque» (Bmw, Daimler, Volkswagen, Audi e Porsche), la cui «collusione potrebbe aver negato ai consumatori l'opportunità di comprare auto meno inquinanti, nonostante la tecnologia disponibile ai produttori», come ha sottolineato il commissario europeo alla concorrenza, Margrethe Vestager. Circa un anno fa, nell'ottobre 2017, la Commissione aveva effettuato una serie di ispezioni come inizio dell'indagine sulla possibile collusione. Ieri, Bruxelles ha spiegato che dovrà verificare se sono state trovate intese sottobanco per frenare lo sviluppo dei sistemi Scr, i dispositivi per ridurre le emissioni nocive di ossidi di azoto dalle autovetture con motori diesel, e Opf, i filtri antiparticolato per ridurre le emissioni di macchine con motori a benzina. Tuttavia, l'Ue precisa di non avere indicazioni che le parti si siano coordinate tra loro sull'utilizzo di apparecchi illegali per truccare i test regolamentari. Le indagini si concentreranno quindi sulla violazione delle regole dell'antitrust europeo che proibisce i cartelli e le pratiche restrittive, compresi gli accordi per limitare e controllare lo sviluppo tecnico.I tre colossi automobilistici hanno espresso disponibilità a cooperare con L'Ue, e un portavoce del gruppo Volkswagen ha spiegato al sito Euractiv che l'apertura dell'inchiesta è un passo «che era stato previsto». «La presunzione di innocenza», ha aggiunto, «si applica fino a quando le indagini non sono completate». L'inchiesta nasce da informazioni su incontri del «circolo dei cinque» per discutere dello sviluppo e della messa in circolo di tecnologie per limitare le emissioni nocive. Ma, precisa l'Ue, il tema delle emissioni non è stato l'unico oggetto dei confronti nel «circolo dei cinque»: si è parlato, infatti, anche di altri aspetti tecnici come le procedure comuni per i test alle vetture, la velocità di apertura dei tettucci, il funzionamento dei sistemi cruise control. Ma su queste «discussioni», ha concluso la Commissione, non sono stati trovati indizi sufficienti per sostenere l'esistenza di condotte in contrasto con le leggi antitrust europee che meritino ulteriori indagini.Secondo Theo Leggett, esperto in materia della Bbc, questa inchiesta, aperta a tre anni esatti di distanza da quando l'Agenzia americana per la protezione ambientale ha comunicato al mondo che il gruppo Volkswagen aveva installato un software per aggirare le normative ambientali sulle emissioni di ossido di azoto dei diesel, potrebbe rivelarsi molto costosa per le case automobilistiche coinvolte, con sanzioni davvero pesanti. «Le multe possono essere di centinaia di milioni, se non miliardi, di euro», scrive Leggett. Infatti, per quanto siano comuni, frequenti e normali gli incontri tra case automobilistiche, uno dei maggiori impegni dell'antitrust europeo è quello contro i cartelli. Anche perché l'Ue è decisa a difendere le sue regole, che consentono alle aziende rivali di cooperare nella condivisione dei rischi e nell'innovazione. Ma una coalizione come quella che potrebbe emergere dall'inchiesta minerebbe la credibilità di Bruxelles. In pratica: incontri per innovare sì, cartelli a danno dei consumatori no.Tuttavia, c'è anche il rischio politico da considerare, con il governo tedesco di Angela Merkel accusato da molti osservatori di essere stato troppo morbido verso le grandi case automobilistiche del suo Paese, anche alla luce dei continui scambi tra aziende e partiti, con dirigenti che entrano in politica e politici che assumono incarichi nei gruppi industriali. E spesso, come se non bastasse, per alcuni di questi il cambio di poltrona si verifica più di una volta in carriera.Ieri, a minacciare ulteriormente l'economia tedesca è arrivato il nuovo capitolo della guerra a suon di dazi tra Stati Uniti e Cina. Dopo le misure contro i prodotti cinesi annunciate dal presidente statunitense Donald Trump per un valore di 200 miliardi di dollari, Pechino ha reso noto che istituirà nuove tariffe sulle merci statunitensi per un valore di 51 miliardi di euro a partire dal 24 settembre. A parlare dei rischi per la Germania di questa guerra commerciale tra le due potenze è stato il capo del commercio estero della Federazione dell'industria e del commercio tedesca, Volker Treier. L'esperto ha spiegato che, avendo le società tedesche investito massicciamente sia negli Stati Uniti sia in Cina (in ciascuna delle aree economiche impiegano circa un milione di persone), molti dei loro prodotti, venduti attraverso il Pacifico, rischiano di diventare più difficili da piazzare in futuro. «Alla fine, tutti i prodotti diventano più cari senza che abbiano alcun valore aggiunto», ha detto Treier.
Jose Mourinho (Getty Images)