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2021-11-01
Un italiano compì il primo bombardamento aereo della storia
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In primo piano il tenente Gavotti in Libia con il suo Etrich Taube (Getty Images)
Siamo ancora agli albori dell'età pionieristica dell'aviazione, quando il tenente italiano Giulio Gavotti compì il primo bombardamento aereo della storia. Era il 1 novembre 1911 e l'Italia era in guerra contro l'Impero Ottomano per il possesso della Libia, in quella guerra lontana nel tempo che prese il nome di Italo-Turca. L'arma aeronautica, che praticamente non esisteva, fu per la prima volta utilizzata con funzioni di osservazione per il tiro di artiglieria e per la fanteria. I piloti con brevetto si contavano sulle dita di una mano, la maggior parte provenienti da ricche famiglie nobili o alto-borghesi ed avevano compiuto studi di ingegneria prima di arruolarsi nell'arma del Genio come ufficiali. A tutto il 1910 gli ufficiali che avevano ottenuto il brevetto di volo erano appena 30. Tra di essi figurava Giulio Gavotti, classe 1882, che proveniva da una famiglia genovese di nobile casato, i marchesi Gavotti. Dopo aver compiuto gli studi di ingegneria a Bologna nel 1906 si arruola a Torino come ufficiale di complemento nel Genio, per poi prestare servizio a Roma nella stessa specialità. Si avvicinò al volo prima ottenendo l'abilitazione ai velivoli sferici (aerostati e dirigibili) per passare appena dopo al volo su aeroplano. All'aeroporto di Centocelle (dove nel 1909 insegnò Wilbur Wright, uno dei fratelli che inventarono l'aeroplano appena sei anni prima) fu abilitato al volo su biplano Farman nel dicembre 1910. Poco dopo il conseguimento, Gavotti partecipò ad uno dei primi raid aerei della storia dell'aviazione, da Bologna a Venezia e ritorno. Qui conobbe i primi "assi" dell'aviazione che saranno suoi compagni nella campagna di Libia: Carlo Maria Piazza (vincitore della competizione) e Riccardo Moizo.
Il 29 settembre 1911 scoppiava la guerra Italo-Turca. Quegli stessi pionieri del volo che avevano tenuto gli spettatori col naso all'insù nei cieli di Bologna e Venezia furono inviati nel teatro di guerra inquadrati nella specialità del Genio, dal quale provenivano. Si trattava della prima volta in assoluto in cui l'aeroplano veniva utilizzato per scopi bellici. Gli aerei inviati in Libia erano nove in tutto, di differenti modelli. C'erano i monoplani Blériot XI (quello della trasvolata della Manica nel 1909), il Farman biplano, i Nieuport e gli Etrich Taube (in italiano colomba), dalla caratteristica forma che ricordava molto quella di un volatile. Il primo bombardamento aereo fu portato a termine proprio da questo monoplano in legno e tela, ispirato nel progetto dai semi di una pianta tropicale, la alsomitra macrocarpa, caratterizzati dalla capacità di sostentarsi e di planare a lungo nel vento. Il motore che lo spingeva in volo era un Mercedes-Benz da 100 Cv in grado di fargli raggiungere la velocità di circa 100 Km/h ad una quota massima di 2.000 metri per un'autonomia di volo di circa 150 Km.
Al trentatreesimo giorno di guerra, quel Taube affidato al tenente Gavotti cambiò la storia dell'aviazione e in generale della guerra, dando il via alla pratica del bombardamento aereo.
L'idea messa in pratica dall'aviatore genovese, ispirò le teorie sul bombardamento aereo del generale Giulio Douhet, il quale scrisse più tardi un trattato strategico-militare sull'uso dell'aeroplano in funzione offensiva, essendo stato in Libia a fianco di Gavotti in qualità di osservatore del Servizio aeronautico italiano. Era il 1° novembre 1911 quando il nobile pilota genovese preparò il suo Taube per un volo di ricognizione sulle postazioni nemiche. La partenza avvenne da una pista di aviazione nei pressi di Tripoli, la destinazione l'oasi di Ain Zara distante pochi chilometri a Sud della capitale libica. Gavotti fece tutto da solo. Da qualche tempo aveva in mente di portare con sé in volo alcune bombe a mano per tentare l'offensiva dal cielo e nelle prime ore del mattino di quel giorno l'occasione gli parve propizia. Prese così con sé tre bombe a mano "Cipelli" per riporne due in una cassetta appesa alla fusoliera e prudentemente imbottita per evitare sussulti durante il volo. La terza la tenne con sé nella giacca da aviatore e decollò alle prime luci dell'alba compiendo un primo tratto sopra il mare per prendere la quota di 700 metri e stabilizzarsi puntando all'entroterra. L'oasi di Ain Zara aveva circa 2.000 effettivi a sua difesa, totalmente ignari di quella improvvisa visita dal cielo. Gavotti, giunto a circa un chilometro dall'obiettivo, iniziò ad armare le bombe tenendo la miccia di innesco tra i denti non potendo mollare i comandi del Taube e pochi minuti dopo, giunto sopra l'accampamento nemico dopo aver compiuto un'ampia virata, mirò all'edificio più grande. Con la mano destra prese la bomba sferica del peso di circa 2 chilogrammi e sempre con la bocca tolse la sicura. Scagliò l'ordigno fuori dalla carlinga, stando bene attento a non colpire l'ala di tela che frusciava nel vento. Per pochi istanti la vide precipitare, e poco dopo fu in grado di scorgere una nuvola bianca emergere dal centro dell'oasi, e si accorse che aveva colpito un edificio più piccolo vicino a quello che precedentemente aveva cercato (ad occhio) di puntare. Poi scagliò la seconda bomba prima di mettere nuovamente la prua verso Tripoli, dove scaglierà la terza sugli avamposti ottomani nei pressi della capitale libica. Non si conobbe mai l'entità dei danni provocati dalle prime bombe piovute dal cielo, ma probabilmente nessun nemico fu ucciso in quell'occasione. Tuttavia la notizia fece una grande impressione sin dal momento in cui, planato sulla pista d'atterraggio, il marchese Gavotti diede la notizia ai suoi superiori. Pochi giorni dopo la notizia arrivò alla stampa italiana, che diede risalto all'impresa con articoli e copertine, come quella della Domenica del Corriere. L'eco del primo bombardamento aereo al mondo portato a termine da un aviatore italiano non sfuggì certo alla penna di Gabriele d'Annunzio, che celebrò le gesta dell'Icaro armato di bombe con un componimento poetico dedicato all'impresa libica dal titolo La canzone della Diana. Alla diciannovesima terzina del poema dedicato alle gesta italiane, il pioniere del volo è citato per nome.
S'ode nel cielo un sibilo di frombe/
Passa nel cielo un pallido avvoltoio/
Giulio Gavotti porta le sue bombe.
E poi, più avanti nel componimento, il marchese dell'aria viene nuovamente menzionato.
E tu Gavotti, dal tuo lieve spalto/
chinato nel pericolo dei vènti/
sul nemico che ignora il novo assalto!
Il sigillo del Vate coronò l'impresa, che fu suggellata dal conferimento nel 1912 della Medaglia d'Argento al Valor Militare per l'azione del 1°novembre 1911 e per la seconda incursione su Gargaresch.
Congedato alla fine del conflitto, Giulio Gavotti rimarrà attivo nel Genio Aeronautico e poco più tardi nella neonata Regia Aeronautica. Terminerà la sua carriere come consigliere di amministrazione delle linee aeree italiane del ventennio, L'Ala Littoria. Si spense a Roma il 6 ottobre 1939. Non visse abbastanza a lungo per sapere delle bombe atomiche gettate sulle città di Hiroshima e Nagasaki appena sei anni più tardi. Erano passati solo 34 anni da quelle prime granate scagliate a mano da un aereo in tela dalle caratteristiche ali di uccello.
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Il 1° novembre 1911 il tenente Giulio Gavotti scagliò due bombe su un accampamento nemico dal suo monoplano Taube durante la guerra in Libia. Cominciava così la lunga storia della guerra aerea.Siamo ancora agli albori dell'età pionieristica dell'aviazione, quando il tenente italiano Giulio Gavotti compì il primo bombardamento aereo della storia. Era il 1 novembre 1911 e l'Italia era in guerra contro l'Impero Ottomano per il possesso della Libia, in quella guerra lontana nel tempo che prese il nome di Italo-Turca. L'arma aeronautica, che praticamente non esisteva, fu per la prima volta utilizzata con funzioni di osservazione per il tiro di artiglieria e per la fanteria. I piloti con brevetto si contavano sulle dita di una mano, la maggior parte provenienti da ricche famiglie nobili o alto-borghesi ed avevano compiuto studi di ingegneria prima di arruolarsi nell'arma del Genio come ufficiali. A tutto il 1910 gli ufficiali che avevano ottenuto il brevetto di volo erano appena 30. Tra di essi figurava Giulio Gavotti, classe 1882, che proveniva da una famiglia genovese di nobile casato, i marchesi Gavotti. Dopo aver compiuto gli studi di ingegneria a Bologna nel 1906 si arruola a Torino come ufficiale di complemento nel Genio, per poi prestare servizio a Roma nella stessa specialità. Si avvicinò al volo prima ottenendo l'abilitazione ai velivoli sferici (aerostati e dirigibili) per passare appena dopo al volo su aeroplano. All'aeroporto di Centocelle (dove nel 1909 insegnò Wilbur Wright, uno dei fratelli che inventarono l'aeroplano appena sei anni prima) fu abilitato al volo su biplano Farman nel dicembre 1910. Poco dopo il conseguimento, Gavotti partecipò ad uno dei primi raid aerei della storia dell'aviazione, da Bologna a Venezia e ritorno. Qui conobbe i primi "assi" dell'aviazione che saranno suoi compagni nella campagna di Libia: Carlo Maria Piazza (vincitore della competizione) e Riccardo Moizo. Il 29 settembre 1911 scoppiava la guerra Italo-Turca. Quegli stessi pionieri del volo che avevano tenuto gli spettatori col naso all'insù nei cieli di Bologna e Venezia furono inviati nel teatro di guerra inquadrati nella specialità del Genio, dal quale provenivano. Si trattava della prima volta in assoluto in cui l'aeroplano veniva utilizzato per scopi bellici. Gli aerei inviati in Libia erano nove in tutto, di differenti modelli. C'erano i monoplani Blériot XI (quello della trasvolata della Manica nel 1909), il Farman biplano, i Nieuport e gli Etrich Taube (in italiano colomba), dalla caratteristica forma che ricordava molto quella di un volatile. Il primo bombardamento aereo fu portato a termine proprio da questo monoplano in legno e tela, ispirato nel progetto dai semi di una pianta tropicale, la alsomitra macrocarpa, caratterizzati dalla capacità di sostentarsi e di planare a lungo nel vento. Il motore che lo spingeva in volo era un Mercedes-Benz da 100 Cv in grado di fargli raggiungere la velocità di circa 100 Km/h ad una quota massima di 2.000 metri per un'autonomia di volo di circa 150 Km.Al trentatreesimo giorno di guerra, quel Taube affidato al tenente Gavotti cambiò la storia dell'aviazione e in generale della guerra, dando il via alla pratica del bombardamento aereo. L'idea messa in pratica dall'aviatore genovese, ispirò le teorie sul bombardamento aereo del generale Giulio Douhet, il quale scrisse più tardi un trattato strategico-militare sull'uso dell'aeroplano in funzione offensiva, essendo stato in Libia a fianco di Gavotti in qualità di osservatore del Servizio aeronautico italiano. Era il 1° novembre 1911 quando il nobile pilota genovese preparò il suo Taube per un volo di ricognizione sulle postazioni nemiche. La partenza avvenne da una pista di aviazione nei pressi di Tripoli, la destinazione l'oasi di Ain Zara distante pochi chilometri a Sud della capitale libica. Gavotti fece tutto da solo. Da qualche tempo aveva in mente di portare con sé in volo alcune bombe a mano per tentare l'offensiva dal cielo e nelle prime ore del mattino di quel giorno l'occasione gli parve propizia. Prese così con sé tre bombe a mano "Cipelli" per riporne due in una cassetta appesa alla fusoliera e prudentemente imbottita per evitare sussulti durante il volo. La terza la tenne con sé nella giacca da aviatore e decollò alle prime luci dell'alba compiendo un primo tratto sopra il mare per prendere la quota di 700 metri e stabilizzarsi puntando all'entroterra. L'oasi di Ain Zara aveva circa 2.000 effettivi a sua difesa, totalmente ignari di quella improvvisa visita dal cielo. Gavotti, giunto a circa un chilometro dall'obiettivo, iniziò ad armare le bombe tenendo la miccia di innesco tra i denti non potendo mollare i comandi del Taube e pochi minuti dopo, giunto sopra l'accampamento nemico dopo aver compiuto un'ampia virata, mirò all'edificio più grande. Con la mano destra prese la bomba sferica del peso di circa 2 chilogrammi e sempre con la bocca tolse la sicura. Scagliò l'ordigno fuori dalla carlinga, stando bene attento a non colpire l'ala di tela che frusciava nel vento. Per pochi istanti la vide precipitare, e poco dopo fu in grado di scorgere una nuvola bianca emergere dal centro dell'oasi, e si accorse che aveva colpito un edificio più piccolo vicino a quello che precedentemente aveva cercato (ad occhio) di puntare. Poi scagliò la seconda bomba prima di mettere nuovamente la prua verso Tripoli, dove scaglierà la terza sugli avamposti ottomani nei pressi della capitale libica. Non si conobbe mai l'entità dei danni provocati dalle prime bombe piovute dal cielo, ma probabilmente nessun nemico fu ucciso in quell'occasione. Tuttavia la notizia fece una grande impressione sin dal momento in cui, planato sulla pista d'atterraggio, il marchese Gavotti diede la notizia ai suoi superiori. Pochi giorni dopo la notizia arrivò alla stampa italiana, che diede risalto all'impresa con articoli e copertine, come quella della Domenica del Corriere. L'eco del primo bombardamento aereo al mondo portato a termine da un aviatore italiano non sfuggì certo alla penna di Gabriele d'Annunzio, che celebrò le gesta dell'Icaro armato di bombe con un componimento poetico dedicato all'impresa libica dal titolo La canzone della Diana. Alla diciannovesima terzina del poema dedicato alle gesta italiane, il pioniere del volo è citato per nome. S'ode nel cielo un sibilo di frombe/Passa nel cielo un pallido avvoltoio/Giulio Gavotti porta le sue bombe.E poi, più avanti nel componimento, il marchese dell'aria viene nuovamente menzionato.E tu Gavotti, dal tuo lieve spalto/chinato nel pericolo dei vènti/sul nemico che ignora il novo assalto!Il sigillo del Vate coronò l'impresa, che fu suggellata dal conferimento nel 1912 della Medaglia d'Argento al Valor Militare per l'azione del 1°novembre 1911 e per la seconda incursione su Gargaresch. Congedato alla fine del conflitto, Giulio Gavotti rimarrà attivo nel Genio Aeronautico e poco più tardi nella neonata Regia Aeronautica. Terminerà la sua carriere come consigliere di amministrazione delle linee aeree italiane del ventennio, L'Ala Littoria. Si spense a Roma il 6 ottobre 1939. Non visse abbastanza a lungo per sapere delle bombe atomiche gettate sulle città di Hiroshima e Nagasaki appena sei anni più tardi. Erano passati solo 34 anni da quelle prime granate scagliate a mano da un aereo in tela dalle caratteristiche ali di uccello.
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Piuttosto, è il tentativo di capire cosa si celi oltre quelle bellezze, sotto ciò che lo sguardo abbraccia, dentro la terra che oggi andrebbe scavata. Roma dovrebbe avere una linea metropolitana più efficiente. Più fermate, collegamenti migliori. Ma il condizionale è obbligatorio, figlio della necessità di appurare che non ci siano reperti a separare il dire dal fare. Il documentario, accompagnato dalla voce narrante di Domenico Strati e scritto con la consulenza storico-archeologica della dottoressa Claudia Devoto, non pretende di avere risposte, ma cerca di portare a galle le criticità del progetto. Chiedendo e chiedendosi che ne possa essere di Roma, se possa un giorno arrivare ad essere una metropoli contemporanea, il passato relegato al proprio posto, o se, invece, la sua storia sia destinata ad essere troppo ingombrante, impedendole la crescita infrastrutturale che vorrebbe avere.
Roma Sotterranea, disponibile per lo streaming su NowTv, racconta come ingegneri e archeologi abbiano lavorato in sinergia per realizzare un piano atto a portare all'inaugurazione delle nuove fermate della Linea C di Roma, quelle che (da progetto) dovrebbero collegare la periferia sudorientale a quella occidentale della città. E, nel raccontare questo lavoro, racconta parimenti come il gruppo di ingegneri e archeologi abbia cercato di prevedere e accogliere ogni imprevisto, così da accompagnare la città nel suo sviluppo. Questo perché i sondaggi di archeologia preventiva non sempre rivelano quanto poi potrà emergere durante lavori di scavo così imponenti. In Piazza Venezia, inaspettatamente, è tornata alla luce l’imponente struttura degli Auditoria adrianei, un complesso pubblico su due livelli costruito durante l’impero di Adriano (117-138 d.C.). Era destinato alla divulgazione culturale, alla pubblica lettura di opere letterarie e in prosa, all’insegnamento della retorica, e all’attività giudiziaria e la sua scoperta, la cui importanza storica è stata definita straordinaria, ha portato allo spostamento di uno degli accessi alla stazione presente nella piazza.
Diverso è stato il rinvenimento, inatteso, fatto scavando nei dintorni della nuova stazione di Porta Metronia: a nove metri di profondità, è stata scoperta una caserma del II d.C., 1700 metri quadri di superficie con mosaici e affreschi distribuiti in 30 alloggi per una compagnia di soldati che alloggiavano in ambienti di 4 mq e la domus del comandante, dotata di atrio e fontana. Le strutture sono state rimosse per costruire la stazione, dopo la scansione 3D di ogni singolo muro. A seguito della collocazione in magazzino, del restauro e della catalogazione dei reperti, le murature e i pavimenti sono tornati alla loro originaria collocazione, facendo della stazione uno straordinario sito archeologico.
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Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, la decarbonizzazione dell’auto europea stenta: le vendite elettriche sono ferme al 14%, le batterie e le infrastrutture sono arretrate. E mentre Germania e Italia spingono per una maggiore flessibilità, la Commissione europea valuta la revisione normativa.
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
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Ecco #DimmiLaVerità del 15 novembre 2025. Con il senatore di Fdi Etel Sigismondi commentiamo l'edizione dei record di Atreju.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina