2025-09-05
Sansal, il ribelle dell’islam lasciato solo
Lo scrittore algerino Boulem Sansal (Getty)
Nei mesi scorsi, dopo la condanna del settantacinquenne scrittore algerino a 5 anni di carcere, molti suoi colleghi lo hanno difeso. Ma quando denunciava i rischi dell’estremismo religioso veniva ignorato oppure accusato di razzismo e discriminazione.Nei mesi scorsi, la vicenda giudiziaria dello scrittore algerino Boulem Sansal ha suscitato qualche interesse, anche sedi sicuro molto meno di quello che avrebbe meritato. Quando, all’inizio di luglio, Sansal è stato condannato a cinque anni di carcere per «minaccia all’unità nazionale», numerosi scrittori anche europei gli hanno espresso solidarietà e hanno chiesto a gran voce la sua liberazione, anche perché il romanziere ha 75 anni e versa in precarie condizioni di salute. Ma anche se fosse nel fiore degli anni e in piena forma la sua incarcerazione sarebbe comunque assurda: è stato condannato per le opinioni espresse in una intervista. Vari colleghi, dicevamo, hanno sperato che venisse graziato e si sono schierati in suo favore. Viene da dire, però, che purtroppo queste prese di posizione sono arrivate con molti anni di ritardo. Sansal bisognava sostenerlo già parecchi anni fa, quando cominciò a portare avanti una veemente battaglia contro l’estremismo islamico e le derive più intolleranti dell’islam politico. Il fatto è che quando parlava di quei temi, che per altro lo toccavano molto da vicino, veniva per lo più ignorato. Anzi, gli argomenti che portava avanti erano generalmente accusati di essere razzisti e discriminatori. Insomma, Sansal aveva avvisato del pericolo, ma dalle nostre parti non è stato granché ascoltato. La sua lezione sulla perversione politica della religione riecheggia dalle pagine di Nel nome di Allah, un agile volume di storia dell’islamismo radicale risalente al 2013 ma ripresentato meritoriamente oggi da Neri Pozza. Con grande semplicità e lucidità, Sansal ripercorre la parabola dei movimenti dell’islam politico che si sono gradualmente affermati nel mondo arabo, e in particolare nella sua Algeria. Ma soprattutto - ed è questa la parte più interessante - egli riflette sul modo in cui l’Occidente si è relazionato al radicalismo musulmano. E le sue considerazioni non sono affatto semplici da digerire. «Va detto, riguardo alla questione del dibattito sull’Islam, che la libertà di parola si trova altrettanto a mal partito in Europa, dove basta pronunciare il termine «islam» perché qualunque discussione si blocchi o si indirizzi verso i luoghi comuni del politicamente corretto», scrive Sansal. E tocca ricordare che queste righe risalgono a ben prima dell’emersione della cosiddetta cultura woke e della cancel culture: lo scrittore algerino aveva già intuito quale fosse il grande dramma occidentale, cioè la paura della realtà che si tramuta in autocensura. «Le reazioni sempre molto violente degli islamisti alla minima osservazione sull’islam, prontamente riprese e amplificate dai media, hanno finito per erigere una sorta di muro di Berlino fra l’islam e la critica che chiunque può formulare riguardo a qualunque idea, per quanto sacra», continua Sansal. «Alcuni non osano nemmeno più parlare in pubblico dell’islam, dei musulmani o degli arabi, per il timore di vedersi accusati di islamofobia, di razzismo e di voler provocare conflitti intercomunitari. In questo ambito gli islamisti radicali hanno portato innovazioni, non si limitano più a intimidire o a minacciare: prendendo esempio dagli americani ricorrono ai tribunali, chiamandoli in causa a ogni piè sospinto, per qualunque discorso e che non gli aggrada che definiscono di propria iniziativa islamofobo, anti-arabo, discriminatorio, diffamatorio, vessatorio ecc. Anche i media fanno a gara nel trattare con prudenza l’immagine e la parola, e preferiscono addirittura evitare di affrontare il tema Islam. In Europa, terra di libertà per eccellenza, si può criticare tutto e ricorrere a tutte le forme della critica, fino alla satira e alla parodia, ma non si possono criticare l’islam e il suo Profeta, nemmeno con le parole più formali e con le migliori intenzioni. I casi, ampiamente ripresi dalla cronaca, di tutte le persone condannate a morte per aver espresso un punto di vista ritenuto offensivo per l’islam e per il suo Profeta stanno a testimoniare la gravità della situazione». Va notato come Sansal parli sempre con grande rispetto della religione e anzi sostenga che la critica gioverebbe alla cultura musulmana, la aprirebbe al confronto e potrebbe contribuire alla limitazione dell’estremismo. Per altro, lo scrittore tende sempre a separare i fedeli dagli attivisti intolleranti e dai terroristi violenti. Cosa che invece l’Occidente tende a non fare: per timore di criticare l’islam, critica l’islamismo con risultati paradossali. «L’islamismo è diventato il tema sul quale si ripiega per esprimersi sottotraccia sull’islam», spiega Sansal. «E per dire meglio ciò che si vuole insinuare, ci si erge a difensori di un islam fatto di tolleranza e di pace che sembra uscito da una pubblicità sdolcinata e si fanno così ricadere sui musulmani le critiche che in realtà si intendevano rivolgere all’ideologia di cui l’islam è stato sovraccaricato, nel corso dei secoli, da regimi feudali e da religiosi fanatici. Anche questo è un amalgama, grave quanto quello che consiste nel confondere islam e islamismo: i musulmani non sono responsabili né delle incoerenze della religione né della strumentalizzazione che di essa viene fatta da regimi arabi feudali da partiti islamisti tenebrosi, che danno di sé e un’immagine così triste. Osservo, ed è un paradosso, che comunque gli unici veri dibattiti sull’islam e sul suo Profeta si svolgono proprio nei paesi musulmani, con critiche talvolta audaci». Quando Sansal scriveva queste parole non godeva di grande fama qui da noi, a intervistarlo e a riprendere i suoi concetti erano per lo più giornali destrorsi le chi tesi erano ovviamente rifiutate dai grandi media progressisti, compresi quelli che di recente hanno solidarizzato con l’autore algerino. Un intellettuale capace come pochi di regalare un esempio di libertà e indipendenza intellettuale. E forse è proprio per questo che per anni non lo abbiamo ascoltato.
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