2022-07-07
Brevetti «soffiati», fondi ai dem Usa. Così Pfizer ha creato l’impero dei vaccini
La società punta al business del Paxlovid negli immunodepressi. E la denuncia di irregolarità nei trial rischia di finire archiviata.Che a Big pharma non siano stinchi di santi lo sanno tutti: è un problema con cui possiamo convivere. Il guaio vero sorge quando lo Stato, da guardiano del bene comune, si trasforma in cameriere dei capitalisti. È anche grazie alle autorità sonnecchianti e sornione, infatti, che Pfizer è riuscita a costruire un impero sui vaccini anti Covid. E non proprio nel miglior interesse dei cittadini.Le critiche più puntuali arrivano dal sito della fondazione statunitense Kaiser Family, attiva da decenni nel campo sanitario. Le contestazioni riguardano l’atteggiamento spregiudicato con cui la società è riuscita a conquistare «profitti e influenza smisurati». Basti pensare che, nel 2021, il colosso farmaceutico ha praticamente raddoppiato i suoi introiti, passando da poco meno di 42 miliardi di dollari di fatturato a 81,3. Per il 2022, le previsioni sono rosee: 50 miliardi di entrate globali grazie al preparato a mRna, Comirnaty, e all’antivirale Paxlovid. Ormai, il vaccino di Pfizer detiene una quota del 70% dei mercati europeo e americano.Per assurdo, un pezzo del business dell’azienda dipende dai limiti dei suoi medicinali. Di vaccino dovevano bastare due dosi, siamo arrivati a raccomandarne una quarta con quello vecchio e poi una quinta, in autunno, con quello aggiornato per Omicron. Altro che richiami annuali: i booster stanno diventando quadrimestrali. D’altronde, il ceo del gruppo, Albert Bourla, a gennaio annunciava trionfante agli investitori: «Auspicabilmente, lo somministreremo [il vaccino, ndr] una volta l’anno e forse più spesso, ad alcune categorie ad alto rischio». Quanto al Paxlovid, Kaiser Health news cita una conferenza con gli azionisti di Mikael Dolsten, uno dei vertici della casa farmaceutica, il quale illustrava le promettenti prospettive offerte dai pazienti immunocompromessi: «Possono trattenere in sé il virus per molto, molto tempo […] e vediamo quell’area come un’autentica nuova opportunità di crescita per il Paxlovid». Pane al pane, vino al vino: Nobel per il cinismo. I regolatori si sono mostrati sempre condiscendenti alle spinte per mettere in commercio altre dosi, ora per i richiami, ora per pazienti via via più giovani. Eppure, a proposito del rimedio anti Omicron, Pfizer non è stata nemmeno in grado di spiegare se, per l’incremento degli anticorpi registrato, esista un «correlato di protezione»; ovvero, se quegli anticorpi immunizzino sul serio. Di recente, Bourla, seguito a ruota dal cofondatore di Moderna, ha addirittura chiesto che i vaccini modificati non siano più sottoposti a test clinici. Una proposta irricevibile, supporrete. Peccato che, giusto una settimana fa, la Food and drug administration abbia confermato che non chiederà dati sulla copertura contro Omicron 4 e 5 dei nuovi farmaci, calibrati sulla prima versione del ceppo sudafricano. Sarà solo una coincidenza che circa il 45% del budget dell’ente - similmente a quanto avviene con l’Ema, alle nostre latitudini - dipenda dalle compagnie sulle quali, in teoria, Fda dovrebbe vigilare? Saranno una coincidenza gli stanziamenti dedicati da Pfizer al lobbying politico e alle donazioni ai partiti? Dall’inizio della pandemia, l’industria ha investito oltre 25 milioni di dollari per «ammorbidire» i decisori. Durante la campagna per le presidenziali 2020, ha donato 3 milioni e mezzo ai partiti, ma ha privilegiato nettamente i democratici: ha versato 351.000 dollari di aiuti diretti a Joe Biden e solo 103.000 a Donald Trump. Quest’ultimo avrebbe poi accusato la Pfizer di aver aspettato il voto per comunicare i dati sull’efficacia dei vaccini, così da evitare che l’annuncio lo favorisse alle urne.Nell’ascesa della società sono poi coinvolti aspetti tecnici altrettanto controversi. Ad esempio, il professor Robin Feldman, esperto di brevetti dell’Università della California, ha puntato il dito sul rifiuto, da parte della ditta, di corrispondere delle royalties allo Stato, benché gli scienziati dei National institutes of health abbiano inventato una componente essenziale del Comirnaty. Il contratto così siglato con l’azienda «potrebbe stabilire un precedente», ha lamentato il giurista, sottolineando che, ora, qualsiasi altra compagnia potrebbe rivendicare l’utilizzo gratuito di tecnologie brevettate da istituzioni pubbliche, grazie al contributo di chi paga le tasse. E la beffa è doppia, poiché, pur avendo giurato che avrebbe lavorato sul vaccino indipendentemente da sovvenzioni del governo, alla fine la società ha attinto a piene mani al supporto logistico pubblico, mentre la sua consociata tedesca, Biontech, ha incassato 445 milioni dall’esecutivo di Berlino. Infine, va notata l’abilità con cui Pfizer sta schivando ogni accusa sulle cattive pratiche che sarebbero state adottate durante alcuni trial. Per le procedure lasche, applicate nei test condotti in un laboratorio texano di Ventavia, era stata aperta una causa legale, sorretta dalle testimonianze della «talpa» Brook Jackson. La storia della ricercatrice era diventata pure oggetto di un’inchiesta pubblicata dal British medical journal. Adesso, il legale della ricercatrice, Robert Barnes, sostiene che Pfizer abbia chiesto l’archiviazione, sfruttando una disposizione del False claims act americano: siccome il governo sarebbe stato a conoscenza delle irregolarità e, nonostante questo, ha continuato a fare affari con l’azienda, il procedimento va rigettato. Nei tribunali, qualche volta, si vince con i cavilli. È nel rifilarci punture a ripetizione, che di solito nessuno va tanto per il sottile.
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