2024-03-31
Sotto la pioggia un bosco antico assomiglia a una grande metropoli
Le immense distese di alberi, innaffiati dall’acqua, ricordano i grattacieli di Hong Kong o la Los Angeles di «Blade Runner». Due mondi estremi e opposti che hanno ispirato le poesie di Pang e Stainley Merwin.Non so se vi sia mai capitato di andare a camminare nei boschi in una giornata di pioggia. Curiosamente, quando mi ci trovo, sono sempre impreparato, nel senso che non essendo un camminatore di lunghe percorrenze, come diversi miei cari amici che ammiro, e che hanno attraversato addirittura regioni o l’intero arco alpino sulle proprie gambe, non ho mai quel che serve per ripararmi. Nonostante in tanti anni sia capitato di beccare acquazzoni o temporali, o di dover andare a documentare qualche albero nonostante fosse un giorno uggiosissimo, la pioggia mi ha quasi sempre risparmiato. Quando però capita si creano varie scenette comiche, come le mie gambe robuste che scivolano o il mio sedere pesante che atterra, con diversi commenti che potete immaginare. Ma, a parte questo, non di rado mi sono immaginato come un uomo del futuro che cercava di schivare la pioggia in un’abnorme metropoli a più livelli. Non so spiegarne il motivo, ma le grandi distese di alberi sotto la pioggia mi portano a pensare alle selve di edifici, vie, automobili volanti, insegne e attività commerciali che popolano le periferie delle città orientali, come Tokyo o Hong Kong, o la Los Angeles di Blade Runner.A pensarci bene la pioggia tra gli alberi mi ricorda tante diverse occasioni. Mi ricorda i lunghi viali di Singapore costellati spesso da grandi alberi dalla chioma fitta e larga, noti localmente come Rain trees, alberi della pioggia, poiché aiutano i tanti passanti a ripararsi dall’acquazzone quotidiano, che spesso precipita in certe stagioni, in orari prestabiliti. La malinconia dei giorni di pioggia unisce i due mondi estremi, il bosco e la città. Lo ribadisce bene un amico poeta singaporese, Alvin Pang, che ne ha scritto in una raccolta, City of rain (Ethos Books, 2003): «Tutte le cose che amiamo ci restituiscono i nostri nomi», «le domeniche, quando le dita della pioggia / dovrebbero scriversi / sulla pagina nitida delle finestre, / morendo per raccontarmi le loro storie». Certo, se provo ad accostare le parole albero/alberi e pioggia mi risulta quasi impossibile non pensare al compianto William Stanley Merwin (1927-2019) e alla raccolta The rain in the trees (Knopf, 1988). Una poesia, specialmente, Rain at night, (Pioggia di notte), che qui mi avventuro a tradurre: «Questo è quel che ho sentito / alla fine il vento di dicembre / frustando i vecchi alberi con pioggia / una competizione non vista tra le tegole / sotto la luna / il vento che si gonfia e scende / vento dalle molte nuvole / alberi nel vento notturno». Come si fa a non adorare i poeti, quelli bravi, che insistono a vedere cose che a noi sfuggono, che per vedere ci dobbiamo prima pensare, ce le devono prima dire, queste cose, per poterle cercare e ogni tanto trovare. Forse la poesia non ha lo scopo, come dice qualche vanitoso di professione, di dirci chissà quali grandi e profonde verità, come i nostri boschi sono qui ovviamente non per noi, non per lo scopo di essere ammirati dai nostri occhietti piccoli-piccoli, nutrendo magari le nostre anime, logore-logore; forse la poesia semplicemente ci consente di vedere con occhiali diversi le stesse cose che vediamo ogni giorno, è una realtà alternativa, una somma di altre possibilità che si affiancano a quella o quelle che sensibilmente adottiamo per brevità, sintesi, urgenza o abitudine. E così i boschi sono lì, si abitano, si costruiscono, si mangiano, e noi possiamo di tanto in tanto approfittarne, sbatterci il muso, ed è vera quella frase di Pang, le cose che amiamo ci restituiscono - in parte, probabilmente, chissà, prima o poi, i nostri nomi, i nomi che abbiamo perduto, i nomi che avremo voluto avere ma non siamo mai riusciti a indossare, i nomi che ancora ci mancano. I nomi. Ho già raccontato, credo nel silvario Sutra degli alberi (Piano B, 2022), di una lunga camminata di ore e ore nelle foreste nipponiche, sull’isoletta di Yakushima, pronunciata brevemente Yak’s’mà. Credo di aver preso più pioggia in quella escursione che nel resto della mia vita. Pioggia che usciva da ogni dove, gruppi di agguerriti giapponesi in fila, tutti vestiti alla perfezione, che dalle 5 del mattino fino al tardo pomeriggio avanzavano muovendo lo stesso piede nello stesso istante. E poi c’era questo affannato turista barbuto, con una macchina fotografiche che dopo poco era già annacquata. Un vero idiota. Avremmo dovuto raggiungere gli alberi più annosi dell’isola, il campione noto come Jomon Sugi, ovvero il sugi - il vecchio monumentale cipresso, la specie è Cryptomeria japonica - Jomon, ovvero preistorico. C’è chi lo ha stimato fino a 7.000 anni, e se questo fosse vero sarebbe l’albero più annoso del pianeta. Datazioni meno audaci variano dai 3.000 ai 5.000 anni. Ad ogni modo era da vedere, ma le mie gambe stanche a un certo punto mi hanno imposto la rinuncia, lungo una rampa di rapidi ripidi e scivolose lunga centinaia di metri. Inconvenienti del caso. Ma quella lunga camminata sotto la pioggia, in una vera foresta esotica, intricata, certo anche turistica ma in cima a un monte vulcanico, fu esaltante. Anche camminare nelle nostre faggete ombrose non è affatto male, magari in certe aree totalmente spopolate, come il Casentino, o in certe pinete residue, come mi accadde risalendo l’Alpe di Tramin, in Alta Val Sarentino, alla ricerca di pini primigeni, forse addirittura millenari, arroccati lassù; i venti mi sferzavano in faccia e una pioggia beffarda pareva consigliarmi il dietrofront. Ne scrissi ne Il libro delle foreste scolpite (Laterza, 2015).Ma chi lo ferma un mulo bergamasco che se ne va ondeggiante verso una cima? Se ha tempo ci arriva, nonostante tutto. Insomma, pensandoci bene di avventurose conquiste conseguite tra alberi delle pioggia ne avrei da raccontare, la memoria va spesso indagata, proprio come si fa con un libro particolarmente corposo e polveroso, o una selva remota che risale i declivi di un monte circondato da nebbie e foschie. Cosa troverò lassù? È poi così importante arrivarci oppure basta sfiorarla la natura, accarezzarla, o meglio, farsi accarezzare?
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.