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2025-09-05
Ursula assediata: si riapre la partita sui dazi
Ursula von der Leyen (Ansa)
La mozione di censura presentata dal gruppo europeo The Left, che comprende anche il M5s e Sinistra italiana, nei confronti di Ursula von der Leyen, è ancora ferma a 46 firme. Difficile che venga raggiunta quota 72, le sottoscrizioni necessarie per presentare la mozione al Parlamento europeo, ma non è detto che per Ursula e il resto della Commissione questa sia una buona notizia. Chi mastica un minimo di politica sa bene che le mozioni di sfiducia presentate dai gruppi di opposizione sono (salvo eccezioni) manna dal cielo per ministri e premier traballanti, poiché le maggioranze sono costrette a compattarsi per respingerle. È il caso di Ursula che, mozione o meno, è politicamente alla frutta. Anzi, mozioni: un’altra contro di lei è stata annunciata da Marine Le Pen. La sinistra la attacca per l’accordo commerciale con gli Usa sui dazi e per l’atteggiamento su Gaza; la destra, per aver approvato l’accordo con il Mercosur; il problema è che chi dovrebbe difenderla, soprattutto Socialisti e Renew, pilastri della maggioranza insieme al Ppe, sono tutt’altro che soddisfatti dell’operato della leader della Ue. Il 10 settembre prossimo potrebbe essere un giorno nero, per la von der Leyen: l’Europarlamento, riunito in plenaria a Strasburgo, discuterà dell’accordo sui dazi sottoscritto da Donald Trump e la von der Leyen lo scorso 27 luglio. Un accordo che non soddisfa praticamente nessuno, neanche i componenti più autorevoli della maggioranza che sostiene (sosterrebbe) la tedesca dalla pettinatura d’acciaio. Bernd Lange, Socialista tedesco e presidente della commissione Commercio internazionale, eurodeputato di esperienza e lungo corso, a quanto riporta Euractiv.com, ha espresso serie perplessità in particolare sull’impegno preso da Ursula, a questo punto non si sa più per conto di chi, di acquistare 750 miliardi di dollari di petrolio, gas ed energia nucleare dagli Stati Uniti e di incrementare di centinaia di miliardi gli investimenti europei negli States. Per Lange, questi impegni sono impossibili da mantenere: l’eurodeputato ha definito «totalmente irrealistica» la promessa di acquistare 750 miliardi di dollari di petrolio, gas ed energia nucleare dagli Usa, aggiungendo che «non è possibile» per la Ue costringere le aziende europee a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi tre anni. «Personalmente», ha detto Lange a proposito dell’impegno sull’acquisto di energia americana, «non vedo alcuna possibilità di realizzarlo. Gli investimenti? Non c'è alcuna possibilità di coordinare o imporre alle aziende di investire negli Stati Uniti». La strategia per mettere in enorme difficoltà Ursula, costringendola a rinegoziare l’accordo con Trump (con tutti i rischi che ciò comporterebbe), è più sottile e passa attraverso la modifica dell’intesa attraverso degli emendamenti approvati dal Parlamento europeo. Lo conferma lo stesso Lange, come riporta Gea: «Vogliamo l’accordo migliore possibile per i nostri cittadini e le nostre imprese», ha sottolineato Lange, «e si intende dunque presentare emendamenti». Due belle letterine tutt’altro che amichevoli sono state recapitate alla presidente da due pilastri della sua pseudo maggioranza. La prima viene dai Liberali di Renew Europe, partito di Emmanuel Macron. Nel documento, firmato da Valerie Hayer, presidente di Renew, e Billy Kelleher, primo vicepresidente di Renew al Parlamento Ue, si indicano cinque priorità: competitività, democrazia, sicurezza e difesa, governance e riforma delle istituzioni, clima e ambiente. «Queste iniziative, in gran parte condivise anche da Mario Draghi nel suo rapporto fondamentale sul futuro della competitività europea pubblicato un anno fa», hanno scritto i vertici dei Liberali, «devono arrivare in fretta. Il tempo stringe e la Ue ha tergiversato troppo a lungo».
«Accettare tariffe unilaterali illegali», ha scritto invece nella seconda «letterina» la presidente del gruppo dei Socialisti e democratici, Iraxte Garcìa Pérez, «e piegare la nostra legislazione alle pressioni esterne creerebbe un precedente pericoloso, minando gravemente sia la nostra credibilità che la nostra autonomia». La Commissione gioca in difesa: «C'è stato un accordo politico», ha detto ieri un portavoce della Commissione, «tra i presidenti von der Leyen e Trump. C'è la dichiarazione congiunta. A seguito della dichiarazione congiunta, ci dovranno essere proposte legali per renderla operativa. È troppo presto per dire cosa succederà ora».
Intanto, ieri, il capodelegazione di Fdi al parlamento europeo, Carlo Fidanza, ha reso noto che «la Commissione Controllo di bilancio del Parlamento europeo ha approvato il mandato istitutivo del gruppo di lavoro di controllosui finanziamenti Ue alle Ong. L’iniziativa, approvata con 17 voti a favore (Ppe, Ecr, Pfe, Esn) e 13 contrari (Renew, S&D, Verdi, The Left) , fa seguito alla richiesta del gruppo Ecr di istituire una Commissione d’inchiesta sul tema. Ora, grazie al voto favorevole dei gruppi di centrodestra,il gruppo di lavoro sulla trasparenza dei finanziamenti Ue alle Ong può finalmente partire. Il gruppo di lavoro», ha aggiunto Fidanza, «che mi vedrà come relatore insieme al collega olandese del Ppe Dirk Gotink, dovrà verificare migliaia di contratti intercorsi nella scorsa legislatura tra la Commissione europea e le organizzazioni non governative impegnate su temi sensibili come il green e l’immigrazione. Le evidenze del cosiddetto Green Gate, emerse nei mesi scorsi, hanno messo in luce una mancanza di trasparenza preoccupante che deve essere ricostruita e soprattutto evitata in futuro».
L’ennesima giravolta sul green: 5,4 miliardi alla fusione nucleare
La Commissione europea ha presentato una proposta ambiziosa per rafforzare la ricerca sulla fusione nucleare, prevedendo uno stanziamento complessivo di 5,4 miliardi di euro nel quadro del Quadro finanziario pluriennale 2028-2034. L’annuncio, inserito tra i sette atti legislativi che completano la proposta di bilancio a lungo termine dell’Unione europea, segna un passo rilevante nella strategia del Vecchio Continente per la transizione energetica e per lo sviluppo di tecnologie a basso impatto climatico. Ma anche un felice cambio di passo nella non sempre decifrabile politica green dell’Unione.
Nel dettaglio, Bruxelles propone di destinare 4 miliardi di euro al progetto Iter, definito dalle istituzioni come «l’iniziativa più ambiziosa al mondo» nel campo della fusione. Iter ha l’obiettivo di dimostrare la fattibilità della fusione come fonte energetica su larga scala e a emissioni praticamente nulle, sfruttando reazioni analoghe a quelle che avvengono all’interno del Sole. Il contributo europeo sarebbe dunque fondamentale non solo per sostenere la cooperazione internazionale che anima Iter, ma anche per mantenere la leadership scientifica e tecnologica dell’Ue in un settore strategico e ad alta intensità di ricerca.
Accanto a questo investimento principale, 1,4 miliardi di euro sarebbero destinati a progetti europei interni nel settore della fusione. Si tratta di iniziative rivolte a rafforzare le competenze, a sviluppare infrastrutture sperimentali e a favorire collaborazioni pubblico-private che possano accelerare il trasferimento tecnologico e la creazione di filiere industriali competitive in Europa. Il finanziamento intende inoltre sostenere attività di formazione per i ricercatori e programmi di cooperazione tra centri di eccellenza, università e imprese, con l’obiettivo di tradurre i progressi scientifici in prototipi e applicazioni concrete.
Tutte queste risorse sono inserite nel programma di ricerca e formazione Euratom, che vede un budget complessivo di 6,7 miliardi di euro fino al 2032. Nel dettaglio, il programma prevede 760 milioni di euro per attività legate all’energia nucleare svolte dal Centro comune di ricerca (Jrc) dell’Ue e 590 milioni destinati specificamente alla ricerca sulla fusione. Queste dotazioni mirano a creare un ecosistema integrato che connetta ricerca di base, sperimentazione e applicazioni industriali, promuovendo sinergie tra politiche europee, iniziative nazionali e partenariati internazionali.
La proposta include inoltre un ulteriore miliardo di euro per un nuovo programma di bilancio dedicato alla sicurezza nucleare, che coprirà interventi sia all’interno dell’Unione sia in Paesi terzi. La scelta di riservare risorse specifiche alla sicurezza riflette un approccio prudente: l’innovazione tecnologica deve infatti procedere di pari passo con il rafforzamento delle norme, dei controlli e delle capacità operative necessarie per gestire i rischi associati all’energia nucleare.
Il pacchetto complessivo fa parte delle linee guida del Qfp 2028-2034, presentate a luglio e destinate a mobilitare circa 2.000 miliardi di euro su sette anni qualora la proposta venisse approvata. Per l’Europa la scommessa sulla fusione rappresenta una duplice opportunità: contribuire alla decarbonizzazione a lungo termine e consolidare una posizione di primato scientifico e tecnologico globale. A patto che si prosegua su questa strada e non sulle distopie della deindustrializzazione green, come sfortunatamente fatto finora.
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Bernd Lange, socialista e presidente della commissione Commercio internazionale, contesta l’accordo stipulato con Donald Trump. «Acquistare 750 miliardi di petrolio e gas dagli Usa? Irrealistico». Intanto pure Renew si lamenta per l’inerzia di Bruxelles.Altro cambio di direzione nella strategia energetica e ambientale dell’Unione.Lo speciale contiene due articoliLa mozione di censura presentata dal gruppo europeo The Left, che comprende anche il M5s e Sinistra italiana, nei confronti di Ursula von der Leyen, è ancora ferma a 46 firme. Difficile che venga raggiunta quota 72, le sottoscrizioni necessarie per presentare la mozione al Parlamento europeo, ma non è detto che per Ursula e il resto della Commissione questa sia una buona notizia. Chi mastica un minimo di politica sa bene che le mozioni di sfiducia presentate dai gruppi di opposizione sono (salvo eccezioni) manna dal cielo per ministri e premier traballanti, poiché le maggioranze sono costrette a compattarsi per respingerle. È il caso di Ursula che, mozione o meno, è politicamente alla frutta. Anzi, mozioni: un’altra contro di lei è stata annunciata da Marine Le Pen. La sinistra la attacca per l’accordo commerciale con gli Usa sui dazi e per l’atteggiamento su Gaza; la destra, per aver approvato l’accordo con il Mercosur; il problema è che chi dovrebbe difenderla, soprattutto Socialisti e Renew, pilastri della maggioranza insieme al Ppe, sono tutt’altro che soddisfatti dell’operato della leader della Ue. Il 10 settembre prossimo potrebbe essere un giorno nero, per la von der Leyen: l’Europarlamento, riunito in plenaria a Strasburgo, discuterà dell’accordo sui dazi sottoscritto da Donald Trump e la von der Leyen lo scorso 27 luglio. Un accordo che non soddisfa praticamente nessuno, neanche i componenti più autorevoli della maggioranza che sostiene (sosterrebbe) la tedesca dalla pettinatura d’acciaio. Bernd Lange, Socialista tedesco e presidente della commissione Commercio internazionale, eurodeputato di esperienza e lungo corso, a quanto riporta Euractiv.com, ha espresso serie perplessità in particolare sull’impegno preso da Ursula, a questo punto non si sa più per conto di chi, di acquistare 750 miliardi di dollari di petrolio, gas ed energia nucleare dagli Stati Uniti e di incrementare di centinaia di miliardi gli investimenti europei negli States. Per Lange, questi impegni sono impossibili da mantenere: l’eurodeputato ha definito «totalmente irrealistica» la promessa di acquistare 750 miliardi di dollari di petrolio, gas ed energia nucleare dagli Usa, aggiungendo che «non è possibile» per la Ue costringere le aziende europee a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi tre anni. «Personalmente», ha detto Lange a proposito dell’impegno sull’acquisto di energia americana, «non vedo alcuna possibilità di realizzarlo. Gli investimenti? Non c'è alcuna possibilità di coordinare o imporre alle aziende di investire negli Stati Uniti». La strategia per mettere in enorme difficoltà Ursula, costringendola a rinegoziare l’accordo con Trump (con tutti i rischi che ciò comporterebbe), è più sottile e passa attraverso la modifica dell’intesa attraverso degli emendamenti approvati dal Parlamento europeo. Lo conferma lo stesso Lange, come riporta Gea: «Vogliamo l’accordo migliore possibile per i nostri cittadini e le nostre imprese», ha sottolineato Lange, «e si intende dunque presentare emendamenti». Due belle letterine tutt’altro che amichevoli sono state recapitate alla presidente da due pilastri della sua pseudo maggioranza. La prima viene dai Liberali di Renew Europe, partito di Emmanuel Macron. Nel documento, firmato da Valerie Hayer, presidente di Renew, e Billy Kelleher, primo vicepresidente di Renew al Parlamento Ue, si indicano cinque priorità: competitività, democrazia, sicurezza e difesa, governance e riforma delle istituzioni, clima e ambiente. «Queste iniziative, in gran parte condivise anche da Mario Draghi nel suo rapporto fondamentale sul futuro della competitività europea pubblicato un anno fa», hanno scritto i vertici dei Liberali, «devono arrivare in fretta. Il tempo stringe e la Ue ha tergiversato troppo a lungo». «Accettare tariffe unilaterali illegali», ha scritto invece nella seconda «letterina» la presidente del gruppo dei Socialisti e democratici, Iraxte Garcìa Pérez, «e piegare la nostra legislazione alle pressioni esterne creerebbe un precedente pericoloso, minando gravemente sia la nostra credibilità che la nostra autonomia». La Commissione gioca in difesa: «C'è stato un accordo politico», ha detto ieri un portavoce della Commissione, «tra i presidenti von der Leyen e Trump. C'è la dichiarazione congiunta. A seguito della dichiarazione congiunta, ci dovranno essere proposte legali per renderla operativa. È troppo presto per dire cosa succederà ora». Intanto, ieri, il capodelegazione di Fdi al parlamento europeo, Carlo Fidanza, ha reso noto che «la Commissione Controllo di bilancio del Parlamento europeo ha approvato il mandato istitutivo del gruppo di lavoro di controllosui finanziamenti Ue alle Ong. L’iniziativa, approvata con 17 voti a favore (Ppe, Ecr, Pfe, Esn) e 13 contrari (Renew, S&D, Verdi, The Left) , fa seguito alla richiesta del gruppo Ecr di istituire una Commissione d’inchiesta sul tema. Ora, grazie al voto favorevole dei gruppi di centrodestra,il gruppo di lavoro sulla trasparenza dei finanziamenti Ue alle Ong può finalmente partire. Il gruppo di lavoro», ha aggiunto Fidanza, «che mi vedrà come relatore insieme al collega olandese del Ppe Dirk Gotink, dovrà verificare migliaia di contratti intercorsi nella scorsa legislatura tra la Commissione europea e le organizzazioni non governative impegnate su temi sensibili come il green e l’immigrazione. Le evidenze del cosiddetto Green Gate, emerse nei mesi scorsi, hanno messo in luce una mancanza di trasparenza preoccupante che deve essere ricostruita e soprattutto evitata in futuro».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/commissione-ue-usa-dazi-trump-2673962635.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lennesima-giravolta-sul-green-54-miliardi-alla-fusione-nucleare" data-post-id="2673962635" data-published-at="1757038605" data-use-pagination="False"> L’ennesima giravolta sul green: 5,4 miliardi alla fusione nucleare La Commissione europea ha presentato una proposta ambiziosa per rafforzare la ricerca sulla fusione nucleare, prevedendo uno stanziamento complessivo di 5,4 miliardi di euro nel quadro del Quadro finanziario pluriennale 2028-2034. L’annuncio, inserito tra i sette atti legislativi che completano la proposta di bilancio a lungo termine dell’Unione europea, segna un passo rilevante nella strategia del Vecchio Continente per la transizione energetica e per lo sviluppo di tecnologie a basso impatto climatico. Ma anche un felice cambio di passo nella non sempre decifrabile politica green dell’Unione.Nel dettaglio, Bruxelles propone di destinare 4 miliardi di euro al progetto Iter, definito dalle istituzioni come «l’iniziativa più ambiziosa al mondo» nel campo della fusione. Iter ha l’obiettivo di dimostrare la fattibilità della fusione come fonte energetica su larga scala e a emissioni praticamente nulle, sfruttando reazioni analoghe a quelle che avvengono all’interno del Sole. Il contributo europeo sarebbe dunque fondamentale non solo per sostenere la cooperazione internazionale che anima Iter, ma anche per mantenere la leadership scientifica e tecnologica dell’Ue in un settore strategico e ad alta intensità di ricerca.Accanto a questo investimento principale, 1,4 miliardi di euro sarebbero destinati a progetti europei interni nel settore della fusione. Si tratta di iniziative rivolte a rafforzare le competenze, a sviluppare infrastrutture sperimentali e a favorire collaborazioni pubblico-private che possano accelerare il trasferimento tecnologico e la creazione di filiere industriali competitive in Europa. Il finanziamento intende inoltre sostenere attività di formazione per i ricercatori e programmi di cooperazione tra centri di eccellenza, università e imprese, con l’obiettivo di tradurre i progressi scientifici in prototipi e applicazioni concrete.Tutte queste risorse sono inserite nel programma di ricerca e formazione Euratom, che vede un budget complessivo di 6,7 miliardi di euro fino al 2032. Nel dettaglio, il programma prevede 760 milioni di euro per attività legate all’energia nucleare svolte dal Centro comune di ricerca (Jrc) dell’Ue e 590 milioni destinati specificamente alla ricerca sulla fusione. Queste dotazioni mirano a creare un ecosistema integrato che connetta ricerca di base, sperimentazione e applicazioni industriali, promuovendo sinergie tra politiche europee, iniziative nazionali e partenariati internazionali.La proposta include inoltre un ulteriore miliardo di euro per un nuovo programma di bilancio dedicato alla sicurezza nucleare, che coprirà interventi sia all’interno dell’Unione sia in Paesi terzi. La scelta di riservare risorse specifiche alla sicurezza riflette un approccio prudente: l’innovazione tecnologica deve infatti procedere di pari passo con il rafforzamento delle norme, dei controlli e delle capacità operative necessarie per gestire i rischi associati all’energia nucleare.Il pacchetto complessivo fa parte delle linee guida del Qfp 2028-2034, presentate a luglio e destinate a mobilitare circa 2.000 miliardi di euro su sette anni qualora la proposta venisse approvata. Per l’Europa la scommessa sulla fusione rappresenta una duplice opportunità: contribuire alla decarbonizzazione a lungo termine e consolidare una posizione di primato scientifico e tecnologico globale. A patto che si prosegua su questa strada e non sulle distopie della deindustrializzazione green, come sfortunatamente fatto finora.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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